Cronaca nera

di Elisabetta Torselli

Data di pubblicazione su web 25/11/2003

Rigoletto
Lo scandalo annunciato non c'è stato, alla fine, la sera della prima. Pochi fischi isolati alla regia di Graham Vick sono stati zittiti dagli applausi, più numerosi. Forse perché qualcosa, rispetto alle intenzioni originarie di Vick e alle rappresentazioni di questa messinscena già viste a Madrid e a Palermo, è stato limato, attenuato, velato, compresa verosimilmente la famosa fellatio che ha fatto scorrere fiumi d'inchiostro e che, come facilmente intuibile, non si riferiva certo a Gilda - Vick sarà un provocatore ma non è un cretino - bensì ad una parte muta creata da questa regia (la figlia di Monterone, prima dell'ingresso di questi).Forse perché alla prima il successo è stato vigorosamente trainato dalla maiuscola performance del protagonista, Carlos Alvarez. Era lui che faceva la differenza, era lui la notizia: da quanto non ascoltavamo un "Pari siamo" così, da quanto non ascoltavamo un vero baritono verdiano? vero non certo per sospetti d'incrostazione gigionesca o men che mai verista, ma per peso e presenza, per la ruvida, tormentata grandiosità del suo Rigoletto?

Spiegate così in qualche modo le ragioni di reazioni che però restano in gran parte imponderabili e tutte da verificare nelle repliche, diciamo che in questo Rigoletto la scena di Paul Brown definisce arditamente e bene lo spazio del dramma: due grandi muri circolari rotanti, che permettono l'incrociarsi, il sovrapporsi, il confondersi di interni ed esterni, in un'ingannevole, quasi voyeristica pluralità di sguardi, la dimora del buffone con dentro Gilda spiata da tutti, il tugurio di Sparafucile e Maddalena spiati da Rigoletto e Gilda, la corte del Duca di Mantova... sul giardino di Gilda si affaccia una luna che è però l'occhio minaccioso della notte che l'osserva - i cortigiani pronti a rapirla sono oltre il muro - e che in una successiva rotazione si rifrangerà in tanti piccoli occhi, piccole lune, piccole spie, le feritoie da peep-show da cui il branco dei cortigiani verosimilmente sbircia il connubio con il Duca. La regia di Graham Vick fa di questi cortigiani dei rudi e lungocriniti buttafuori da discoteca con cuoi, orecchini e overdosi di cocaina di prammatica. Le feste hanno la tetraggine di un'orgia alla Kubrick; anche il branco travestito per effettuare le sue spedizioni con parrucche coloratissime e cappellucci carnevaleschi richiama i ragazzi-bene assassini di Arancia Meccanica.



 

Rigoletto




Alcuni momenti sono magnifici: l'uscita di Rigoletto con il suo costume da fool shakespeariano, all'inizio del secondo atto le dame, le donne, le vittime del Duca, che avevamo visto all'inzio rigidamente allineate contro il muro per una sorta di anticamera erotica, sospese allo stesso muro come le farfalle trafitte a morte della collezione del principe libertino; il fatuo specchiarsi e abbigliarsi del Duca nella sua camera (che somiglia assai a certi pretenziosi privés di qualche discoteca suburbana) mentre scandisce "Ella mi fu rapita, e chi l'ardìa ?" e poi "Possente amor mi chiama"; il contorcersi ferino del buffone fra gli scherni dei cortigiani Vil Razza Dannata; il pudore toccante, che però è anche gran colpo di teatro, con cui un secondo sipario arretrato si chiude sull'assassinio di Gilda al culmine dell'uragano in orchestra per riaprirsi, a delitto avvenuto, sulle desolazioni del Mincio.

Ma in questo Rigoletto violento, pessimista, esplicito, in cui vince, cioè vive, il peggiore, c'è forse qualcosa di troppo calcato e intenzionale; tra questi cortigiani-coatti si perde magari un risvolto che ci sembra prezioso, l'idea di Verdi, e di Victor Hugo prima di lui, di mostrare un mondo di levigata superficie e di eleganti sprezzature alla Castiglione e tuttavia profondamente corrotto. Il percorso altrimenti rettilineo di questa concezione di Rigoletto è affaticato da digressioni, sottolineature, simboli e concetti di cui Vick purtroppo non riesce a fare a meno; dalla sottomissione masochista del Duca a Maddalena (nel celebre quartetto) che prende alquanto alla lettera lo "schiavo son dei vezzi tuoi", ad un'onnipresente poltrona, da cui, alla fine, Rigoletto sorprendentemente rovescia il cadavere di Gilda. Altre notazioni registiche si rifanno direttamente al testo teatrale di Hugo (la violenta scarica di colpi inferti da Rigoletto al povero cadavere nel sacco; il semi-puttanismo della mise di Gilda all'inizio del terzo atto).

