Déjà vu
E' stato uno dei film più attesi dell'anno The Black Dhalia, l'ultima opera di Brian De Palma, tratto dal famosissimo romanzo del celebre scrittore noir americano James Ellroy.
Aaron Eckhart
Nell'oscura e violenta Los Angeles a cavallo tra i Quaranta e i Cinquanta, due poliziotti amici e rivali, entrambi ex-pugili: Bucky Bleichert (Josh Hartnett) detto "il Ghiaccio" e Lee Blanchard detto "il Fuoco" (Aaron Eckhart) indagano sul ritrovamento, sulle colline di Hollywood, del corpo nudo, tranciato in due e orrendamente sfigurato, di una ragazza che si scoprirà essere Elizabeth Short (detta la Dalia Nera), attricetta poco talentuosa, ma di facili costumi, emarginata dallo star system. L'indagine entra prepotentemente nella vita dei due, intrecciate anche perché Bucky si innamora della donna dell'amico, l'ex prostituta Key (Scarlett Johansson) e allo stesso tempo intraprende una torbida relazione con Madeleine (Hilary Swank), femme fatale che si atteggia e si veste come la Dalia Nera.
Come da copione, verrebbe da dire, inevitabilmente è la "Città degli angeli" a emergere prepotentemente in primo piano (Dante Ferretti l'ha ricostruita in Bulgaria) e l'immagine è quella torbida che la letteratura americana ha costruito raccontando le sue miserie e le sue violenze. Da John Fante a Edward Buncher, da Raymond Chandler allo stesso Ellroy il selvaggio mondo suburbano di Hollywood è quello marcio in cui anche i possibili eroi (i due detective del film) sono personaggi moralmente discutibili. Né buoni né cattivi insomma, solo uomini veri persi nel precipitare continuo e ossessivo degli eventi, animali tenuti in gabbia da un soffocante passato da cui non riescono mai a venire fuori. La complicatissima e fluviale trama del romanzo è stata conservata quasi intatta nel film, tanto da far pensare a un eccessivo calligrafismo da parte di De Palma e del suo sceneggiatore Josh Friedman; per il resto il film è pesantemente segnato dal déjà vu.
Sicuramente non sono territori nuovi quelli che De Palma, cioè il regista di Vestito per uccidere, Omicidio a luci rosse ecc., attraversa nel nuovo film, ma stavolta il mix di delitti, pistole, detective alla Marlowe, donne fatali, fumo, cappelli e tutti gli orpelli più scontati del film di genere sono presenti in The Black Dhalia nel modo più esibito e compiaciuto possibile, tanto che durante la visione del film, certamente non noiosa se lo spettatore si presta al gioco, si ha l'impressione di vedere un film che ha nostalgia di se stesso più che del cinema classico alla Hawks, quello degli anni Quaranta e Cinquanta, dei Bogart, dei Fuller e dei postini che suonano sempre due volte. Proprio così: The Black Dhalia è un film vecchio, stanco, che con la nostalgia del cinema non ha niente a che fare, visto che spesso si ricorre alla citazione forzata, relegando agli abiti di scena e agli accessori il "dovere" di rievocare un qualcosa che è irrimediabilmente perduto. Non basta infatti il color seppia dato alla pellicola per riportarci indietro, proprio perché tutto sa di costruito, di artificialmente vuoto.
Dov'è lo sguardo autoriale allora? Relegato in due sequenze, due pezzi di bravura e di grande cinema: la scoperta del cadavere e soprattutto i provini della Dalia Nera, girati dallo stesso De Palma in bianco e nero, con la sua voce off a ricordarci che un tempo non tanto lontano era il regista del voyeurismo cinematografico più penetrante e destabilizzante.
Aaron Eckhart and Josh Hartnett
Per il resto degne di nota sono solo le prove delle due interpreti femminili. Hilary Swank può ormai considerarsi una delle più mature interpreti di Hollywood, sempre alla ricerca di ruoli difficili, sospesi tra l'ambiguità sessuale (insuperabile a questo proposito la sua interpretazione di Boys don't cry, che le valse l'oscar nel 1999) e l'innocenza infranta. Anche in questo ultimo film riesce a primeggiare indiscutibilmente sugli altri attori per l'originalità con cui riesce a costruire e a modellare il suo personaggio sul suo corpo, attraverso un sapientissima uso della mimica e di tutte le possibilità interpretative della sua sinuosa e prestante fisicità.
