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Umanità vista dalla Luna

di Laura Bevione
  The far side of the moon
Data di pubblicazione su web 10/12/2002  
L'oblò di una lavatrice che diventa lo sportello di una navicella spaziale, un asse da stiro che, oltre alla sua canonica funzione, può rapidamente trasformarsi in vari attrezzi da palestra e persino in una motocicletta. Solo due esempi, impregnati di garbata comicità e di intelligenza teatrale, della fantasia del drammaturgo, regista e attore canadese Robert Lepage.

La storia della conquista della Luna e la gara fra Stati Uniti e Unione Sovietica per il primato dello spazio fanno da cornice alla pittura della difficile relazione fra due fratelli di Montréal, in lutto per la recente scomparsa della madre. André è un uomo di successo, brillante presentatore delle previsioni del tempo, mentre il maggiore, Philippe, tenta invano di portare a termine la sua tesi di dottorato, dedicata proprio alle implicazioni filosofiche delle esplorazioni spaziali. Nel corso dei tentativi di trovare "sponsor" per i propri originali ma disperati studi, Philippe entra in contatto con Alexei Leonov, il cosmonauta russo che per primo "passeggiò" nello spazio. Leonov appare in scena nelle vesti di un manichino agghindato con una divisa militare e abilmente manipolato mentre una voce fuori campo lo fa parlare un inglese dall'inconfondibile accento russo.

È un'attenzione al singolo particolare che contraddistingue l'intero allestimento e che non è frutto di sterile pignoleria bensì di un genuino interesse per le piccole cose. La poetica di Lepage si regge sulla convinzione che l'universalità dell'opera artistica possa essere conquistata solo partendo dall'osservazione della realtà quotidiana, prolungata e paziente così da cogliere anche aspetti mai considerati. È in questo modo che Lepage alimenta la propria visionarietà che, unita a una disinvolta padronanza dei meccanismi teatrali, gli consente di costruire uno spettacolo mirabile sotto ogni punto di vista: le scene che ricreano con piccoli espedienti mille paesaggi, esterni e interni, le luci ora abbaglianti ora quasi da tenebra, l'uso creativo dei pochi oggetti di scena, il ricorso alla telecamera che duplica il volto dell'interprete, i pupazzi. Yves Jacques è un ideale esecutore della poetica di Lepage e con il suo corpo e il suo viso, flessibilissimi, dà sostanza a più personaggi, differenziandoli con una minuziosa cura dei gesti e degli accenti - magistrale l'interpretazione della madre defunta, un vero studio su movenze e atteggiamenti tipicamente femminili.

L'intelligenza teatrale del regista, poi, si unisce a quella prettamente drammaturgica, così che battute e dialoghi, benché con levità e ironia sottile, penetrano in annose questioni di politica internazionale, ovvero indagano i motivi nascosti dell'agire umano. Parola e regia si rispecchiano con naturalezza: se la spinta ultima alle esplorazioni spaziali è il narcisismo proprio dell'uomo, il pubblico in sala non esiterà certo a cercare il proprio volto nello specchio che Jacques punta verso la sala.

Il senso ultimo di questo spettacolo è nella spiegazione della differenza fra astronauta e cosmonauta che l'attore fa illustrare con fervore al suo Philippe: l'astronauta è colui che vaga fra gli astri, il cosmonauta, invece, è colui che ricerca la bellezza (è il significato originario della parola "cosmo"). La stessa bellezza racchiusa in questo emozionante frutto della genialità di Lepage.

The far side of the moon
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