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Dopo la bomba

di Roberto Fedi
  Londra, 7 luglio 2005
Data di pubblicazione su web 12/07/2005  
Quando toccherà a noi (la bomba, vogliamo dire), sarebbe bene che i nostri Tiggì si ricordassero alcune cosette fondamentali, che dovrebbero (ma è un desiderio ingenuo) aver appreso dalla inglese BBC, in questi giorni.

Innanzitutto che l’informazione è fondamentale, ma che non lo è altrettanto l’esibizione dell’orrore. Che è assolutamente giusto e urgente dire l’esatto numero dei morti e dei feriti e dei dispersi, ma che non lo è altrettanto far vedere corpi sbranati. Che i corrispondenti debbono dare notizie, ma che nessuno li obbliga a strillare e agitarsi in diretta e a blaterare senza un nanosecondo di tregua. Che la televisione, guarda un po’, non è la radio: e che qualche volta è quindi salutare stare zitti – soprattutto quando non si ha niente da dire – e lasciar parlare le immagini. Che è naturale che intervistino quelli che c’erano, ma che è perlomeno pleonastico chiedere a tutti cosa hanno provato. Che è bene domandare in diretta a chi si occupa delle operazioni di soccorso come stanno le cose, ma che non è per niente necessario portare in video a ogni piè sospinto Bertolaso, responsabile della Protezione Civile: anche perché quello ci viene. Che non importa fare del pietismo, perché già la cosa è tragica di per sé. Che le notizie è bene darle, e subito, ma quando sono vere ed accertate, non quando si sono raccolte dal primo pompiere stravolto di passaggio. Che è inutile improvvisare siparietti per strada, con dibattiti volanti col primo nullafacente che passa. Che è sommamente idiota e indecente, ancorché insopportabile, raccogliere per poi rifilarcele di continuo le interviste ai politicanti, di ogni ordine e grado, del centro della destra della sinistra della sinistrissima del centro-centro e del centro meno centro e via con queste indecenti sequele di stupidaggini, come se la notizia fossero loro. Che, in ultima analisi, debbono fare i giornalisti (ammesso che lo sappiano fare) e non i protagonisti (che non sanno fare). Che quello che in questi giorni tutti, diconsi tutti, i nostri giornalisti televisivi hanno rilevato mille volte con stupidità pari alla banalità, e cioè “il tipico aplomb inglese”, altro non è che dignità unita a seria e partecipe professionalità: atteggiamento internazionale a loro del tutto ignoto, evidentemente.

Insomma: che si comportino come i colleghi inglesi. Siccome non accadrà, figuriamoci, allora vorrà dire che quando sarà purtroppo il momento, oltre alle bombe, ci toccherà anche quest’altra tristezza.

Anche per questo, oggi, ci sentiamo un po’ londinesi.

 


 


 

Londra, 7 luglio 2005
Londra, 7 luglio 2005


 


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