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Sbatti il killer in prima pagina

di Marco Luceri
  Scoop
Data di pubblicazione su web 13/10/2006  

Fiacco, noioso, a tratti stucchevole. E’ questa l’impietosa impressione che si ha quando in sala si riaccendono le luci, alla fine dell’ultimo film di Woody Allen, Scoop. L’ambientazione londinese, la presenza dell’attrice più richiesta del momento, Scarlett Johansson, il ritorno alle atmosfere del noir in salsa comica (Misterioso omicidio a Manhattan) non hanno permesso questa volta al prolifico regista newyorkese di ripetere la convincente prova di Match Point.


Il film parte già, all’inizio, basandosi su un artificio di sceneggiatura ampiamente discutibile: un celebre giornalista (Ian MacShane) può realizzare lo scoop della sua vita, ma ha un problema non poco trascurabile: è morto, e viaggia su un’improbabile, funerea imbarcazione guidata dalla Morte incappucciata (un omaggio al tanto amato Bergman?). Il nostro pensa perciò di indagare dall’aldilà, pilotando i movimenti di una giovanissima reporter alle prime armi (Scarlett Johansson), che a sua volta si giova dell’aiuto di un improbabile e imbranato mago d’avanspettacolo (interpretato dallo stesso Allen). Quello che può sembrare all’inizio un ritorno alla vena surreale de La rosa purpurea del Cairo, con questo continuo scambio dimensionale tra i personaggi, finisce però per rivelarsi un puro artificio scenico-drammatico ben poco convincente. Questa sorta di deus ex-machina appare infatti, in sembianze fantasmatiche, nei momenti cruciali del film, nei più importanti snodi narrativi, cercando di sopperire alla vacuità degli stessi eventi narrati. C’è sempre bisogno del suo intervento perché la narrazione possa andare avanti, perché si sciolgano i nodi di un giallo che a fatica riesce a trovare la strada del genere.


Anche sotto questo punto di vista Scoop è un flop. Il film infatti appare sclerotizzato sui clichè del genere: la protagonista è una finta tonta, pronta a indagare su ogni indizio fino a che non si innamora del suo indiziato; Allen nei panni del mago subisce inevitabilmente la pesantezza di una prevedibile simbologia (il prestigiatore sul palcoscenico che gioca con i trucchi creando l’illusione del mistero è come il regista o lo scrittore di gialli che gioca con lo spettatore-lettore a nascondergli la verità fino alla fine); il suo più che un personaggio è lo stereotipo di un personaggio: è la figura dell’ignaro che viene risucchiato suo malgrado, per una fortuita ragione, in una storia che all’inizio non lo interessa, fino a scoprire che c’è un importante motivo che lo coinvolge. Neanche il finale riesce a far decollare il film dalla monotonia che lo scandisce sin dall’inizio: lo smascheramento dell’assassino, il montaggio alternato tra il tentato omicidio di Sandra e la corsa di Sid per salvarla non hanno nessuna tensione emotiva, anche perché la ragazza si salva (un altro punto in cui la sceneggiatura appare debolissima) e Sid si schianta a bordo di una Smart. Un altro grossolano esempio di come Scoop sia un’opera di genere mal riuscita.

Anche il personaggio di Peter Lyman (Hugh Jackman), il presunto assassino indagato dalla coppia Sandra-Sid, bello, ricco e freddo calcolatore, è un concentrato di dejà-vu: Allen per dargli un minimo di credibilità ha pensato di farne un mix tra il Brian Cox di Match point e il Cary Grant de Il sospetto (Hitchcock, 1941), ma sin dall’inizio si capisce che il colpevole non può che essere lui: Allen, invece di nascondere le tracce e gli indizi che portano a Peter, le presenta in faccia allo spettatore in maniera grossolana e manifesta. Questa è forse l’unica, ma infausta, trasgressione alle regole del genere. Altro che Bob Hope. Altro che Agatha Christie. Qui non ci sono nemmeno (ahimé) le battute al vetriolo del repertorio alleniano.


Anche la recitazione, e non poteva essere altrimenti, risente degli affanni e dei vuoti narrativi: a un Woody Allen dalla vena comica assai fiacca, che riproduce sulla scena per l’ennesima volta se stesso, si affianca la pessima interpretazione della Johansson, che è tutta un continuo gesticolare fuori posto, un muoversi in maniera inconsulta e raffazzonata. Peccato perché le discrete prove date in Match point e in The Black Dahlia lnon facevano supporre un così drastico passo indietro.

Alla fine Scoop sembra risentire del conflittuale rapporto che ormai da anni Woody Allen ha con il genere che lo ha reso un autore famoso e rispettato, cioè la commedia. Si ha anzi l’impressione che quest’ultimo film confermi il fatto che il regista americano abbia sfruttato fino alla saturazione i meccanismi del genere, e non riesca più ad andare oltre. Se infatti si guarda la sua filmografia degli ultimi dieci anni il meglio lo ha dato con film tragicomici (Melinda e Melinda), amari (Accordi e disaccordi), se non addirittura drammatici (Match point), laddove invece le sue commedie sono apparse stanche e ripetitive. La prossima volta quindi le carte in tavola potrebbero ancora una volta cambiare. Speriamo.









Scoop
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