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Lo sguardo della bellezza

di Marco Luceri
  Edoardo Winspeare e Claudio d'Agostino al festival di Venezia
Data di pubblicazione su web 22/06/2005  

Il 13 maggio 2005 si è svolto presso l'Aula Magna della Sede di Prato dell'Università di Firenze un incontro tra gli studenti e il regista salentino Edoardo Winspeare. Organizzata dalla Scuola di cinema Anna Magnani e dal Dipartimento di Storia dello Spettacolo dell'Università di Firenze, la giornata è iniziata con la proiezione del terzo lungometraggio di Winspeare, Il miracolo (2003); è poi seguita una tavola rotonda a cui hanno partecipato lo stesso Winspeare, il professor Sandro Bernardi, ordinario di storia del cinema dell'Università di Firenze, e Massimo Smuraglia, direttore della Scuola. E' stata l'occasione per rivolgere alcune domande al regista pugliese, una delle più promettenti figure del nuovo cinema italiano.

 

Il miracolo (2003)
Il miracolo (2003)

                                                                                         

C'è una battuta nell'Amleto di Shakespeare che recita così: ''Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, che nella tua filosofia''. Rivedendo a tal proposito Il miracolo, ambientato in una Taranto così splendida e contraddittoria, l'elemento che sembra risaltare ancora in primo piano sembra essere il forte senso di trascendenza che il film emana, soprattutto a livello visivo. Perché hai fatto un film sul bisogno di trascendenza? 
Il tema della trascendenza non è presente solo in questo film, ma anche negli altri due che lo hanno preceduto, Pizzicata (1996) e Sangue vivo (2000). Penso che il trascendente sia sempre presente nella vita di ognuno, anche se a un certo punto si decide di rimuoverlo; inizialmente il titolo del film doveva essere proprio il verso di Shakespeare che hai citato, anche se mi sembrava già troppo abusato nella storia del cinema e così ho optato per Il miracolo. Abbiamo fatto un grande lavoro di sceneggiatura con Giorgia Cecere, coinvolgendo anche i produttori, in maniera, diciamo così, ''razionale'', essendo noi figli della cultura occidentale e illuminista. Però a un certo punto sentivamo il bisogno di raccontare la trascendenza attraverso gli occhi di un bambino: la sua è sì una ricerca spirituale, ma Il miracolo è un film laico. La trascendenza rappresenta per me una ricerca continua, perenne, perciò il film narra di drammi umani a partire da quest'ottica, da questo sentimento spirituale. In Pizzicata e Sangue vivo, dove è presente una maggiore attenzione alle tradizioni popolari, si capisce ancora meglio come il nostro Sud sia pervaso da questo forte senso spirituale. Le grandi manifestazioni popolari come ad esempio il tarantismo o la processione del Venerdì Santo a Taranto, sono fenomeni complessi, profondi, problematici. Proprio la processione che abbiamo filmato e inserito nel film è molto cambiata rispetto a molti anni fa; è un fenomeno totalizzante per l'intera città: ci ritrovi gli operai iscritti alla Cgil o i punkabbestia affianco alle donne di chiesa. Questo perché la processione non è solo un fatto religioso, ma è a tutti gli effetti un rituale di catarsi collettiva.

Una Taranto che nel film rivela tutta la sua realtà di città ambigua, contraddittoria, sospesa tra passato e futuro. L'hai rappresentata con tutte le sue difficoltà. E' una città che ristagna nella sua mancanza di prospettive, di cui i personaggi sono una trascrizione simbolica, soprattutto Cinzia, espressione di una disgregazione non solo familiare, ma anche morale. E' forse lei la figura che rispecchia di più la decadenza della città e la fine delle sue illusioni…
Taranto ha avuto il problema dell'Ilva, l'inquinamento, la disoccupazione, i cantieri navali abbandonati, tutti fenomeni che hanno prodotto una grave perdita d'identità. E' stata una città molto aiutata dalla politica negli anni Sessanta, poi è stata abbandonata e oggi soffre molto. Ma ciò ha consentito la preservazione dei rituali perché essi servono: se alcuni scompaiono, se ne inventano degli altri. Il rituale è una specie di distillato di bellezza, e lo si percepisce nella proprio nella processione, nell’incedere degli incappucciati, nella gestualità dei fedeli, nella musica delle bande. Quando qualche anno fa decisi di emanciparmi dal Salento, dove avevo ambientato gli altri due film, il mio interesse ricadde su Taranto proprio per i motivi che ti ho appena detto. E' una città che è marginale nella stessa Puglia: l'asse culturale, politico, economico è ormai da molti anni polarizzato su Bari e Lecce. Eppure questa città ora disgraziata ha avuto un passato glorioso, era una delle capitali della Magna Grecia e del Mediterraneo. Tuttavia oggi anche i suoi cittadini l'abbandonano, la rinnegano, lasciandola al suo destino di decadenza. Sembra una città malarica, ma unica nella poeticità che per questo riesce ad emanare. Io amo molto Taranto, sospesa tra i suoi due mari: è un'isola che ha le sembianze di una vittima. Anche per la sua posizione assomiglia molto a Napoli e a Palermo, ed ha il fascino delle antiche poleis greche. E' stato tutto questo ad affascinarmi così fortemente. Taranto e i suoi riti mi emozionano.

