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La matematica (dei sentimenti) è un'opinione

di Giulia Tellini
  Proof
Data di pubblicazione su web 10/09/2005  
«Il più grande rischio nella vita è non affrontarne nessuno»: questa la frase che appare nella locandina di Proof, film in concorso a Venezia diretto da John Madden (Shakespeare in love) e sceneggiato da David Auburn, autore dell'omonima pièce che, vincitrice nel 2001 del Premio Pulitzer, è stata proposta, con straordinario successo, al Donmar Warehouse di Londra per la regia dello stesso Madden e l'interpretazione di Gwyneth Paltrow.


Hope Davis e Gwyneth Paltrow
Hope Davis e Gwyneth Paltrow

Protagonista della storia, ambientata nel Campus dell'Università di Chicago, è Catherine, la figlia di un genio della matematica – Robert - che, dati decisivi contributi alla scienza quando non aveva ancora raggiunto i 25 anni, ha poco dopo cominciato a mostrare segni irreversibili di follia. In seguito alla morte del padre, avvenuta qualche giorno prima del suo ventisettesimo compleanno, Catherine – che (abbandonata l'università) ha trascorso gli ultimi cinque anni occupandosi di lui a tempo pieno, regalandogli centinaia di quaderni, in vana attesa di vederne nuovamente in funzione la "macchina" (così Robert chiamava il proprio cervello) – viene visitata, nella vecchia casa di famiglia caotica e piena di ricordi, dalla sorella maggiore Claire, che vive da tempo a New York e da Hal, dottorando di Robert che passa le giornate a esaminare i suoi 103 quaderni stipati di formule assurde, sicuro, da un momento all'altro, di trovarsi davanti a una qualche – inedita, rivoluzionaria – "proof" (dimostrazione).

E, in effetti, salta fuori una "proof": perfetta, innovativa, geniale. Dentro al cassetto di una scrivania. La scrivania di Robert. Cassetto aperto da Hal. Grazie alla chiave posseduta da Catherine. Ma da chi è stata scritta veramente questa "proof"? Da Catherine, come lei stessa sostiene, o - come è subito indotto a credere Hal - dal suo celebre padre in un periodo di lucidità?

Innamoratasi di Hal, Catherine decide di affrontare il rischio di riporre in lui tutta la propria fiducia. Dato che la vicenda è osservata attraverso gli occhi della protagonista (ma nulla a che vedere con il sensazionalismo barocco e i ricatti sentimentali di Beautiful mind), "lo spettatore – come dice il regista - può essere coinvolto in una esperienza che viene da lei vissuta su due livelli nello stesso tempo: il livello oggettivo della narrazione – ciò che accade esattamente nella realtà – e il livello soggettivo – che può essere vero ma che può anche essere frutto dell'immaginazione". Compromesso in prima persona, lo spettatore si sente posto di fronte a una  domanda che - per il solo fatto di essere affiorata alla mente - lo rende consapevole dei propri dubbi e perciò già potenzialmente predisposto al tradimento: la credibilità della protagonista va messa o meno in discussione? a chi bisogna credere ad Hal o a Catherine? 

Amore, fiducia, sanità mentale: ecco intorno a cosa gravita il film. Nessuna serie di regole può essere applicata per verificare con certezza matematica se una persona ama o no, dice la verità o mente, ha tutte le sue facoltà mentali o qualcuna in meno. Hal ama Catherine? Catherine dice la verità? E, se mente, è pazza come vuole farle credere Claire?

Pur scherzando sempre col fuoco delle visioni e dei flashback, il regista – grazie anche ad una sceneggiatura perfetta e ad una fotografia luminosa tutta giocata su colori freddi - è riuscito a dare al film l'ordine e il rigore di una dimostrazione matematica. Straordinario inoltre l'affiatamento del quartetto di attori, da Gwyneth Paltrow ad una auto-ironica Hope Davis (una Claire che, armata di un pericoloso e compassionevole spirito filantropico, tenta in tutti i modi di "indurre in pazzia" la sorella minore), dal mostro sacro Anthony Hopkins (Robert) al venticinquenne Jake Gyllenhaal (che è un tenero e intenso Hal, dottorando di matematica e anche batterista di un improbabile gruppo rock), già presente, a Venezia, in Brokeback Mountain e, nella mitologia personale di chi scrive, nell'apocalittico dramma generazionale Donnie Darko

Gwyneth Paltrow, che aveva interpretato lo stesso ruolo anche in teatro, riesce a rendere con grazia  e accuratezza (basti notare il modo in cui sta seduta, in posizione fetale: le ginocchia strette l'un l'altra e le punte dei piedi che si toccano) il personaggio di Catherine, in bilico fra l'emotiva - inerme, arrendevole, confusa - fragilità cui i molti anni di solitudine e la vita col padre l'hanno costretta ed il desiderio di salvaguardare un carattere tanto orgoglioso e determinato quanto dolce e altruista.

Quanto ad Antony Hopkins, nel ruolo di Robert, si lascia andare forse un po' troppo ad un facile istrionismo ma ha la statura epica - e tragica - che il personaggio (sempre evocato o ricordato dalla figlia) richiede. E a lui è affidata una delle battute più belle del film: «I pazzi non trascorrono il proprio tempo a domandarsi se lo sono o meno, hanno cose migliori da fare».   


Proof
cast cast & credits
 


locandina
locandina


Gwyneth Paltrow e Jake Gyllenhaal
Gwyneth Paltrow e Jake Gyllenhaal



 
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