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La fiaba e la guerra

di Fabio Tasso
  "Il labirinto del fauno"
Data di pubblicazione su web 26/11/2006  

Non è mai facile tenere insieme, in un film, il piano della realtà e quello della finzione. Molti film che hanno tentato questa difficile giustapposizione sono naufragati, implosi su se stessi, vittime del quasi inevitabile sbilanciamento della storia verso l’uno o l’altro piano visivo e narrativo. L’equilibrio è spesso delicato, fragile, complesso da articolare. È riuscito in questa impresa il regista messicano Guillermo Del Toro, già autore dei recenti La spina del diavolo, Blade 2 e Hellboy, con Il labirinto del fauno: una favola gotica ambientata nella Spagna del 1944, nel pieno della guerra civile tra le truppe del generale Franco e la Resistenza.


Il film prende le mosse dall’arrivo, in un piccolo avamposto del Nord della Spagna, della giovanissima Ofelia e della madre, che raggiungono il patrigno, capitano del distaccamento di soldati schierato contro le truppe ribelli. Ofelia, vittima della crudeltà del capitano e impaurita dalla situazione tesa causata dalla guerriglia, entra in un labirinto di pietra e scopre un mondo alternativo e fantastico, nel quale dovrà sottoporsi ad alcune prove per diventarne la principessa designata.

Il labirinto del fauno, come detto, riesce abilmente a trovare il delicato equilibrio tra la realtà e la finzione, in un continuo rispecchiamento nel quale ciascun piano trae dal suo parallelo motivi di interesse e ne risulta influenzato. Se è vero che l’idea del mondo alternativo non è certo nuova (lo testimoniano grandi classici come Alice nel paese delle meraviglie e Il mago di Oz), è altrettanto vero che raramente i due piani vengono a contatto e si incrociano come accade qui; Ofelia entra ed esce continuamente dal "suo" mondo, che non è affatto una forma di salvezza dagli orrori di quello reale, ma presenta anch’esso pericoli e insidie.


Del Toro lavora, a livello tecnico e fotografico, quasi a compartimenti stagni, differenziano sensibilmente le sequenze "reali" da quelle "immaginarie". Così, se le scene di guerriglia si impongono per la brutale ferocia e il realismo che le pervade, e il capitano offusca ogni gesto o persona con una crudeltà assoluta, le scene immaginarie si popolano di personaggi da fiaba, come il rospo che vive nell’albero, le fate-insetto, il mostro con gli occhi nelle mani, e su tutti il fauno, figura mitologica che corre in aiuto della ragazzina e le indica le cose giuste da fare. La struttura a incastro, la maestria delle inquadrature, lo squisito gusto scenografico e il vivace simbolismo alimentano la suggestione di questa pellicola, il cui fascino anomalo e straniante ricorda per certi versi quello di In compagnia dei lupi di Neil Jordan.

L’evidente predilezione di Del Toro per il lato fantasy del cinema, testimoniata non solo dai film precedenti ma anche dal continuo virare di questa storia verso contenuti che non appartengono al mondo reale, trova un ideale contrappunto nell’ambientazione storica, nella quale il regista dà prova di un’indubbia abilità nel maneggiare disinvoltamente la materia. La scelta di mantenere l’unità di luogo (un avamposto di soldati al limitare di un bosco) permette di compattare la tensione narrativa, concentrando l’attenzione su poche figure di grande spessore drammatico quali il Ofelia, la madre, il capitano e la serva (spia del nemico in incognito). La pressione su Ofelia è tale che la piccola non può che cercare rifugio in un altrove che è insieme la proiezione delle sue fantasie infantili e l’alterità che contraddistingue ciascuno di noi. Per questo, il film diventa anche un viaggio all’interno della nostra psiche che assume risvolti quasi catartici (la fuga dall’orrore della guerra come la fuga dal male che ci circonda). Ed è proprio la possibilità di una lettura differenziata che dona al film una profondità notevole, alzando il livello della nostra percezione della storia.


Il viaggio iniziatico di Ofelia all’interno del labirinto (che non può non riportare alla mente una tradizione antichissima), l’incontro con il fauno e la missione che questi le assegna diventano metafora della continua ricerca di salvezza e di un approdo sicuro, al riparo dalla malvagità del vivere quotidiano. Una metafora, pur nella sua essenziale semplicità (o forse proprio per questo), che arriva diretta al cuore dello spettatore, senza eccessive schematizzazioni concettuali. Ed è, in questo senso, segno potente di coerenza la morte della bambina: non già segno di rassegnazione di fronte all’irruzione inarrestabile della violenza nei sogni, e nemmeno attestazione di resa, ma attraverso il sacrificio di Ofelia (e la presa del posto che le spetta nel regno fantastico che ha creato) e la salvezza del fratellino, simbolo di speranza per il futuro. Anche nel dilagare dell’odio, anche se l’odio chiede un prezzo altissimo con la scomparsa di chi amiamo di più, i sogni che hanno trovato una concretezza carnale possono continuare a esistere. Il finale del film è un vero e proprio invito a non perdere la speranza; il compianto su Ofelia morta è il preludio a un avvenire migliore.




Il labirinto del fauno
cast cast & credits
 



 


 

 

 

 

 

 

 

Guillermo Del Toro
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