Allultima Mostra del Cinema di Venezia hanno inventato un premio ad hoc tutto per lui, per Emanuele Crialese, regista siculo-romano (ma americano dadozione) al suo terzo film, dopo Once we were strangers (uscito solo negli USA) e Respiro, il grande successo del 2003 che lo ha di diritto annoverato tra le grandi promesse del cinema italiano. Promesse che il "ragazzaccio" si è ben guardato da deludere, soprattutto sotto i riflettori della Mostra, che hanno illuminato, negli ultimi giorni di kermesse, il suo sbarco al Lido, come se il suo fosse il film più atteso. E forse, tra quelli in concorso, lo era veramente.
Nuovomondo (o The golden door) è un film che parla di uno degli avvenimenti più toccanti della storia italiana, la grande emigrazione che dai nostri porti spinse allinizio del Novecento milioni di connazionali verso le sponde dellAmerica. Una storia tragica che ha segnato unintera generazione di italiani, pronti al sacrificio di lasciarsi alle spalle le miserie di una vita durissima (in gran parte essi provenivano dalle poverissime campagne del Sud), per tentare di abbracciare il sogno di un nuovo mondo, quello che iniziava con lo sbarco a Ellis Island, dopo un viaggio lunghissimo e massacrante sulle acque dellOceano.
In tre atti, o tre quadri, Crialese narra questevento collettivo attraverso la storia di una famiglia di contadini-pastori siciliani, i Mancuso, tre fratelli (tra cui spicca il maggiore Salvatore, interpretato da un superlativo Vincenzo Amato) e unanziana madre (una straordinaria Aurora Quattrocchi), e di una misteriosa gentildonna inglese (la forse troppo monotona Charlotte Gainsbourg), che si ritrovano loro malgrado a condividere il comune destino di emigranti, sin dallimbarco in Sicilia.
Film strutturato potentemente sulla consequenzialità dei suoi quadri dinsieme, Nuovomondo parte infatti proprio dalla Sicilia rurale dinizio Novecento, dove la povertà, lignoranza e la superstizione si fondono con i riti millenari ed arcaici del Mediterraneo: il Sacro, il Sangue, la Terra, le divinità ancestrali della religiosità contadina si perpetuano attraverso le fatiche dei Mancuso, splendidamente rese dalla sapiente mdp di Crialese, che riesce a costruire con uno stile ricco e completo (bellissima la panoramica iniziale sulla terra brulla e pietrosa) tutta la potenza e il mistero di un mondo fatto di sacrifici e inedie, ma mai privo dellorgoglio e della dignità degli uomini e delle donne che lo attraversano. Nella prima parte (quella meglio riuscita) il regista siciliano condensa perfettamente le suggestioni pittoriche della grande tradizione italiana di Rossellini (Stromboli) e Visconti (La terra trema) e il suo stile originale (denso di primi piani), fatto di grande resa realistica e di curiosi inserti onirici; una scena esemplare, a questo proposito, è quella in cui Salvatore si autoseppellisce sotto la "sua" terra, prima di partire, mentre dagli alberi, di notte, cade una fitta pioggia di monete. E forse il suo modo di restare, seppur nella prossimità del viaggio, legato ad una terra, ad unidentità ben riconoscibile, un bagaglio di vita che non vorrà e non potrà lasciarsi indietro.
Il secondo atto comincia con una splendida immagine di distacco. Un lentissimo movimento laterale della mdp segue lapprossimarsi della nave verso le acque, con le sponde che si dividono: chi parte e chi resta, una comunità che si spezza, un addio dolorosissimo alle vite passate e il viaggio verso lignoto può cominciare. La nave diventa il luogo simbolico di una nuova ricomposizione: la terza classe scoppia, gli uomini da una parte, le donne dallaltra, ma si cerca di ritrovare lidentità perduta attraverso la solidarietà: lantica saggezza contadina che nel comune destino denso di avversità scopre il valore della vita collettiva. La seconda è la parte che più risente della sapienza registica di Crialese che si esplica in un uso sapientissimo del montaggio (spiccano su tutte, due scene: lo scambio di sguardi tra Salvatore e Luce sul ponte della nave e gli incidenti nella stiva in seguito al maremoto) e la coinvolgente partitura sonora, curatissima, che crea delle vere e proprie emozionanti immagini. A tal proposito, lodevole è il lavoro che ha fatto il compositore pugliese Antonio Castrignanò, soprattutto nella parte ambientata sulla nave, sul valore drammatico della musica; il repertorio da cui attinge le melodie Castrignanò si ricollega direttamente alla tradizione popolare della tammurriata siciliana e della pizzica salentina, rielaborate però sia ritmicamente che armonicamente in maniera originale ed efficace.
Il terzo atto, quello forse più debole del film, è ambientato a Ellis Island, dopo lo sbarco, quando le autorità americane passano al settaccio i nuovi arrivati. In una sorta di infernale girone kafkiano gli emigrati vengono sottoposti a controlli fisici, psico-somatici e psicologici che tanto fanno pensare agli strumenti di eugenetica che dopo pochi decenni sarebbero tristemente diventati famosi nella "vecchia" Europa. E il momento più labirintico, claustrofobico e bruciante del film, ma è anche la descrizione lucida e documentata della prima immagine, certamente non confortante, che i nostri connazionali avevano dellAmerica. Unimmagine "moderna" (come dice lineffabile Luce a un poliziotto americano) che è già in sé ambivalente: tragedia e speranza di aver varcato una nuova soglia, una nuova porta, o una nuova finestra, forse quella che Salvatore e gli altri scalano per poter vedere da lontano le case alte come torri e le mille luci del sogno americano. Ma la mdp di Crialese si ferma qui, in un mare latteo ammantato di bianco. Noi, moderni, il nuovomondo non lo vediamo. Perché moderni lo siamo già diventati tanto tempo fa.
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