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Giocare ai dottori

di Roberto Fedi
  "Doctor House"
Data di pubblicazione su web 30/12/2006  
Se qualcuno ci chiedesse qual è secondo noi la migliore trasmissione dell’anno appena trascorso, avremmo qualche perplessità. Meno, se la domanda fosse relativa alla trasmissione peggiore: qui, c’è da sbizzarrirsi. Ma, con ancora negli occhi Babbo Natale e i brindisi, siamo buoni. Rimaniamo alla domanda numero uno.

Qui dobbiamo distinguere: come minimo, fra trasmissioni nostrane e d’importazione. Fra quelle nostrane, dopo qualche dubbio, votiamo per Le Jene, Report e poche altre. Fra queste, sicuramente le apparizioni in video di Fiorello, pubblicità compresa. Ovviamente c’è piaciuta la finale dei mondiali di Germania, ma per merito degli azzurri e non certo della Rai né dei commentatori. Come vedete, secondo noi c’è poco da stare allegri.

Fra quelle d’importazione, almeno nella fascia serale, abbiamo pochi dubbi: Doctor House (Italia Uno). Fermo restando naturalmente che la media dei serial made in Usa è di solito così alta che è difficile fare una scelta, ci sembra che per novità, capacità narrative, semplicità della struttura e simpatia dell’interprete principale il nostro strampalato dottore meriti un plauso. Con una citazione, naturalmente, anche per C.S.I., specialmente quando il personaggio è Horatio Caine (David Caruso, bravissimo), quindi nella ‘sezione’ di Miami.

Ma Hugh Laurie, insomma il dottor House, è strepitoso. Dr. House, M.D., in Usa è iniziata nel 2004, e viene trasmessa dalla Fox: è giunta alla terza serie (M.D. sta per Medical Division). Era difficile fare un altro serial sui dottori: anche E.R., o Medici in prima linea, ormai non si può più vedere, nonostante la grandezza delle prime serie. Altri tentativi minori sono senza mordente né senso. Non se ne poteva più di medici buoni e/o meno buoni, travagliati o integerrimi, con i problemi in casa o fidanzate nevrotiche, e di corsie intasate, ritmo mozzafiato, disastri da tamponare in fretta e grida del tipo "lo perdiamo!" o simili. Tanto di cappello all’invenzione, ma quel che è troppo è troppo.

Il dottor House è diverso. Anche la regia è tranquilla nelle inquadrature, ma straordinariamente efficace nel prenderti per l’interesse del racconto. I personaggi sono pochi: oltre il principale, pochi collaboratori (due), un collega nero semi-amico, la direttrice dell’ospedale, seria e non nevrotica (finalmente), e un amico che ogni tanto si vede. Ogni episodio è legato a un ‘caso’ clinico, e il dottore lo risolve con colpi di genio, appassionamento, capacità diagnostica, ironia, e disinvoltura spinta fino alla stravaganza. È di sicuro il meno convenzionale dei medici Tv: solo (è divorziato, e però ama ancora l’ex moglie), un po’ hippie ma invecchiato, ha la barba lunga, è zoppo per un incidente, e non fa nulla per apparire ‘piacione’. Hugh Laurie è bravissimo nel far capire e non dire. Gli altri non strafanno. Le storie sono avvincenti e, come sempre, sembrano vere.

È un anti-eroe. Ci fa piacere incontrarne uno, ogni tanto, e proprio per questo gli diamo il nostro personale Oscar televisivo del 2006. Auguri!





 
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