Il pubblico è impegnato a digerire tutto ciò, ma il fatto importante ci sembra un cast verdiano (quello della prima) finalmente all'altezza, almeno nei personaggi principali (perché quanto a comprimari e "cammei" il discorso è purtroppo diverso), e cioè, oltre al già menzionato Alvarez, Svetla Vassileva, che, anche se alcune colorature e puntature verso l'acuto non le sono uscite luminose come di dovere, è una Gilda di voce nitida, bella, di misteriosa ma fascinosa comunicativa, e dà al personaggio (anche per merito di Vick, crediamo) una problematicità insolita; Ramon Vargas sa cantare e non ignora l'arte elegante della smorzatura e dell'alleggerimento che rendono al Duca il suo vero frivolissimo carattere; Mario Luperi sembra nato per impersonare Sparafucile.

Alla guida dell'orchestra e coro del Maggio, alla prima la non elettrica ma elegante e sicura direzione di Fabio Luisi faceva il suo dovere, magari in contrasto con la ruvidezza dello spettacolo che restava sostanzialmente estranea alle corde di questa concertazione, ma sempre ben accompagnando e toccando comunque momenti di convinta eloquenza, come l'incalzante finale del primo atto, o di accurata calibratura, non ultimo il famoso quartetto "Bella figlia dell'amore"; quasi, sempre riferendosi alla sera della prima, un altro Rigoletto più temperato, parallelo a quello di Vick; ma non potendosi sciogliere il punto di chi è il reale responsabile e per dir così firmatario di uno spettacolo d'opera fra regista e direttore (a chi scrive continua a sembrare tutt'altro che scontato che sia il regista), quello della reale fusione delle due intenzioni in una resta una questione aperta.

Rigoletto

Cast & Credits

Trama

 

Rigoletto


 









Rigoletto
















 

Cast & credits

Titolo 
Rigoletto
Sotto titolo 
Melodramma in tre atti
Data rappresentazione 
18/11/2003
Città rappresentazione 
Firenze
Luogo rappresentazione 
Teatro Comunale
Prima rappresentazione 
Venezia, Gran Teatro La Fenice, 11 marzo 1851
Libretto 
Francesco Maria Piave
Autori testo d'origine 
Victor Hugo, "Le roi s'amuse"
Regia 
Graham Vick
Interpreti 
Carlos Alvarez (Rigoletto)
Alberto Gazale (Rigoletto)
Ramón Vargas (Duca di Mantova)
Tito Beltran (Duca di Mantova)
Svetla Vassileva (Gilda)
Patrizia Ciofi (Gilda)
Mario Luperi (Sparafucile)
Hao Jian (Sparafucile)
Natela Nicoli (Maddalena)
Laura Brioli (Maddalena)
Maria Luce Menichetti (Giovanna)
Peter Sidhom (Monterone)
Franco Boscolo (Marullo)
Antonella Trevisan (La contessa di Ceprano)
Alessandro Calamai (Il conte di Ceprano)
Produzione 
Teatro del Maggio Musicale Fiorentino in coproduzione con Teatro Real Madrid, Teatro Massimo Palermo, Teatro Liceu Barcellona
Scenografia 
Paul Brown
Costumi 
Paul Brown
Luci 
Matthew Richardson
Musiche 
Giuseppe Verdi
Orchestra 
Maggio Musicale Fiorentino
Direzione d'orchestra 
Fabio Luisi
Coro 
Maggio Musicale Fiorentino
Maestro del coro 
José Luis Basso

Trama

Atto I - Nel corso di una festa brillante alla corte di Mantova, il giovane Duca sta pensando alla sua ultima avventura: girando in incognito si è invaghito di una giovinetta che abita in una dimora appartata. Il Duca viene però attratto dal fascino della Contessa di Ceprano, il cui marito, geloso, spia il loro colloquio. Uno dei cortigiani informa gli altri della grande, piccante novità: Rigoletto, il gobbo buffone di corte, avrebbe un'amante giovane e bella, gelosamente custodita. Sopraggiunge il buffone, beffeggiando le probabili disavventure coniugali di Ceprano. Il suo mordace motteggiare suscita le ire di Ceprano, quando sopraggiunge un vecchio aristocratico, Monterone, di cui il Duca ha sedotto la figlia. Ecco un nuovo oggetto per i sarcasmi di Rigoletto; ma Monterone lancia al Duca e al suo buffone la sua vibrante maledizione, prima di venire arrestato.

