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I Giuochi son fatti: il Paisiello 'serio' al Valle d'Itria

di Lorenzo Mattei
  I giuochi d'Agrigento
Data di pubblicazione su web 15/09/2006  

La valorizzazione dei compositori pugliesi resta uno dei principali obiettivi del Festival della Valle d'Itria che per l’edizione 2006 torna a puntare su Giovanni Paisiello: dopo averne riscoperto la verve comica (Le due Contesse e Il duello comico nel 2002) e la grandiosità spettacolare dell’unica tragédie lyrique (Proserpine nel 2003), tenta ora di riabilitarne la negletta produzione seria con un titolo – I giuochi d'Agrigento – che tenne a battesimo La Fenice di Venezia il 16 maggio 1792 e che rappresentò per l’epoca un campionario di quanto il 'dramma per musica' post-metastasiano poteva offrire all’uditorio dal punto di vista della varietas drammaturgica e formale: svariati interventi di un coro pensato come 'personaggio collettivo', recitativi strumentati di particolare estensione e floridezza concertante, dilatazione dei pezzi chiusi tramite cori e 'pertichini', episodi di ipotiposi con reminiscenze affidate al potere evocativo di un'orchestra timbricamente variegata. E non poteva essere altrimenti se si considera che il librettista e il 'regista' dell'opera fu l'eccentrico conte Alessandro Pepoli, una sorta di Calzabigi in versione veneta dedito ad una personale 'riforma' mirata all’abbattimento degli abusi canori e attoriali invalsi nel coevo 'star system'.

I giuochi d'Agrigento
I giuochi d'Agrigento


La finalità ultima dei Giuochi non risiedeva tuttavia nell’applicazione di volenterose sperimentazioni compositive, bensì nello sfoggio della valentìa belcantistica dei cantanti di turno: Gasparo Pacchierotti celebre musico al tramonto (oggi il falsettista siriano Razek François Bitar), Brigida Giorgi Banti pirotecnica prima donna (il soprano Maria Laura Martorana), il poderoso tenore Giacomo David (Marcello Nardis) e il basso buffo Girolamo Vedova (Vincenzo Taormina) qui convertito ad un ruolo sacerdotale che farà scuola per molte opere a venire, dai cimarosiani Orazi fino alla rossiniana Semiramide. Riuscire ad re-indossare quegli 'abiti canori', tagliati su misura per singole (e strabilianti) voci, è il vero problema che assilla ogni recupero di titoli seri del '700 e che può determinarne o meno la piena riuscita. Il vestito confezionato dal sarto Paisiello per la prima donna era calzato a meraviglia dalla bravissima Martorana e con dignità dal bravo Taormina, ma stava stretto a Bitar (con problemi nei passaggi di registro e nella tenuta degli acuti) ed era improponibile per il tenore Nardis. Corretta ma non esaltante la prova ('da sorbetto' con coro) dei comprimari Nicola Amodio e Mara Lanfranchi. Buona la direzione di Giovanni Battista Rigon che ha conferito all'Orchestra Internazionale d'Italia la pulizia tipica delle sue interpretazioni pianistiche con il Trio Italiano (il suono restava però in sordina, alcuni stilemi del formulario 'serio' erano applicati con fredda meccanicità e certi stacchi di tempo non rapidi facevano collassare le architetture musicali più ampie). Poco condivisibili le scelte registiche di Marco Gandini inette a cogliere non tanto le prescizioni didascaliche del libretto quanto i giochi tra pieni e vuoti, tra spazi pubblici e nicchie d’intimità, qui inficiati anche dall'infelice scelta di collocare i coristi nel recinto orchestrale e di non farli agire al fianco dei personaggi: giustificare l'ibridismo tra forma scenica e forma di concerto appigliandosi alla rievocazione del coro greco posto a commento dell'azione è fuorviante, perché Pepoli definiva i Giuochi un'«opera a Cori» ricca di dinamismo scenico (assicurato proprio dall'interazione tra coralità, comparse e voci soliste) e generosa nel distribuire effetti stereofonici e di spazializzazione in termini fonici. 

I giuochi d' Agrigento
I giuochi d' Agrigento


Una volta tanto che un'opera seria si allontanava dalla consueta staticità cui ci hanno abituato certi allestimenti paludati, il regista ha optato per un immobilismo insensato e protratto anche nelle situazioni di panico (i sacerdoti al grido «compagni andiam si fugga», con didascalia che recita «partono tutti chi qua, chi là con vari movimenti di terrore», se ne vanno a testa bassa e a passo cadenzato) e di sorpresa (nel duetto tra i protagonisti il colpo di scena – tipico di schemi drammaturgici farseschi – prodotto dall'arrivo inatteso del sacerdote, viene neutralizzato poiché la prima donna gli va incontro, pur ignorandone la presenza!). Anche le scene di Italo Grassi restano indifferenti alla natura di questo straordinario e atipico dramma serio: l'ambiziosa rievocazione di un neoclassicismo tra le due guerre (Terragni, Sironi, De Chirico, Savinio, Cocteau, Eliot, Pound) e di un neo-neoclassicismo architettonico (da Carlo Scarpa a Isozaki) restava fine a se stessa e raffreddava l'originaria drammaturgia pepoliana che sotto i pepli tradiva un’irrequietezza scenica e psicologica. Quanto ai costumi Silvia Aymonino si allinea con l'imperante tendenza ad ambientazioni anni '20-'30 ed allude ai primi tornei di Wimbledon (ma perché incappucciare i giudici di linea? Lo capivamo comunque che si trattava di sacerdoti) facendo rimpiangere le eleganti ideazioni di Massimo Gasparon.

 

I giuochi d' Agrigento
I giuochi d' Agrigento

 
Il successo solo parziale di simili operazioni culturali sembra confermare l'urgenza d'intersezioni tra il mondo di enti lirici, festivals, direttori artistici, registi e il mondo della ricerca musicologica.



I giuochi d'Agrigento
Dramma lirico in tre atti


cast cast & credits
 

 

 

 

 

 

Il libretto de I giuochi d'Agrigento





 
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