Io non ho paura
Un gruppo di bambini, una lunga forsennata corsa attraverso un campo di grano ripetuta più volte durante il film (le riprese in movimento e le sequenze sfaccettate richiamano alla mente i Taviani), immettono lo spettatore, folgorato dalla bellezza della fotografia, nel cuore del problema. Ma la solarità del mondo infantile fa presto a mutarsi nel suo contrario. Ciò che osserviamo attraverso gli occhi di Michele, non è il male, di cui il bambino non possiede ancora una chiara nozione, bensì la sua reinvenzione fantasiosa (e dunque salvifica).
La storia è quella dell'orrore provato di fronte a una creatura indecifrabile, scoperta casualmente in una angusta cavità sotterranea, che poi si rivela essere un coetaneo di Michele tenuto lì in cattività chissà per quale ragione. Agli occhi di chi segue il districarsi della vicenda - forse da lettore ne è già venuto a conoscenza attraverso il libro di Niccolò Ammanniti, di cui il film è omonimo - si palesa poco per volta la prassi del sequestro per estorsione, di cui il padre di Michele è complice. Al piccolo eroe, reso impavido dal senso di pietà e solidarietà con Filippo, il bimbo segregato, dunque non resta che trasgredire i divieti degli adulti, di cui intuisce il danno; ma per un tragico gioco del destino viene colpito (a morte?) dal suo proprio padre. Così, infine, tra il rumore assordante delle pale di un elicottero mandato dalla giustizia a braccare i criminali, seppure tinto di rosso, il bene trionfa.
L'ambientazione realistica della storia si situa nella migliore tradizione cinematografica italiana del punto di vista infantile - qui, come tiene a precisare Salvatores, la macchina da presa si mantiene per tutto il film all'altezza d'occhi del bambino, cioè sul metro e trenta - quella che a ritroso rifà la strada da Amelio a Comencini fino a De Sica. Ma, considerato nell'ottica del festival, il marchio d'esportazione Made in Italy - che i nostri governanti premono per rilanciare sempre più forte e invariato nel suo carattere di stereotipo nazionale - lo ritroviamo puntualmente, sul piano artistico, nel colore locale dell'ambientazione (meridione uguale criminalità), nelle risorse del territorio (grano sta per pasta), degli affetti (mamma/bontà). Mancava, questa volta, l'erotica sensualità mediterranea della Màlena di Tornatore.
La storia è quella dell'orrore provato di fronte a una creatura indecifrabile, scoperta casualmente in una angusta cavità sotterranea, che poi si rivela essere un coetaneo di Michele tenuto lì in cattività chissà per quale ragione. Agli occhi di chi segue il districarsi della vicenda - forse da lettore ne è già venuto a conoscenza attraverso il libro di Niccolò Ammanniti, di cui il film è omonimo - si palesa poco per volta la prassi del sequestro per estorsione, di cui il padre di Michele è complice. Al piccolo eroe, reso impavido dal senso di pietà e solidarietà con Filippo, il bimbo segregato, dunque non resta che trasgredire i divieti degli adulti, di cui intuisce il danno; ma per un tragico gioco del destino viene colpito (a morte?) dal suo proprio padre. Così, infine, tra il rumore assordante delle pale di un elicottero mandato dalla giustizia a braccare i criminali, seppure tinto di rosso, il bene trionfa.
L'ambientazione realistica della storia si situa nella migliore tradizione cinematografica italiana del punto di vista infantile - qui, come tiene a precisare Salvatores, la macchina da presa si mantiene per tutto il film all'altezza d'occhi del bambino, cioè sul metro e trenta - quella che a ritroso rifà la strada da Amelio a Comencini fino a De Sica. Ma, considerato nell'ottica del festival, il marchio d'esportazione Made in Italy - che i nostri governanti premono per rilanciare sempre più forte e invariato nel suo carattere di stereotipo nazionale - lo ritroviamo puntualmente, sul piano artistico, nel colore locale dell'ambientazione (meridione uguale criminalità), nelle risorse del territorio (grano sta per pasta), degli affetti (mamma/bontà). Mancava, questa volta, l'erotica sensualità mediterranea della Màlena di Tornatore.
Cast & credits
Titolo
Io non ho paura |
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Origine
Italia |
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Anno
2002 |
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Durata
109 min. |
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Colore | |
Regia
Gabriele Salvatores |
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Interpreti
Dino Abbrescia Diego Abatantuono Giuseppe Cristiano Mattia di Pierro Giorgio Careccia Antonella Stefanucci Riccardo Zinna Michele Vasca Susy Sanchez Adriana Conserva Fabio Tetta Giulia Matturro Stefano Biase Fabio Antonacci |
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Produttori
Maurizio Totti / Riccardo Tozzi / Giovanni Stabilini / Marco Chimenz |
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Produzione
Colorado Film–Cattleya |
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Distribuzione
Medusa |
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Scenografia
Patrizia Chericoni, Florence Emir |
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Costumi
Patrizia Chericoni, Florence Emir |
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Sceneggiatura
Niccol˜ Ammaniti' Francesca Marciano, dal romanzo di Niccol˜ Ammaniti |
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Montaggio
Massimo Fiocchi |
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Fotografia
Italo Petriccione |
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Suono
Mauro Lazzaro |
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Musiche
Pepo Scherman, Ezio Bosso |