L'uomo (e la donna) qualunque
di Roberto Fedi
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Data di pubblicazione su web 21/01/2007 |
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Qualcuno, forse, si ricorderà i quiz di Mike Bongiorno: temporibus illis, come si dice. Era unItalia contadina: qualche volta capitava anche di sentirlo pronunziare ‘miche. A quellItalia che ancora aveva a vista docchio le tracce della guerra, il giovane e abile Bongiorno proponeva trasmissioni a loro modo esemplari, tutte basate su gente a volte pensosa e a volte estroversa, malvestita o benvestita, simpatica o musona ma accomunata da una memoria formidabile e da competenze magari settoriali, ma a prova di bomba. Insomma: fenomeni. Qualche volta a dire la verità da baraccone, ma insomma non comuni. La gente, per lo più ignorante, li seguiva con ammirazione non priva di sgomento, e alcuni divennero veri e propri divi della televisione in ascesa. Qualcuno li ricorda ancora oggi con un certo stupore.
Oggi, come vi sarete accorti, il quiz ha cambiato veste e soprattutto personaggi. Beh, anche la televisione lo ha fatto. Oggi per apparire in Tv non importa essere bravi, anzi sarebbe un demerito. Non è necessario saper cantare, ballare, recitare, muoversi: come dice la protagonista del penultimo film di Muccino, che già altre volte abbiamo citato (Ricordati di me: brutto, ma memorabile solo per questo), chi sa fare queste cose tenta il cinema. In Tv non si deve saper fare nulla: basta essere, o apparire, gente comune, più comune possibile, in modo che il pubblico si senta coinvolto. Perché chi guarda la Tv ormai non vuole più ammirare (quello accadeva allinizio, quando anche lapparecchio era monumentale ed eccezionale): vuole sentirsi di fronte a gente che è come lui, ‘normale. Quindi anche ignorante, magari. Sennò cambia canale. Non vuole mettere in discussione la propria banalità, anzi. Vuole la conferma che va bene, che quello è il valore, non un disvalore o un handicap.
Da qui, forse, il successo di porcherie come la Grande Discarica (si veda qui dietro, per favore, larticolo prima di questo), o di sesquipedali orrori come il programma di Papi dellanno scorso. Da qui il diffondersi di programmi della ‘gggente comune, dalla De Filippi alle banalità o peggio del pomeriggio. Da qui luso sempre più frequente del dialetto, soprattutto il romanesco (orrendo, in questo senso, lInsinna dei pacchi: Pupo, dove sei? Ritorna, tutto perdonato). Che è un passepartout buono per tutti i momenti: ahò, che cce vo, annàmo, a ‘n vedi? Quando uno in Tv non sa che dire, basta una sbecerata in dialetto e siamo a posto.
Eccoci ai quiz. Avrete notato come ormai impazzano: come ‘traini dei Tiggì, e come programmoni di prima serata. Questi ultimi sono invedibili (per esempio quello, in onda il sabato, condotto dal Conti, che è il principe di questa Tv da poveracci intellettuali). Quelli da ‘traino sono qualche volta piacevoli, ma sempre nellàmbito che si è detto: se cè un presentatore bravo e gradevole come Gerry Scotti, unocchiata si può dare (Chi vuol esser milionario, Canale 5).
Ed è lì che si nota quanto tempo sia passato da ‘Miche Bongiorno. Perché le domande sono semplici, e via via più complicate ma a dir poco accessibili. Le risposte suggerite sono quattro. I concorrenti sono persone medie: non troppo dialettofoni, abbastanza simpatici senza esagerare, né brutti né belli, né timidi né disinvolti. Non hanno preparazione specifica su nulla. Sono lì perché sono ‘comuni.
Infatti nove volte su dieci non sanno rispondere. Ma – questo il centro del gioco – pensano ad alta voce le possibili risposte. Cercano di arrivarci con uno straccio di ragionamento. Come farebbe chiunque che non fosse un Pico della Mirandola o una persona particolarmente colta. Qualche volta ci riescono, qualche altra no. Vincono di solito cifre non altissime: qualche migliaio di euro. Gerry Scotti è bravissimo a fare non il ‘bravo presentatore (è una citazione da Arbore & Frassica, Indietro tutta), ma quello che sta dalla parte del concorrente comune. Non lo aiuta, ma lo capisce. Trasforma la Tv nazionale in una Tv di paese, senza genio ma anche senza volgarità.
Senza offendere nessuno, è questo, secondo noi, il Qualunquismo del terzo millennio.
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