La Johansson sta lentamente crescendo. E' ancora giovanissima (ha solo 23 anni), ma sta affiancando alla sua incantevole bellezza anche un certo rigore professionale. Non è più (per fortuna) la scadente attricetta di Lost in traslation (in cui il suo insostenibile broncio viene oscurato dalla maturità interpretativa di Bill Murray), ma assomiglia sempre più all'attrice che Woody Allen sta lentamente modellando prima attraverso Match point, poi in Scoop, che sarà nelle sale tra qualche mese. Da sapiente e attento direttore di attori qual è, Allen sta riuscendo a tirare fuori il meglio da un'attrice che potrebbe presto diventare un ottimo mix di sensualità e provocazione dalle multiformi risorse interpretative; in questo senso va riconosciuta alla Johansson l'intelligente pretesa di voler lavorare esclusivamente con gli autori, tra cui, appunto, De Palma (nonostante le perplessità di Ellroy, che la giudicava troppo giovane per interpretare un ruolo di una donna sulla quarantina, alla Lana Turner).
Aaron Eckhart
Nell'oscura e violenta Los Angeles a cavallo tra i Quaranta e i Cinquanta, due poliziotti amici e rivali, entrambi ex-pugili: Bucky Bleichert (Josh Hartnett) detto "il Ghiaccio" e Lee Blanchard detto "il Fuoco" (Aaron Eckhart) indagano sul ritrovamento, sulle colline di Hollywood, del corpo nudo, tranciato in due e orrendamente sfigurato, di una ragazza che si scoprirà essere Elizabeth Short (detta la Dalia Nera), attricetta poco talentuosa, ma di facili costumi, emarginata dallo star system. L'indagine entra prepotentemente nella vita dei due, intrecciate anche perché Bucky si innamora della donna dell'amico, l'ex prostituta Key (Scarlett Johansson) e allo stesso tempo intraprende una torbida relazione con Madeleine (Hilary Swank), femme fatale che si atteggia e si veste come la Dalia Nera.
Come da copione, verrebbe da dire, inevitabilmente è la "Città degli angeli" a emergere prepotentemente in primo piano (Dante Ferretti l'ha ricostruita in Bulgaria) e l'immagine è quella torbida che la letteratura americana ha costruito raccontando le sue miserie e le sue violenze. Da John Fante a Edward Buncher, da Raymond Chandler allo stesso Ellroy il selvaggio mondo suburbano di Hollywood è quello marcio in cui anche i possibili eroi (i due detective del film) sono personaggi moralmente discutibili. Né buoni né cattivi insomma, solo uomini veri persi nel precipitare continuo e ossessivo degli eventi, animali tenuti in gabbia da un soffocante passato da cui non riescono mai a venire fuori. La complicatissima e fluviale trama del romanzo è stata conservata quasi intatta nel film, tanto da far pensare a un eccessivo calligrafismo da parte di De Palma e del suo sceneggiatore Josh Friedman; per il resto il film è pesantemente segnato dal déjà vu.
Sicuramente non sono territori nuovi quelli che De Palma, cioè il regista di Vestito per uccidere, Omicidio a luci rosse ecc., attraversa nel nuovo film, ma stavolta il mix di delitti, pistole, detective alla Marlowe, donne fatali, fumo, cappelli e tutti gli orpelli più scontati del film di genere sono presenti in The Black Dhalia nel modo più esibito e compiaciuto possibile, tanto che durante la visione del film, certamente non noiosa se lo spettatore si presta al gioco, si ha l'impressione di vedere un film che ha nostalgia di se stesso più che del cinema classico alla Hawks, quello degli anni Quaranta e Cinquanta, dei Bogart, dei Fuller e dei postini che suonano sempre due volte. Proprio così: The Black Dhalia è un film vecchio, stanco, che con la nostalgia del cinema non ha niente a che fare, visto che spesso si ricorre alla citazione forzata, relegando agli abiti di scena e agli accessori il "dovere" di rievocare un qualcosa che è irrimediabilmente perduto. Non basta infatti il color seppia dato alla pellicola per riportarci indietro, proprio perché tutto sa di costruito, di artificialmente vuoto.
