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Dal letame nascono i fiori

di Marco Luceri
  La samaritana
Data di pubblicazione su web 21/06/2005  

La Samaritana è l’ennesimo capolavoro del regista coreano Kim Ki-Duk. Conosciuto fino all’anno scorso solo dagli appassionati cinefili che frequentano i festival, nei quali ha ricevuto molti importanti premi, Ki-Duk è attualmente non solo il regista coreano più conosciuto in Occidente, ma è ormai meritatamente riconosciuto come uno dei più grandi maestri del cinema contemporaneo. Autore di ben undici film, tra cui alcuni da stampare per sempre nella memoria - Birdcage Inn (1998), L’isola (1999), Address Unknown (2001), Bad Guy (2001), The Coast Guard (2002) e Ferro 3 (2004) – Ki-Duk è forse il più originale ed appassionante cineasta dell’Estremo Oriente, poeta di un mondo difficile, aspro, crudele, abitato da personaggi che recano in sé le ferite profonde di una società degradata, nella quale però cercano di ritrovare una via di conoscenza e di umana redenzione. Figlio di una terra (la Corea) che sente le divisioni della Storia come fratture profonde dell’umanità intera, Ki-Duk è cresciuto negli anni anche grazie alla sua straordinaria abilità tecnica di artista che riesce a dare corpo a immagini dal grande potere evocativo e simbolico, capaci di restituire, nella loro complessità, tutte le sfumature e le contraddizioni del vivere.


La Samaritana è inspiegabilmente l’ultimo film di Ki-Duk ad essere distribuito in Italia. Girato infatti prima di Ferro 3 (presentato e premiato nel 2004 alla Mostra di Venezia), il film aveva vinto al Festival di Berlino dello stesso anno l’Orso d’Argento, ma la Mikado (la casa di distribuzione) ha deciso di farlo uscire nel nostro Paese solo adesso. Il film segue dunque Primavera, estate, autunno, inverno e… ancora primavera (2003) e sembra segnare un passo indietro rispetto al tono mistico di questo film, per recuperare in parte la durezza degli esordi, di film quali Crocodile (1996) e Wild Animals (1997); si narra infatti la storia di Jae-yong (Seo Min-jung), una giovanissima liceale che si prostituisce perché ha bisogno del denaro per realizzare il sogno di un viaggio in Europa da fare con l’amica del cuore, Yeo-jin (Kwan Ji-min), che la aiuta per contattare i clienti, accompagnandola anche nei vari motel. Un giorno però Jae-yong viene scoperta dalla polizia e per sfuggire all’arresto si getta dalla finestra di un appartamento, sotto gli occhi dell’amica. All’ospedale, agonizzante, la ragazzina chiede insistentemente di rintracciare uno dei suoi amanti, un pianista di cui si è innamorata. Per convincere l’uomo a recarsi in ospedale, Yeo-jin è costretta ad andarci a letto; morta l’amica e appropriatasi del suo pseudonimo, Vasumitra, Yeo-jin decide di rintracciare tutti i suoi clienti e di restituire loro i soldi, dopo aver fatto l’amore con loro. Finché un giorno viene scoperta dal padre, il detective Young-Q (un superlativo Lee Uhl).


Crudele ed affascinante parabola sulla prostituzione adolescenziale, La Samaritana è un film di redenzione e vendetta: se il tono tragico della vicenda rimanda ad Address Unknown, ma soprattutto a Bad Guy, la semplicità narrativa lo inserisce nel solco di Primavera e Ferro 3; con il film che lo precede La Samaritana condivide l’andamento episodico, anche se qui la tripartizione sembra ricalcare quella di una tragedia classica. Nella prima parte il simbolismo è forte sin dal titolo, "Vasumitra", lo pseudonimo adottato da Jae-yong, ispirato alla leggenda dell’omonima donna indiana che dispensava l’amore fisico come atto di compassione verso gli uomini, per risvegliare in essi la tensione religiosa verso il buddismo. Il primo episodio è dunque tutto incentrato sugli incontri sessuali di questa novella Vasumitra, alternati ai bagni purificatori che Jae-yong fa con l’amica. Yeo-jin, dal canto suo, pur mostrando una distaccata complicità, non condivide per nulla le scelte dell’amica. Questa coppia femminile sembra ricalcare il modello già tracciato in Birdcage Inn, dove la dolce prostituta Jin-ah veniva spesso ammonita da Hye-min, ragazza sprezzante e frustrata, restia ad ogni tipo di contato sessuale.


