Fasi rituali
Alla Mostra di Venezia di quest'anno, la sezione Orizzonti è stata forse tra le più lodevoli in quanto a differenziazione di offerta di film, tra questi ci pare doveroso segnalare il bizzarro Drawing Restraint 9 di Matthew Barney, un'opera che si presenta come un evento performativo alieno alla prassi della visione spettatoriale consuetudinaria.
Teatro delle azioni sceniche è una enorme baleniera, da cui prende nome il film, in cui un uomo e una donna occidentali, Barney e la sua compagna Björk, attraversano un processo di purificazione e avvicinamento che li porterà ad una costituzione di una nuova forma, fisica e spirituale. Solo per accennare alle vicende dei due protagonisti, i quali hanno come comprimari i luoghi e i materiali che li circondano, non come significanti elementi scenografici, ma come dei veri e propri soggetti in continua evoluzione. Ad esempio sulla nave si segue in parallelo alle vicende dei due protagonisti il lento ed elaborato allestimento di un'enorme vasca nella quale viene versato del grasso animale gelatinoso la cui massa informe straborda rovinando il tentativo di contenimento.
Come sinteticamente si è cercato di far intendere l'opera non si basa su uno svolgimento drammaturgico di stampo narrativo, ma su una scrittura performativa che coinvolge corpi, ambienti e materiali, inseriti in un contesto rarefatto, che della sospensione spazio temporale fa una cifra formale, espressa attraverso desolati campi lunghi, e attenti dettagli sui gesti. Il film di 150' di durata, appare infatti insostenibile se osservato come cinema dalla struttura narrativa, ma trova il suo interesse nell'identificarsi come oggetto audiovisivo amorfo, immediatamente accostabile agli eventi della Biennale d'Arte, con cui condivide la presenza di Bjork, nel film attrice oltre che autrice della dissonante colonna sonora, nel padiglione islandese della Biennale corpo a servizio dell'artista Gabriela Fridriksdottir.
Nel fondo di questa opera/evento una riflessione sul confronto tra culture e sul processo di orientalizzazione che si sta insinuando nel mondo occidentale: la processione nel cantiere, la pulizia, la vestizione e la ri-creazione attraverso la fusione sono rappresentate come fasi di un momento rituale il cui centro è il corpo come organismo evolutivo.
Un rito che cinematograficamente pone il tempo al servizio del gesto, e non viceversa, in cui il ritorno all'organico (in tal senso è utile ricordare come Medulla, il penultimo album di Bjork prima della colonna sonora del film, sperimentava le possibilità tonali dello strumento voce spogliandolo di altri orpelli strumentali), appare come l'unica strada per una più ampia percezione sensibile e spirituale del mondo.
Teatro delle azioni sceniche è una enorme baleniera, da cui prende nome il film, in cui un uomo e una donna occidentali, Barney e la sua compagna Björk, attraversano un processo di purificazione e avvicinamento che li porterà ad una costituzione di una nuova forma, fisica e spirituale. Solo per accennare alle vicende dei due protagonisti, i quali hanno come comprimari i luoghi e i materiali che li circondano, non come significanti elementi scenografici, ma come dei veri e propri soggetti in continua evoluzione. Ad esempio sulla nave si segue in parallelo alle vicende dei due protagonisti il lento ed elaborato allestimento di un'enorme vasca nella quale viene versato del grasso animale gelatinoso la cui massa informe straborda rovinando il tentativo di contenimento.
Come sinteticamente si è cercato di far intendere l'opera non si basa su uno svolgimento drammaturgico di stampo narrativo, ma su una scrittura performativa che coinvolge corpi, ambienti e materiali, inseriti in un contesto rarefatto, che della sospensione spazio temporale fa una cifra formale, espressa attraverso desolati campi lunghi, e attenti dettagli sui gesti. Il film di 150' di durata, appare infatti insostenibile se osservato come cinema dalla struttura narrativa, ma trova il suo interesse nell'identificarsi come oggetto audiovisivo amorfo, immediatamente accostabile agli eventi della Biennale d'Arte, con cui condivide la presenza di Bjork, nel film attrice oltre che autrice della dissonante colonna sonora, nel padiglione islandese della Biennale corpo a servizio dell'artista Gabriela Fridriksdottir.
Nel fondo di questa opera/evento una riflessione sul confronto tra culture e sul processo di orientalizzazione che si sta insinuando nel mondo occidentale: la processione nel cantiere, la pulizia, la vestizione e la ri-creazione attraverso la fusione sono rappresentate come fasi di un momento rituale il cui centro è il corpo come organismo evolutivo.
Un rito che cinematograficamente pone il tempo al servizio del gesto, e non viceversa, in cui il ritorno all'organico (in tal senso è utile ricordare come Medulla, il penultimo album di Bjork prima della colonna sonora del film, sperimentava le possibilità tonali dello strumento voce spogliandolo di altri orpelli strumentali), appare come l'unica strada per una più ampia percezione sensibile e spirituale del mondo.
Björk in "Drawing Restraint 9"
Cast & credits
Titolo
Drawing Restraint 9 |
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Origine
USA/Giappone |
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Anno
2005 |
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Durata
135 m |
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Colore | |
Soggetto
Matthew Barney |
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Regia
Matthew Barney |
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Interpreti
Matthew Barney Björk (The Guest) Mayumi Miyata Shiro Nomura Tomoyuki Ogawa Sosui Oshima |
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Produttori
Mike Bellon (associate producer), Barbara Gladstone (executive producer) |
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Costumi
Matthew Barney |
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Effetti speciali
Frank Ippolito, Atlantic West/Film Illusions |
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Suono
Björk |
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Musiche
Björk, Akira Rabelais, Valgeir Sigurðsson |