Dov'è lo sguardo autoriale allora? Relegato in due sequenze, due pezzi di bravura e di grande cinema: la scoperta del cadavere e soprattutto i provini della Dalia Nera, girati dallo stesso De Palma in bianco e nero, con la sua voce off a ricordarci che un tempo non tanto lontano era il regista del voyeurismo cinematografico più penetrante e destabilizzante.
Aaron Eckhart and Josh Hartnett
Per il resto degne di nota sono solo le prove delle due interpreti femminili. Hilary Swank può ormai considerarsi una delle più mature interpreti di Hollywood, sempre alla ricerca di ruoli difficili, sospesi tra l'ambiguità sessuale (insuperabile a questo proposito la sua interpretazione di Boys don't cry, che le valse l'oscar nel 1999) e l'innocenza infranta. Anche in questo ultimo film riesce a primeggiare indiscutibilmente sugli altri attori per l'originalità con cui riesce a costruire e a modellare il suo personaggio sul suo corpo, attraverso un sapientissima uso della mimica e di tutte le possibilità interpretative della sua sinuosa e prestante fisicità.
La Johansson sta lentamente crescendo. E' ancora giovanissima (ha solo 23 anni), ma sta affiancando alla sua incantevole bellezza anche un certo rigore professionale. Non è più (per fortuna) la scadente attricetta di Lost in traslation (in cui il suo insostenibile broncio viene oscurato dalla maturità interpretativa di Bill Murray), ma assomiglia sempre più all'attrice che Woody Allen sta lentamente modellando prima attraverso Match point, poi in Scoop, che sarà nelle sale tra qualche mese. Da sapiente e attento direttore di attori qual è, Allen sta riuscendo a tirare fuori il meglio da un'attrice che potrebbe presto diventare un ottimo mix di sensualità e provocazione dalle multiformi risorse interpretative; in questo senso va riconosciuta alla Johansson l'intelligente pretesa di voler lavorare esclusivamente con gli autori, tra cui, appunto, De Palma (nonostante le perplessità di Ellroy, che la giudicava troppo giovane per interpretare un ruolo di una donna sulla quarantina, alla Lana Turner).
Cast & credits
Titolo
The Black Dahlia |
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Origine
Usa |
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Anno
2006 |
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Durata
120 |
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Colore | |
Titolo testo d'origine
Dal romanzo omonimo di James Ellroy |
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Soggetto
James Ellroy |
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Regia
Brian De Palma |
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Interpreti
Josh Hartnett (Dwight 'Bucky' Bleichert) Scarlett Johansson (Kay Lake) Aaron Eckhart (Leland 'Lee' Blanchard) Hilary Swank (Madeleine Linscott) Mia Kirshner (Elizabeth Short) Fiona Shaw (Ramona Linscott) Richard Brake (Bobby Dewitt) Kevin Dunn (Cleo Short) Patrick Fischler (Ellis Loew) John Kavanagh (Emmet Linscott) Rose McGowan (Sheryl Saddon) Graham Norris (Sergente John Carter) |
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Produzione
RUDY COHEN, MOSHE DIAMANT E ART LINSON PER SIGNATURE PICTURES, EQUITY PICTURES MÉDIENFONDS GMBH & CO. KG III, MILLENNIUM FILMS, NU IMAGE |
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Distribuzione
01 DISTRIBUTION |
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Scenografia
Dante Ferretti |
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Costumi
Jenny Beavan |
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Sceneggiatura
Josh Friedman |
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Montaggio
Bill Pankow |
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Fotografia
Vilmos Zsigmond |
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Effetti speciali
Willie Botha |
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Musiche
James Horner |
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Note
Note - FILM D'APERTURA ALLA 63MA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2006) |