Poco dopo, Rigoletto è presso alla soglia della sua casa: la casa misteriosa di cui parlava il Duca, perché la giovinetta di cui è invaghito è Gilda, non l'amante, secondo la diceria diffusa a corte, bensì la figlia di Rigoletto, che da poco l'ha presa a vivere con sé. Rigoletto trema della maledizione: chi l'ha scagliata è un padre come lui. Gli si accosta un misterioso uomo d'armi, Sparafucile, offrendogli i suoi servigi: la casa e la fanciulla che vi è custodita stanno attirando troppe attenzioni, forse Rigoletto ha bisogno di un buon sicario per liberarsi da un rivale scomodo. Colpito da queste parole, meditando ancora la maledizione di Monterone e riflettendo sulla sua sorte di buffone ma anche sul suo essere padre, l'unico momento in cui può ritrovare la propria umanità, Rigoletto entra in casa, affettuosamente accolto dalla figlia, custodita da una donna, Giovanna, che però si rivela malfidata: lascia che sgusci segretamente dentro casa un giovane (che altri non è che il Duca) che le ha offerto rapidamente una borsa di denaro.

Uscito Rigoletto, il Duca, che oramai ha capito che la fanciulla oggetto del suo capriccio è la figlia del suo buffone, si palesa a Gilda dicendo di essere uno studente povero, Gualtier Maldé, ma alcuni movimenti sospetti fuori della porta lo convincono a lasciare la dimora da un altro accesso per non essere sorpreso, lui, il Duca, in quell'imbarazzante situazione. Fuori della casa sono infatti appostati i cortigiani che vogliono fare a Rigoletto il bello scherzo di rapirgli l'amante; ma a lui, che sopraggiunge nuovamente, fanno credere che la donna di cui muovono all'assalto è la Contessa di Ceprano, che vive nel vicino palazzo. Bendato e inoffensivo Rigoletto assiste senza saperlo al ratto della figlia e, quando si accorge dell'inganno, sente su di sé la maledizione di Monterone.

Atto II - Anche il Duca era ritornato sui suoi passi e aveva trovato spalancata e vuota la casa di Gilda e Rigoletto, e ora, nuovamente a corte, si chiede chi abbia osato rapire la fanciulla: il sopraggiungere dei cortigiani e il loro fatuo racconto delle avventure della notte gli chiariscono tutto e il Duca raggiunge la fanciulla. Rigoletto giunge canterellando per dissimulare la sua ansiosa ricerca della figlia. I cortigiani lo osservano divertiti, finché Rigoletto, furente e poi implorante, non rivela loro la verità: Gilda è sua figlia. Sopraggiunge la ragazza, e, fatti allontanare i cortigiani, racconta al padre la sua triste avventura. Vendetta, promette Rigoletto a Monterone che si sta avviando al patibolo: egli riscatterà il disonore loro e delle loro figlie. Ma nonostante tutto Gilda supplica il padre di perdonare l'uomo che ama

Atto III - Sulle rive del Mincio, nei pressi di una stamberga che è anche osteria e covo di Sparafucile. Sono passati molti giorni, l'amore di Gilda per il suo Duca fatuo e libertino non accenna a diminuire: Rigoletto l'ha trascinata qui per mostrarle il vero temperamento del Duca, che, come al solito in incognito, viene qui a cercare la bella e provocante sorella di Sparafucile, Maddalena. Ma quella sera Rigoletto e Gilda se ne andranno a Verona dopo che l'uomo avrà compiuto ciò che deve fare: l'assassinio del Duca, che ha commissionato a Sparafucile. Tuttavia Maddalena, realmente invaghitasi dell'uomo che ha contribuito ad attirare in trappola, chiede al fratello di rinunciare al colpo. La sola cosa che ottiene è che, se passasse qualcuno prima dell'ora convenuta, Sparafucile ucciderà lui e lo metterà nel sacco da consegnare a Rigoletto.
Gilda, che, vestita da ragazzo, era tornata sui propri passi per raggiungere l'uomo che ancora disperatamente ama, ascolta il colloquio e capisce che l'unico modo per salvare l'amato è quello di bussare lei alla porta della locanda e sacrificarsi per lui. Mentre infuria il temporale, la giovinetta bussa, le viene aperto, è trafitta, è infilata nel sacco che poco dopo Sparafucile consegna a Rigoletto. Meditando sul terribile potere finalmente conseguito sul suo padrone, Rigoletto si appresta a gettare nel Mincio il sacco, quando ode distintamente la voce del Duca che si è messo a cantare. Chi è dunque nel sacco ? Segue la rivelazione della terribile verità, e, prima della morte, la promessa di Gilda di vegliare su di lui dal cielo, dove raggiungerà la madre mai conosciuta.