Un Mozart da riscoprire

di Elisabetta Torselli

Data di pubblicazione su web 27/11/2003

Il Re Pastore
Più di un motivo rendeva pregevole l'edizione del mozartiano Re Pastore che si è vista al Teatro delle Muse di Ancona. Sala rinata dopo una lunga chiusura (è stato inaugurata con un altro Mozart: l'Idomeneo) grazie ad un impegnativo restauro firmato da Danilo Guerri e Paola Salmoni, che, lasciando sostanzialmente inalterato l'esterno neoclassico, ha trasformato un vecchio teatro all'italiana in uno spazio funzionale e capiente, di concezione originale per l'ardito sviluppo verticale. Il primo elemento di interesse dell'allestimento è la rarità di ascolto. Nel programma di sala Giorgio Gualerzi ricorda (Re a sovranità limitata) che solo cinque erano state le precedenti esecuzioni italiane di questa bella serenata teatrale mozartiana, fra cui la più recente nella stagione 2001 dell'Orchestra della Toscana (in forma di concerto). Opera composta a Salisburgo nel 1775 per la corte arcivescovile in onore di un visitatore illustre, l'arciduca Maximilian Franz (ultimo figlio di Maria Teresa e diciannovenne come Mozart), su un testo piuttosto fortunato, e già più volte musicato, di Pietro Metastasio (sempre nel programma di sala, la genesi e i caratteri dell'operina sono attentamente ricostruiti nel bel saggio di Piero Mioli Sia pastore il nostro re).

Testo che, nella sua limpidezza di concetto drammatico come nel fascino terso, eppure, come sempre, morbidamente insinuante del linguaggio, del fluire del verso, non fa che confermare le virtù del grande Trapassi. Non a caso, nelle scelte di testo di Mozart Metastasio pareggia tre a tre con Da Ponte (alla "trilogia italiana" di Lorenzo Da Ponte corrispondono per Metastasio un'altra serenata teatrale, Il sogno di Scipione (K 126), scritto da Mozart a sedici anni, questo Re Pastore, e poi, pur con gli aggiustamenti e revisioni di Caterino Mazzolà resi opportuni dal cambiamento dei gusti teatrali, La Clemenza di Tito). Anzi, forse, vince, se consideriamo il gran numero di scene metastasiane (recitativo e aria) che Mozart musicò come arie accademiche, ossia da concerto. Capolavori come Basta, vincesti e Misera, dove son? attestano che Mozart aveva colto il nocciolo della grandezza di Metastasio; il suo saper produrre testi che lasciano alla musica tanto spazio da riempire, da inventare, da riscrivere; la trasparenza, la razionalità, gli equilibri di un registro che proprio per la sua anodina medietà è più di ogni altro pronto a lasciarsi occupare dalla musica e a vibrarne simpateticamente.

Il Re Pastore di Mozart

Questa musica così poco conosciuta è bellissima. Seducente ricchezza e quasi sperpero giovanile d'invenzione, e insieme una lindura arcadica di forme appropriata all'occasione e all'argomento, senza preoccupazione di grandiosità né di campiture formali particolarmente ardite. Morbida ma vibrante eleganza. È la fragranza del Mozart nemmeno ventenne, quella dei cinque concerti per violino composti nello stesso periodo, ed è quanto troviamo nell'unica pagina celebre di questo lavoro giovanile (celebre perché spesso è eseguita autonomamente come pezzo da concerto): l'aria-rondò con il violino obbligato L'amerò, sarò costante di Aminta. Ma altre pagine, come il vibrante duetto Elisa/Aminta (Vanne a regnar, ben mio) che chiude il primo atto mostrano già altri potenziali e più densi risvolti e tensioni espressive. Il pastore Aminta è in realtà - lui non lo sa - l'erede del trono di Sidone; ma, ora che Alessandro Magno ha deposto il tiranno di turno e vuole sul trono un re legittimo prima di ritirarsi con le sue armate (!), Aminta rinuncerebbe al regno per amore della sua pastorella Elisa, se non fosse che Alessandro proprio in questa rinuncia vede un segno ulteriore di magnanimità, di diritto al trono.

Lieto fine, dunque, come d'obbligo. Ma nella messinscena bella e originale firmata da Daniele Abbado anche questa Arcadia pastorale settecentesca ha le sue inquietudini. Forse è un'Arcadia no-global: al centro della sobria scena di Silvano Cova c'è una grande vasca colma d'acqua - lo spettatore è autorizzato a pensare al Mediterraneo, al Tigri o all'Eufrate... - ai cui bordi o nel cui liquido i danzatori-mimi, come doppio dei cantanti, svolgono un complesso cerimoniale fatto di gesta e danze da teatro epico, antico, rituale, orientale - da Mahabharata secondo Peter Brook - sfidandosi in lente volute di movimenti (le coreografie sono di Giovanni Di Cicco). Intanto, sui due grandi pannelli che sovrastano l'azione, scorrono, nei video di Luca Scarzella, immagini di foglie, acque, nubi, sabbie calcate da impronte, un esercito all'assalto; scorci, particolari toccanti e frammenti, colti con sguardo misterioso, emozionato di statue e rilievi antichi (questa bella qualità dei video di Scarzella per le messinscene di Daniele Abbado la notammo anche nell'allestimento fiorentino del Rape of Lucretia di Britten). Una civiltà tutt'altro che "primitiva" e innocente come l'Arcadia immaginata da Settecento, ma anzi presa nella malinconia della propria decadenza e sconfitta.