Vasumitra è un personaggio tipicamente kimmiano, non solo perché paradossale, una sorta di mix tra estasi e follia, ma perché appartiene a quella galleria di indimenticabili puttane di cui è costellata l’intera cinematografia di Ki-Duk. Come osserva Vittorio Renzi in un saggio monografico di recente uscita dedicato al regista coreano, "bisogna dire innanzitutto che la prostituta non interessa al cineasta come figura sociale degradata, ma come donna che dispensa (o cerca) amore. Non c’è nessun pietismo nel raccontarne le vicende. La prostituta è l’immagine speculare del personaggio maschile kimmiano violento, muto, bambinesco, che si esprime con il linguaggio del corpo e sul corpo mostra i segni della propria sofferenza. La funzione racchiusa in questa figura ha dunque a che fare direttamente con l’interrelazione coi personaggi maschili: serve cioè a svelare i meccanismi più istintivi, animaleschi del rapporto uomo/donna". Vasumitra, dunque, come tutte le prostitute kimmiano, è la chiave di volta per capire che tipo di rapporti si instaurano nell’umanità degradata che descrive Ki-Duk: uomini-animali che cercano tuttavia nel soddisfacimento immediato del piacere una forma di sollievo dalla loro condizione di dolore perenne, soprattutto quello di non essere desiderati (Ki-Duk sembra inserire molti dei suoi personaggi nel solco di una tradizione asiatica di looser, quella di Imamura e Oshima). In questo senso nei suoi film l’amore è spesso sesso e il sesso è molte volte stupro. Il soddisfacimento animalesco, la presa di possesso nascondono però una fragile realtà, quella di uomini e donne che hanno un disperato bisogno di comprensione, di amore. La ricerca umana che soggiace a questo difficile e arduo discorso poetico è quella di ritrovare il più intimo senso di appartenza a un mondo ostile, attraverso esperienze traumatiche e irrazionali.


Quasi tutte le figure femminili di Ki-Duk decadono allo stato di prostitute, basti pensare alle protagoniste di Birdcage Inn, Bad Guy, L’isola, Address Unknown, The Coast Guard. In questa galleria di "meretrici in odore di santità, il cui unico peccato è quello di amare troppo" (Renzi), si inserisce appunto Jae-young/Vasumitra, bambina-madre-donna-amante, che nella sua estasi da martirio, nel momento della morte, trasmette la sua spiazzante "missione" all’amica. In questa folle traiettoria morale la sfida viene raccolta e proseguita proprio da Yeo-jin nel secondo atto, dal titolo "Samaria". Tuttavia, a ben guardare, il gesto di Samaria appare un percorso di redenzione (è lei a dare i soldi ai suoi clienti) e d’amore infinito per l’amica scomparsa, per espiare la colpa della morte involontaria di Vasumitra, di cui, non a caso, eredita anche il nome, oltre che l’ultima stanza d’albergo. Questo percorso diventa anche una scoperta di Samaria verso quel mondo maschile che fino ad allora aveva ripudiato e dal quale ora trae linfa vitale nel suo cammino di redenzione.


L’amore verso gli uomini soli che Samaria infonde nei suoi incontri clandestini subisce una forte battuta d’arresto quando il padre della ragazzina, il detective Young-Q, scopre casualmente l’attività della figlia. L’orrore che ne deriva è fortissimo, comincia per il personaggio una lenta e inesorabile discesa all’inferno, causata dall’assoluta mancanza di una reazione credibile. L’abbandono che ne segue è frutto dell’incapacità di stabilire una vera comunicazione con la figlia; paura, vergogna, disperazione sono i sentimenti che bloccano Young-Q in una sorta di inedia senza via d’uscita.


Sarà necessario un terzo atto, "Sonata", per portare questo tormentato rapporto a un punto di svolta: il viaggio in montagna alla ricerca della tomba della madre morta, la notte nella fattoria, sciolgono l’intimità dei personaggi in una dolce metamorfosi dei sentimenti, sottolineata, nel finale del film (una delle più belle scene di cinema che ho visto nella mia vita), dal campo lungo che mostra Samaria chiusa nella macchina, impantanata in una pozzanghera, ormai sola (ricorre, qui come altrove, lo splendido motivo musicale Trois Gymnopédies di Erik Satie). L’abbandono ineluttabile del padre (che le ha insegnato i rudimenti per poter guidare un’automobile) che si costituisce ai propri colleghi è l’ennesimo atto d’amore supremo di quest’anima perduta, che passa alla figlia il testimone di una nuova redenzione ancora da compiere, quella della riconquista di una vita (forse) migliore. Ki-Duk consegna, proprio come nell’episodio evangelico della Samaritana (Giovanni, 4, 5-40) per l’ennesima volta a una splendida perdente il dono di ricevere la Grazia, il valore assoluto della salvezza dal peccato della vita. E non si può, a questo proposito, non ricordare proprio quello che De André scrisse in una sua celebre canzone dedicata alle puttane e cioè che "dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori". Amen.





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Kim Ki-Duk
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