Fra le tante trasformazioni inflitte al nostro modo di scrivere (fra cui abbreviazioni selvagge, segni matematici o grafici che sostituiscono parole, ecc.) ce nè una particolarmente sgradevole e immotivata: sempre più – quasi sempre ormai – si scrive po con laccento invece che con lapostrofo. Po, è noto, è già unabbreviazione, quella della parola poco. Da qui lapostrofo. Cosa succede ora col dilagare della scrittura via computer e via telefonino? Che a scrivere correttamente po si impiegano tre “ditate” sulla tastiera: la p, la o e lapostrofo. Invece, se si scrive con laccento, le “ditate” sono solo due: la p e la o già accentata. Il tasto della o con lapostrofo incorporato non esiste per ovvi motivi di infrequenza di tale segno grafico nella nostra scrittura.
Una ditata ci prende sì e no mezzo secondo. E noi, per risparmiare mezzo secondo (quando perdiamo ore e ore a mangiare cibo avariato ammannito dalla TV, o fermi in coda nel traffico) tradiamo la povera parolina togliendole il corretto apostrofo e storpiandola con un perentorio accento. Ora, la parola po è già una parolina breve e discreta, che non dà noia a nessuno, non occupa spazio e rivela la sua modestia anche nel significato: un po, appena un po. E una parola ridotta e che riduce, invita a non alzar troppo la cresta, ad aggiustare il tiro, a darsi una regolata. Non chiede niente, solo lapostrofo che le spetta di diritto e che la rende leggiadra, allusiva, sottile e protesa verso quel che le manca, il resto della parola, a cui rinuncia di buon grado.
Invece noi, per risparmiare un microscopico mezzo secondo, le schiaffiamo un pesante accento sulla o, trasformandola in qualcosa che evoca, semmai, la meno leggiadra popò.
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