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Non tutti fan bene così

di Gianni Cicali
  una scena del Così fan tutte a Toronto, 2006
Data di pubblicazione su web 18/11/2006  

Godere del Così fan tutte di Mozart è sempre un particolare tipo di piacere. Opera arcinota, il suo godimento si affida all’esecuzione e agli interpreti (soprattutto) per poter brillare e sopravvivere grazie all’indistruttibile, gioioso nitore della musica del Salisburghese e alla scandalosa trama (due gentildonne ferraresi che si abbandonano all’adulterio!) di Da Ponte. La messinscena nel nuovo e scintillante Four Seasons Centre for the Performing Arts di Toronto ha riservato piacevoli sorprese sotto molti aspetti.

Così fan tutte, Toronto, Canadian Opera Company
Così fan tutte, Toronto, Canadian Opera Company


Ottimamente allestita, godibilmente diretta dall’esperto e preciso direttore Richard Bradshaw, quest’edizione ha potuto avvelersi di uno speciale plusvalore rappresentato dalla magistrale interpretazione, direi esemplare, di un ruolo poco “cantante” e molto “parlante”, come quello del buffo Don Alfonso, interpretato da Enzo Capuano, basso italiano molto attivo all’estero. Preferiamo per una volta glissare sulle parti ‘principali’ per concentrarci su questo ruolo non di primo piano vocalmente, ma di fondamentale importanza per le “macchine” drammaturgiche.

Così fan tutte è l’ultimo libretto scritto da Lorenzo da Ponte per Mozart, nonché l’ultima opera buffa italiana del compositore. Seguiranno Die Zauberflöte, il celebre Siengspiel massonico, e, infine, La clemenza di Tito, opera seria. La trama è sotto certi aspetti un gioco scandaloso: gentildonne, e non serve o servette, che si concedono l’adulterio e l’eros extraconiugale (addirittura con dei levantini). Forse c’è meno scandalo di quello che si possa immaginare, e forse è davvero più gioco, che verità.

Così fan tutte: Don Alfonso (Enzo Capuano), Ferrando (Michael Colvin) e Gugliemo (Russel Brown)
Così fan tutte: Don Alfonso (Enzo Capuano),
Ferrando (Michael Colvin) e Gugliemo (Russel Brown)


Composta la musica e scritto il libretto sulla scia del successo del Don Giovanni (dramma giocoso molto sui generis e, secondo, Kierkegaard, il capolavoro dei capolavori), e su commissione dell’imperatore asburgico Giuseppe II, nel Così fan tutte - la cui trama è il risultato dell’intreccio di varie fonti (come d’altro canto, soprattutto col Boccaccio, succedeva da tempo nell’opera buffa) – osserviamo una originale (forse è il canto del cigno del segmento aureo dell’opera buffa) mescidanza royale: quelle che in realtà erano le parti principali delle operettine che andavano in scena ai Fiorentini di Napoli, piuttosto che al Cocomero di Firenze alla metà del Settecento, cioè servette e buffi caricati (i vari Don….qualcosa, le varie Serpine o Lisette), sono messi in secondo piano (canoro), per dar agio alle quattro parti (semi)serie di esprimere, di fronte alla corte viennese, tutto il loro talento vocale in arie infuriate, di sentimento o di abilità ecc.

I ruoli più “caricati” (Don Alfonso e Despina) sembrano, anzi sono il retaggio italo-buffo (e napoletano, si consideri l'ambientazione napoletana della trama) che la coppia Mozart-Da Ponte include in un’opera pensata e scritta per una corte imperiale che vuole sì l’esotismo comico dell’opera buffa italiana, ma è pur sempre una corte in cui non si può, né si deve esagerare, specialmente in un’opera commissionata dall’imperatore in persona. Le abilità nel travestimento, nel mutar di linguaggi di Despina (medico bolognese e mesmerico; notaio) sono l’appannaggio del ruolo non di una buffa caricata, ma di una prima buffa tout court, come era infatti la grande Anna Lucia De Amicis, formatasi nell’opera buffa, passata a quella seria con uno dei figli di Bach a Londra, e amica dei Mozart (fu nel Lucio Silla di Mozart ancora fanciullo).

Nel Così fan tutte, Don Alfonso è colui che dà l’avvio alle macchine drammaturgiche. Singolarmente anche Despina, “servetta” non ha grande parte canora, ed è (ci si perdoni lo sconfinamento terminologico) più una buffa ‘parlante’ e ‘recitante’ che cantante.

Ma veniamo al plusvalore di Don Alfonso-Enzo Capuano. Raramente, molto raramente ho potuto osservare un vero, grande buffo come Capuano. Ho pensato a lui come all’erede di Pietro Pertici, o di Filippo Laschi, di Francesco Carattoli (attivissimo a Vienna ai tempi di Mozart), o di Francesco Baglioni: i grandi buffi del Settecento. Infatti, quest'artista di valore ha nel suo repertorio opere come Il mondo della luna di Goldoni (un'opera impegnativa, nonostante la légèreté della trama), intonata per la prima volta a Venezia da Galuppi nel 1750, e poi ripresa da Joseph Haydn per la corte di Esterháza nel 1777. 

