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Umiliazioni e riscatti

di Sara Mamone
  Julio Chavez in una scena del film
Data di pubblicazione su web 16/02/2006  
Ricorda un po’ Le conseguenze dell’amore di Paolo Sorrentino il bel film argentino di Rodrigo Moreno, El custodio (La guardia del corpo, che invece nulla ha da spartire con il quasi omonimo La scorta): il regista, poco più che trentenne, gira con assoluta sicurezza dei propri mezzi una storia che ha per protagonista uno spaesato di cui si intuisce un passato in un altrove non definito, mentre la situazione presente lo mette ai margini della vita degli altri e fuori dalla propria, il mistero non si chiarisce con lo svolgersi della vicenda, che pare anzi immobile nella sua ripetitività, i dettagli sono sempre più importanti dei dati macroscopici e, soprattutto, sia l’uno che l’altro vivono per la presenza di un attore mirabile, apparentemente banale, ma che è la ragione vera dell’esistenza del film. Cosa sarebbe infatti l’opera di Sorrentino senza Toni Servillo e cosa sarebbe questo Custodio senza la pacata rassegnazione di Julio Chavez, il suo corpo appesantito ma agile, lo sguardo rassicurante percorso da lampi che aprono sull’abisso?

Julio Chavez
Julio Chavez

Sarebbe la storia ben raccontata ma fin troppo banale di una vita vista di striscio, rubata attraverso inquadrature che mostrano solo scorci di scena (tra porte socchiuse, primi piani che inquadrano e delimitano volti di sfondo), sarebbe le storia di una pistola d’ordinanza che alla fine invece di proteggere sparerà (ma questo lo capiamo fin dall’inizio perché sappiamo che una regola del cinema dice che se c’è una pistola in giro prima o poi sparerà). Sarebbe soprattutto l’assunto un po’ frusto che ci sono professioni che mangiano la vita, che ci sono destini di opacità e disperazione, che ci sono i padroni e i servi e che Rubén è nato servo, anche se nello squallore inenarrabile della sua vita fatta di attese (attendere il ministro che è a casa, attendere il ministro che è andato dall’amante, attendere il ministro in riunione, la figlia del ministro che pretende di abbandonarsi a giochetti erotici con il suo boy friend sulla macchina di servizio, attendere senza essere visto, come si richiede a un buon domestico) si insinua il sollievo di una privatissima pratica artistica. Sarebbe soprattutto una buona idea, un po’ troppo manichea, di film che viaggia al trotto per i primi cinque minuti e poi diventa quasi ad episodi, una sorta di casistica dell’umiliazione (quella pubblica simmetricamente commentata da quella privata: sorella pazza, nipote squinternata, frequentazioni più che dubbie, prostituta di infimo ordine etc.). Nobili intenti di indignazione umana e sociale perfettamente raggiunti dunque con annessa sazietà.

Julio Chavez
Julio Chavez

Se non fosse per lui, il nostro metodico “vinto” che viaggia per tutto il film sul filo di una umiliazione che non ci convince. Quello che sembrava forse soltanto un saper attendere con dignità è forse ben altro, quella misteriosa fierezza che si insinuava per lampi trova forse una spiegazione diversa quando durante una delle tante attese il protagonista incontra uno sconosciuto che lo riconosce come persona importante di cui il fratello gli aveva sempre parlato, destinato a fare ben altra carriera. E tutto d’improvviso pare allora poter cambiare, l’umiliazione è solo il mezzo di uno scopo. Ma che cifra ha questo scopo (uccidere il ministro) se non è più il gesto di un’esasperazione improvvisa? E che cosa poteva significare nell’Argentina di non molti anni fa (quella da cui pare, per tutti i suoi riferimenti oltre che per anagrafe, provenire) “fare carriera”? I giochi sembrano riaprirsi completamente, forse anche un po’ alle spalle del regista stesso, giovane intellettuale di punta (docente di scrittura creativa), loquace nelle note esplicative nel dare un senso riduttivo a quella straordinaria apertura di ambiguità che gli regala il protagonista grandioso. Speriamo di poterci riflettere meglio nell’auspicabile uscita italiana.   



El custodio
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Rodrigo Moreno
Rodrigo Moreno


 
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