drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Ritornando al "convitato"

di Paolo Patrizi
  Don Giovanni
Data di pubblicazione su web 26/10/2006  
Il Don Giovanni che ha inaugurato la stagione di Jesi è uno spettacolo più importante di quanto possa apparire a tutta prima: senza salire in cattedra con una lettura registica "spinta", ci dice sul Burlador cose non nuove, ma che la prassi teatrale ha per lo più dimenticato. Se il "torniamo all’antico e sarà un progresso" di verdiana memoria ha fornito spesso l’alibi per operazioni di retroguardia, quest’allestimento all’antica italiana è tutt’altro che ammuffito o polveroso.



Marco Vinco (Don Giovanni) e Raffaella Milanesi (Donna Anna)
Marco Vinco (Don Giovanni) e Raffaella Milanesi (Donna Anna)


Ne siamo debitori a Eugenio Monti Colla, penultimo anello generazionale d’una gloriosa dinastia di marionettisti, che nel firmare regia, scene e costumi realizza un’importante lezione di memoria, a saperla cogliere. Primo: ci ricorda che le scene dipinte - soprattutto se funzionali ed eleganti, quali qui si utilizzano - non sono, all’opera, un avanzo del teatro dei nonni, bensì il modo per creare sul fondo del palcoscenico una cassa acustica, che impedisce quella dispersione del suono derivante dall’uso delle scenografie "di costruzione". È una scelta tanto più provvidenziale quando si ha a che fare, come nella fattispecie, con un direttore che imprime sonorità talvolta eccedenti il naturale volume dei cantanti.

Secondo: Colla riporta la vicenda, come mostrano i bei costumi, alla sua originale ambientazione seicentesca. È un modo per prendere le distanze dalle letture "contemporaneizzate", all’insegna d’una esasperata attualizzazione del mito, così come da quelle forzatamente settecentesche, caratterizzate dalla pretesa coincidenza tra Don Giovanni e il suo autore musicale. Ma è anche una maniera per ricondurre il nucleo drammaturgico alle sue origini di teatro di piazza: tra i due ceppi da cui nasce, nel diciassettesimo secolo, il filone dongiovannesco - il teatro colto spagnolo e la tradizione orale italiana, El burlador de Sevilla di Tirso de Molina e Il gran convitato di pietra della nostra commedia dell’arte - Colla opta senza mezzi termini per il secondo. Lo dimostra quel brevissimo prologo innesta sul libretto di Da Ponte: un teatrino di marionette in cui si rappresenta l’inizio del Convitato, salvo andare in dissolvenza dopo poche battute, cedendo il passo al Re minore che apre l’Andante dell’Ouverture.


Don Giovanni


Nel corso dello spettacolo Colla ricorrerà con molta discrezione alla forma d’arte che l’ha reso celebre: le marionette ricompaiono solo in altre due occasioni, lo sposalizio di Zerlina e la cena di Don Giovanni. È però quanto basta per riallacciare il canovaccio alle sue radici popolari, rendendo evidente il gioco teatrale fino a una voluta elementarità, con il Commendatore che qui è - come da copione, ma come quasi mai viene fatto - un cantante infarinato dalla testa ai piedi, che finge d’essere una statua che cammina. E se nell’epilogo di Mozart e Da Ponte tutti i personaggi superstiti rientrano, dopo tanti scombussolamenti, nel cliché da cui erano partiti, Colla enfatizza questa teatralissima idea di circolarità: mentre gli altri intonano "Questo è il fin di chi fa mal", Don Giovanni rientra dagli abissi che l’avevano inghiottito e dà un’ultima occhiata al teatrino, ormai privo di marionette.

A fronte di simile impianto registico era lecito aspettarsi una lettura musicale "all’italiana" (stacchi rapidi, suono vivido, coprotagonismo della parte vocale rispetto al tessuto strumentale) piuttosto che "alla tedesca" (passo più meditato, sonorità più scure, posizione sussidiaria dell’elemento voce). Il direttore ungherese Zsolt Hamar propende invece - o così sembrerebbe - per un Don Giovanni teutonico, in cui la definizione "dramma giocoso" si sposta verso il primo dei due termini. È una lettura che ha il pregio di allontanarsi da certo minimalismo mozartiano di oggi (il petit Mozart caro ai barocchisti passati al tardo Settecento), ma richiederebbe ai cantanti pienezza di suono e personalità timbrica maggiori di quanto, mediamente, si è ascoltato a Jesi.

Qui di elementi adeguati ce n’erano solo due. Da un lato Alessandra Marianelli, poco più che ventenne eppure capace di restituire a Zerlina non solo la freschezza del personaggio, ma le improvvise malinconie e trasalimenti, con una voce la cui adolescenziale limpidezza non esclude quella ricchezza sonora che consente di dialogare testa a testa con il fagotto di "Là ci darem la mano" e il violoncello di "Batti batti, o bel Masetto". L’altro elemento di spicco era Lorenzo Regazzo, un Leporello di vecchia scuola - nonostante la gioventù anagrafica - nella cura dei recitativi, la continua ricerca dell’espressività dell’accento e il coraggio di "giocare" con la voce (quando finge di essere Don Giovanni nell’incontro notturno con Donna Elvira imita spassosamente, nel ghigno manieristico e nel birignao istrionesco, Ruggero Raimondi, a torto o a ragione l’interprete principe di questo ruolo nell’ultimo quarto di secolo).


Don Giovanni


Un Leporello di così marcata personalità canora e interpretativa ha però il torto di enfatizzare i limiti del suo padrone. Marco Vinco ha di Don Giovanni la presenza scenica spigliata e la fisicità aggressiva. Manca però dei requisiti vocali per essere un protagonista credibile. Non si è Don Giovanni se il timbro risulta secco e anonimo, se i recitativi sono tanto più anodini quanto più la mimica facciale si prodiga in svariati effetti, se in "Deh, vieni alla finestra" l’emissione è priva della necessaria rotondità; e tanto basta.

Al di sotto dei desiderata imposti dai rispettivi ruoli pure i soprani gemelli Raffaella e Giorgia Milanesi, nonostante la prima possa contare su un colore più pregiato della seconda. Raffaella annaspa nelle alte quote del pentagramma dove veleggia Donna Anna; Giorgia tenta di risolvere con cipiglio isterico le trappole vocali e interpretative di Donna Elvira, ma i risultati, la sera della "prima", sono talvolta imbarazzanti. Più gradevole, sebbene a tratti sfocato, il Don Ottavio di Antonis Koroneos. "In parte", come si diceva una volta, Rodrigo Esteves quale Masetto. Un po’ fioco per dar voce alla giustizia extraterrena il Commendatore di Michele Bianchini. Gran successo finale per lo spettacolo, destinato anche a Verona, Treviso e Fermo. 

 


Don Giovanni al Pergolesi di Jesi
Dramma giocoso in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart


cast cast & credits
 
trama trama


Fondazione Pergolesi Spontini

 

Libretto














 

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013