Capuano ha conferito alla sua recitazione tutto il peso e tutto il valore che ruolo e parte richiedevano. Ha aggiunto all’ottima impostazione canora (pur non preponderante in questa parte), una gestualità e una presenza scenica più che ammirevoli. In altri termini, una performatività veramente degna di un grande attore, oltre che di un grande cantante. Noi consideriamo Vittorio De Sica uno dei più grandi attori non solo italiani, non solo mondiali, ma di tutti i tempi. Bene, nel tratto performativo, a momenti, c’è sembrato di vedere quasi un De Sica calato nel ruolo di un buffo dal gesto eloquente e al tempo stesso elegante.

Abbiamo conversato, purtroppo brevemente, con questo grande, e sorprendentemente un poco ignorato nel panorama italiano, basso che, a dire il vero, si produceva per la prima volta nella parte di Don Alfonso (non ce ne siamo accorti: sembrava una delle sue parti più praticate). Interessante la provenienza di quest’attore-cantante (nel Settecento i cantanti si chiamavano “attori” e gli attori “istrioni”, e i primi tenevano molto a questa precisazione classistico-terminologica). Infatti viene da studi di chimica, poi è passato, relativamente tardi, agli studi musicali. Si è specializzato con Maria Luisa Cioni, e ha intrapreso una brillante carriera (tra le sue opere ricordiamo: Il Trovatore, Turandot, Le nozze di Figaro, L'Italiana in Algeri; prossimamente farà Werther a Napoli, Manon Lescaut a Roma).

Conveniamo con lui quando dice che “non vuole fare la parte di buffo in modo stereotipato, perché non conferirebbe alcuna ‘sorpresa’, non scaturirebbe nessun ‘effetto’ sul pubblico”.  Capuano introduce in certe parti anche elementi propri del suo retroterra performativo, direi culturale-performativo-soggettivo.

“Don Alfonso”, dice l'artista, “è un personaggio amaro, perché ha perso la freschezza [potremmo dire, in altri termini: è un po’ invidioso, ndr], tuttavia”, prosegue, “cerco di rendere i personaggi ‘cattivi’ un po' più umani, di modo che ognuno, almeno in parte, possa riconoscervi, o trovarvi un po’ di se stesso. Per fare questo studio, ovviamente, e lavoro molto sul personaggio e [specialmente in questo caso, ndr.] lavoro molto sul recitativo, per dare vita anche alle note del recitativo stesso attraverso un loro sapiente ‘collegamento’ ”.

In quanto alla parte legata alla recitazione, dice Capuano: “Lavoro molto su me stesso” e quindi, aggiungiamo noi, si dimostra naturalmente dotato, e nel frattempo abile elaboratore delle sue doti naturali. Lascia anche spazio “a quello che si può fare sul momento” inserendosi così in una tradizione improvvisativa antica che vivificava l’opera buffa, separandola e unendola al tempo stesso alla Commedia dell’Arte, dall'improvvisazione regolata da codificatissimi canoni, ma pur sempre esposta al lampo brillante dovuto alla serata, all’occasione, al pubblico, all'interprete.

Capuano non ha modelli di riferimento, come egli stesso ammette, anche se trova molti cantanti bravi. Si può ‘perdonare’, dice, “un cantante se una sera fa male, ma non lo si perdona se non riesce a dare emozioni” e aggiunge che “i tempi comici sono difficili sia da insegnare che da imparare”. In un certo qual senso o si hanno, o non si hanno. Noi, spettatori di questo bellissimo allestimento, possiamo dire che Capuano ha trovato tutti i suoi tempi comici molto bene, e anche tutti i gesti adatti, tutta la presenza scenica necessaria, tanto che ha reso davvero Don Alfonso il creatore-regista di questa macchina drammaturgica di inganni e travestimenti.

Meno brillante, al paragone, Despina (Shannon Mercer), dalla dizione non perfetta, sebbene solo a tratti, e nell'agire buffo non così incisiva, comica, e credibile, a nostro avviso. Molto bravi Ferrando (Michael Colvin) e Guglielmo (Russel Braun), forse ancor più brave Fiordiligi (Joni Henson) e Dorabella (Krisztina Szabó).

La scenografia di  Jorge Jara, bellissima e affascinante, si avvaleva anche di elementi quasi metafisici inseriti in una più consueta cornice elegantemente neoclassica: molto efficace, di buon gusto. Belle le luci  di Stephen Ross, ‘naturali’ ma non invasive. La regia (Daniel Dooner), tuttavia, ci è sembrata attribuire troppa caricatura ai due ruoli femminili principali, ricercando, solo a tratti fortunatamente, la risata facile, e imponendo forse un'eccessiva dose performativa a due ruoli certo più canori che recitanti. Indenne da questo piccolo neo registico (che possiamo comprendere e scusare: in fondo ci siamo molto divertiti), Don Alfonso-Enzo Capuano, il quale ha troneggiato, direi, con la sua perfidia macchinosa, con la sua lucida misoginia sugli altri. Pubblico numeroso, e appassionato. Grande successo finale


 



Lettere da Toronto Così fan tutte
ossia La scuola degli amanti Dramma giocoso in due atti di W.A. Mozart (KV 588)


cast cast & credits
 
trama trama

 

Despina (Shannon Mercer)
Despina
(Shannon Mercer),
travestita da notaio

The
Canadian Opera Company
of Toronto
www.coc.ca



  
Foto:
Michael Cooper
 
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