Il boccascena barocco di un teatro sventrato presumibilmente da un bombardamento accoglie le vicende di Anna Fierling, alias Madre Courage, impegnata a sopravvivere il meglio possibile durante la sanguinosa e infinita Guerra dei Trent'anni (1618-1648). La scenografia, ideata da Matthias Langhoff ex-allievo dello stesso Brecht, se da una parte rimanda alla logica brutale e primitiva del conflitto, dall'altra introduce un discorso squisitamente metateatrale, oggettivando la volontà di attaccare e abbattere ogni tradizione rappresentativa, sia pure quella preservata dallo stesso Berliner Ensemble. E così il boccascena fa a tratti da cornice a un fondale coloratissimo, che rimanda alle affiches anni Cinquanta dei film hollywoodiani.
Madre Courage e i suoi figli
Il cinema, poi, torna ancora nell'uso di un proiettore che, fissato su un carrello fatto scorrere lungo due binari situati in proscenio, viene man mano puntato su personaggi e situazioni, colti quasi in estemporanei primi piani. Scelte che valorizzano una regia piuttosto piana, resa interessante appunto da singoli espedienti e invenzioni. Tra questi ricordiamo ancora le musiche, intelligentemente riadattate da Carlo Boccadoro che, attenuandone la natura originaria da cabaret anni Trenta, le avvicina al nostro orecchio. E, poi, la traduzione dei siparietti previsti da Brecht in didascalie pronunciate ad un microfono a stelo da un ragazzino (Jacopo Surico) vestito quasi come una rockstar, la cui voce stridula e immatura si rivela la chiosa migliore alle vicende rappresentate. Queste ricostruiscono le peripezie di Courage - per nulla avventurose bensì originate da un disperato e cinico istinto di sopravvivenza - che attraversa con il suo amato carro pieno di cianfrusaglie l'Europa affamata e incattivita dalla guerra.
La donna - ma lo stesso vale anche per i personaggi che incontra sul suo cammino, primi fra tutti il cappellano (Ugo Maria Morosi) e il cuoco (l'attore serbo Miodrag Krivokapic) - raggela dentro sé stessa pietà e affetto, vinti da un egoismo e da una bramosia di denaro che incrinano anche il contraddittorio rapporto con i figli, trattati allo stesso tempo come proprietà a cui a volte è più conveniente rinunciare - i suoi tentennamenti costano la vita al secondogenito Schweizerkas (Enzo Paci) - ovvero vittime indifese da proteggere - rinuncia a seguire il cuoco per non abbandonare la figlia Kattrin, muta (Arianna Comes).
La tenerezza, tuttavia, è estranea alle corde del suo sentire e il dolore stesso, benché insostenibile quale può essere soltanto quello causato dalla morte dei propri figli, è soffocato, sigillato nella freddezza e nel disincanto e accantonato dalla necessità di andare avanti, comunque. Stridente appare allora il contrasto con la sofferenza gridata della prostituta Yvette (Frédérique Loliée) il cui cuore non si è ristretto per troppa cupidigia.
Mariangela Melato aderisce perfettamente a questa lettura di Madre Courage e presta al personaggio la sua recitazione lineare, quasi scientifica, aliena dai facili effetti e dai repentini passaggi di tonalità, ma assai efficace nella dimostrazione del cinismo e della gelida disperazione di una donna determinata a salvare a ogni costo il proprio carro, sua unica proprietà e, in fondo, il primo fra i suoi figli. Paradigmatica l'immagine che chiude lo spettacolo: Courage è rimasta sola a trainare la propria "creatura" e i lineamenti sul volto della Melato sono fermi e rigidi, gli occhi asciutti guardano davanti a sé senza apparenti esitazioni. Un'interpretazione eccellente accanto alla quale non sfigurano quelle fornite dal resto del cast, arricchito dalla significativa presenza di artisti non italiani, il cui accento ci fa ricordare l'"universalità" degli istinti primari dell'uomo.
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Madre Courage e i suoi figli
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Madre Courage
e i suoi figli
Mariangela Melato
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