Ne Il miracolo racconti anche la grande palude della piccola borghesia italiana, comune un po' a tutto il Paese, da nord a sud…
Mi interessava raccontare la storia di due ragazzini del sud che appartengono a due famiglie di estrazione sociale diversa. Nella descrizione di questi due microcosmi tarantini racconto le nevrosi che potrebbero appartenere alla borghesia di qualsiasi parte del mondo. Però tra le due famiglie c'è un elemento che fa la differenza: il denaro. 

Sangue vivo (2000)
Sangue vivo (2000)


Lo stile complessivo del film sembra abbandonare il ritmo concitato di Sangue vivo per ritornare alla rarefazione poetica di Pizzicata…
Sì, questo è un film in cui ritorno allo stile di Pizzicata. Mentre Sangue vivo è un film d'azione e di tensione, con molta camera a mano, Il miracolo ha un ritmo più pacato. Ho inserito spesso delle inquadrature fisse sulla steadycam, ho usato dei piani d'ascolto rallentati per dare un'idea di sospensione perché a me il ralenti interessa soprattutto quando il soggetto non si muove, credo infatti che in tal modo si renda meglio il senso della rarefazione. Comunque non penso che in questo film ci sia qualcosa di veramente originale. Preferisco sempre trovare l'originalità nella tradizione. A volte cercare in maniera forzata la sperimentazione è puro velleitarismo che alla fine non paga. L'idea centrale era comunque quella di raccontare e fotografare Taranto in maniera molto realistica e allo stesso tempo magica; sembra una contraddizione, ma non lo è. Non abbiamo mai usato effetti speciali, tranne uno, nella scena dell’incidente, all'inizio, anche se è molto tenue. In alcune scene i ralenti sono impercettibili, i suoni sono indistinti.

Sul piano fotografico questa mescolanza tra realtà e magia è molto evidente. Com'è stato lavorare con Paolo Carnera ad un film così insolito e contraddittorio come Il miracolo?
Paolo è una persona straordinaria. Ho fatto tutti e tre i miei film con lui ed è uno dei miei migliori amici. Lui è veneziano, figlio di operai, cresciuto in una famiglia di sinistra e non ti nascondo che la sua formazione culturale e personale a volte sul set de Il miracolo andava a cozzare con il mio desiderio di rendere in immagini l'aspirazione alla trascendenza e alla spiritualità. Il suo essere profondamente razionalista ci ha portato a grandi discussioni, ma il confronto con Paolo è stato più costruttivo che mai. Ogni cosa in cui crediamo, ogni ricerca spirituale, ogni fede che abbiamo contempla sempre il dubbio. La stessa esperienza di Tonio, nel film, è ambigua: si può leggerla, ad esempio, come un'esperienza causata da un trauma, di carattere neurologico e non spirituale. Il dolly che uso nella scena dell'incidente, ad esempio, non ha niente di spettacolare. E' tutto molto calibrato, misurato e anche la luce risponde a questo bisogno di ricerca. Io credo che i bambini, a volte, vedono sul serio cose che noi non riusciamo a percepire.

C'è anche un ampio uso del formato panoramico che credo sia funzionale all'idea di rendere il film più visivo che narrativo. E' per questo che Il miracolo costituisce una mirabile eccezione nel quadro del cinema europeo contemporaneo, in cui ormai è totalizzante la presenza di film eccessivamente ''scritti'', in cui cioè la sceneggiatura ha un valore troppo centrale. Che ne pensi?

Il miracolo è stato l'unico film italiano del 2003 ad essere girato in cinemascope e con lenti anamorfiche. E' stata una scelta mia e del direttore delle fotografia. Volevo che il film avesse un grande respiro visivo, più che narrativo. La stesura finale della sceneggiatura ha visto infatti l'eliminazione di molte scene, anche importanti. E' un film volutamente secco, asciutto, che però ha uno sfondamento proprio sul piano visivo. Ho una grande ammirazione per i film italiani degli anni '50 e '60, dove si racconta, ma si vede anche tantissimo. Il miracolo ha una Taranto che si deve vedere perché è orizzontale, quindi il cinemascope si prestava tantissimo a questa istanza poetica. Usare questo formato crea spesso dei grossi problemi perché è difficile da usare, ma il risultato finale è sempre bellissimo.



 
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Il miracolo


Edoardo Winspeare sul set
Edoardo Winspeare sul set




 
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