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Diderot e il Portogallo

di Marco Luceri
  Il fatalista
Data di pubblicazione su web 10/09/2005  
Il regista portoghese Joćo Botelho è un frequentatore assiduo della Mostra di Venezia, e ritorna quest’anno con il film in concorso Il fatalista, ennesima trasposizione cinematografica della celeberrima novella scritta da Denis Diderot nel 1771, Jacques il fatalista. Tra gli antecedenti illustri, basterebbe ricordare Les dames du Bois de Boulogne, capolavoro di Bresson, che del testo diderotiano aveva utilizzato una parte, per comprendere quanto il cinema abbia da sempre guardato a questo classico “libello” settecentesco, che nello spirito e nel gusto anticipò la Rivoluzione.

Botelho non sembra sottrarsi a questa tradizione ed apre il film con la frase “tutto il bene che accade quaggiù è scritto lassù”, motto preferito di Tiago (forma contratta di Giacomo, il nome del santo di Compostela), autista di gran classe, che se ne serve per giustificare le sue imprese, mentre, attraverso un bizzarro Portogallo contemporaneo, conduce il suo padrone attraverso la delirante, lunghissima storia dei suoi amori. 

Il fatalista


Il film è costruito secondo un rispetto pedissequo del testo di Diderot, ai limiti del didascalismo, anche se Botelho riesce a conservare un proprio sguardo autoriale sul materiale drammaturgico. La narrazione, e non poteva essere diversamente, si muove attraverso una molteplicità di tracce, tese a racchiudere il più possibile le mille storie che si accavallano una dietro l’altra: sesso e potere sono i due motivi ricorrenti nelle varie avventure che i due licenziosi uomini si raccontano, metafora facilmente riconoscibile del dissidio tra potere e sapere. Tra i mille spunti che offre il testo originale Botelho lascia largo spazio alla convinzione che sia la lotta di classe il vero motore dei comportamenti di uomini e donne, di tutte le loro azioni.

Appare chiara allora la scelta di Botelho di sfruttare il messaggio rivoluzionario di Dideot, cercando di adattarlo ai nostri tempi, proprio mentre in Occidente si tentano di soffocare le idee di rivoluzione democratica, e i potenti e i loro lacché portano avanti dolorosissime guerre tra religioni, paventando inesistenti scontri di civiltà. Un’opera vertiginosa e radicale come Jaques il fatalista, che con il suo stile narrativo riesce a trasmettere la sensazione euforica che tutto è possibile, che si possa con facilità toccare la materia stessa dei sentimenti (cosa che tanto affascinò Brecht e Ejzenštejn), conserva nel film di Bothelo tutto il suo fascino possente, brutale, osceno, umoristico. 

Viene riaffermato ne Il fatalista proprio questa potenza travolgente della scelta individuale sul destino, di quel relativismo così ultimamente quanto stupidamente bistrattato, che è alla base della nostra coscienza civile democratica. Un vero e proprio film-pamphlet contro l’ortodossia e il monolitismo sociale, culturale, politico che dal testo di Diderot trae la linfa leggera, ma non meno devastante, dell’umorismo nero e dissacratorio.

Nel film, l’alternarsi di storie tristi e felici, dal buono e dal cattivo esito, il mix tra serio e faceto, tra moralismo e lascivia, attraverso le ampie maglie della finzione scenica, lascia spazio al primato del cinema, che attraverso la sua forza rappresentativa restituisce in pieno la complessità della società e della realtà. E’ come se nel film di Botelho-Diderot tutto viaggi (come i due protagonisti) indistintamente, bene e male, dentro e fuori, in cielo e terra, ragione e sentimento. Proprio perchè tale complessità non permette verità a priori, né terrene né metafisiche, il cinema diventa, forse, strumento della più ampia conoscenza.

Chissà cosa avrebbe fatto Diderot se tre secoli fa avesse avuto una macchina da presa... Forse tra i frutti della nostra civiltà avremmo avuto qualche opera in meno. Ad maiora.

 


Il fatalista
cast cast & credits
 



Il regista Joćo Botelho
Il regista Joćo Botelho


 
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