Non cè dubbio che Lesorcista, diretto da William Friedkin nel 1973 e tratto dal romanzo omonimo di William Peter Blatty, sia uno dei capisaldi del cinema, non solo horror, di tutti i tempi. Il volto di Linda Blair e le contorsioni che segnavano la sua condizione di posseduta fanno ormai parte della memoria collettiva e a lungo hanno rappresentato un segno distintivo del genere. Il capostipite ha dato origine negli anni successivi a due seguiti, che non sono mai riusciti a eguagliare limpatto del primo. A oltre trentanni di distanza si è invece pensato di raccontare linizio della storia, e nel 2004 è uscito Lesorcista: la genesi, diretto da Renny Harlin, che trasferiva lambientazione in Africa per narrare le vicende di padre Merrin, alle prese con lapparizione del Demonio durante una serie di scavi geologici.
Harlin, tuttavia, non era stato il primo regista a essere contattato dalla produzione per dirigere il prequel; il primo candidato, Paul Schrader (già sceneggiatore di Taxi Driver e regista, tra gli altri, di Il bacio della pantera), era stato allontanato dopo poche settimane di riprese, e il materiale da lui girato scartato. Dominion: Prequel to the Exorcist è, pertanto, la versione "antagonista" di quella ufficiale, il film maledetto girato tra il 2002 e il 2003 e finalmente concluso e proiettato, la personale interpretazione di Paul Schrader di uno dei miti del cinema horror contemporaneo.
Non cè da stupirsi, dato il retroterra da cui proviene Schrader (formazione rigidamente calvinista) e i temi espressi nellarco di tutta la sua filmografia, che il film sia incentrato soprattutto su argomenti più prettamente morali e religiosi; fin dallinizio è chiara la grande importanza del tema della colpa, ben delineato dallepisodio iniziale ambientato in un campo di concentramento nazista durante la seconda guerra mondiale. Dominion è, di fatto, unanalisi della psicologia di padre Merrin, o come ha affermato lo stesso regista , "un viaggio nellanima" del protagonista. Lazione passa in secondo piano, le sequenze spettacolari sono come ritorte su se stesse e il film si concentra invece sul dissidio morale di padre Merrin, evidenziando fin dallinizio la perdita della fede e la difficoltà di combattere il Nemico avendo perso la capacità di credere ciecamente alla religione.
È questa la grande differenza con il film di Harlin, con il quale peraltro presenta moltissime affinità, prima tra tutte la presenza dello stesso attore (Stellan Skarsgård), ma anche lo svolgimento della trama, che è praticamente identico. Dominion prende la storia come pretesto per lavorare allinterno della psicologia del protagonista, estendo poi lanalisi a tutti gli uomini, dei quali egli si fa simbolo. Il film insiste, inoltre, sul dissidio interiore di padre Merrin, combattuto tra il proprio ingombrante passato, la ferma volontà di opporsi alla presenza del Demonio e una malcelata attrazione fascinosa nei confronti di questultimo, quasi che esso rappresentasse una parte nascosta di sé che non si riesce a cancellare (e sappiamo che lattrazione per il Male è insita nella natura umana). Riflessione sui turbamenti che la natura pone di fronte alluomo, Dominion è anche metafora dellaspirazione dellumano a diventare divino, quandanche la divinità non appartenga alle forze del Bene ma a quelle opposte. Schrader aspira con tutta evidenza a uscire dalle convenzioni del genere, realizzando una pellicola sui generis (come il capostipite, che brilla per la sua atipicità nel panorama del cinema horror) e contaminandola con riferimenti al cinema di guerra, non solo nella sequenza iniziale ma diluendola nel corso della narrazione..
Eppure, nonostante gli indubbi meriti, il film non riesce a elevarsi davvero rispetto alla pellicola a esso parallela, rispetto alla quale sconta una palese inferiorità sotto il profilo visivo. Lesorcista: la genesi, infatti, pur carente dal punto di vista narrativo e concettuale, conteneva quantomeno alcune sequenze degne di nota, mentre il film di Schrader, piuttosto piatto visivamente, rimane incerto anche nei contenuti, troppo sbilanciato nel tentativo abortito di riflettere sulla natura umana per avere la pregnanza che le regole del genere imporrebbero. Il risultato è una pellicola che non trova mai una dimensione univoca, ma sembra inseguire un approdo che sfugge sempre e che lascia perplessi anche nelle sequenze conclusive, risolvendosi in un finale banale e prevedibile, privo di qualsivoglia cifra emotiva.
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