Spuntano anche taniche e pistole, e magari se ne farebbe a meno, ma nel complesso il gioco allusivo di Abbado è raffinato e obliquo nel creare un sottofondo enigmatico e un po' inquietante (però mai esagitato, mai invadente) all'agire composto dei cantanti e alla bella musica di Mozart, a cui si lascia tutto il respiro contemplativo di cui ha bisogno. Musica a cui l'eccellente lavoro di Corrado Rovaris sul podio dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana imprime la grazia e l'agilità di un autentico sound mozartiano. Il cast è fatto di giovani voci (circostanza singolare: le due cantanti che impersonano Aminta e Tamiri sono gemelle) doverosamente attente - anche se forse un po' intimidite - alle necessità dei lunghissimi fiati e fioriture di questa vocalità: Stefano Ferrari (Alessandro), Raffaella Milanesi (Aminta, assegnando dunque opportunamente alla voce femminile di mezzosoprano il ruolo del protagonista, concepito per un "musico", cioè per un castrato), Cinzia Forte, la migliore e più vocalmente seducente (Elisa), Giorgia Milanesi (Tamiri), Bruno Lazzaretti (Agenore). Successo ottimo, tributato da un pubblico attento e civile quale probabilmente desidererebbero molti grandi teatri lirici italiani.

Il Re Pastore

Cast & Credits

Trama







 




 

















Cast & credits

Titolo 
Il Re Pastore
Sotto titolo 
Serenata in due atti
Data rappresentazione 
11/11/2003
Città rappresentazione 
Ancona
Luogo rappresentazione 
Teatro delle Muse
Prima rappresentazione 
Salisburgo, Teatro del Palazzo Arcivescovile, 23 aprile 1775
Libretto 
Pietro Trapassi detto Metastasio
Regia 
Daniele Abbado
Interpreti 
Cinzia Forte (Elisa)
Raffaella Milanesi (Aminta)
Giorgia Milanesi (Tamiri)
Stefano Ferrari (Alessandro)
Bruno Lazzaretti (Agenore)
Produzione 
Nuovo allestimento del Teatro delle Muse
Scenografia 
Silvano Cova
Costumi 
Carla Teti
Coreografia 
Marta Ferri
Musiche 
Wolfgang Amadeus Mozart
Orchestra 
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Direzione d'orchestra 
Corrado Rovaris

Trama

Atto I

Campagne nei pressi della città di Sidone. Assorto nella quiete della vita pastorale, seduto sulle rive dell'amico ruscello, il giovane pastore Aminta è raggiunto dalla sua innamorata Silvia. I due commentano gli ultimi avvenimenti pubblici: Alessandro, il giovane e potente re di Macedonia, ha conquistato Sidone e deposto il tiranno e usurpatore Stratone. Chi regnerà in queste contrade? Ma le preoccupazioni private hanno il sopravvento: potrà Elisa, che discende dall'illustre stirpe di Cadmo, rassegnarsi alla vita modesta e ritirata che Aminta può offrirle? La fanciulla lo rassicura pienamente. Sopraggiungono Alessandro e il suo consigliere Agenore che osservano Aminta, apprezzandone la nobile semplicità: il giovane è in realtà, senza saperlo, Abdolonimo, legittimo erede del regno di Sidone, di cui si erano perse le tracce quand'era ancora in fasce e che adesso Alessandro decide di restaurare sul trono che gli spetta. Agenore si imbatte in un'avvenente pastorella e riconosce in lei la donna amata: Tamiri, figlia del deposto Stratone. Il giovane cerca di persuadere Tamiri che Alessandro saprà essere giusto e clemente con lei, che non ha nessuna colpa, ma Tamiri si rifiuta di presentarsi al re macedone. Agenore rende omaggio ad Aminta, rivelandogli il suo vero essere e invitandolo a recarsi all'accampamento di Alessandro per essere incoronato; ma Aminta è stordito e preoccupato: dovrà, per la corona di Sidone, rinunciare a Elisa?


Atto II

Nell'accampamento di Alessandro, Elisa cerca Aminta ma è respinta inflessibilmente da Agenore: il suo amato adesso ha altre preoccupazioni, altri doveri. Elisa se ne va, accusandolo di essere un barbaro senza cuore, come dimostra il fatto che - come erroneamente Elisa crede - ha dimenticato Tamiri. Aminta confida ad Alessandro di non sentirsi chiamato ad essere sovrano, e, nonostante le benevole esortazioni dell'imperatore, si ritira in solitudine. Alessandro, edotto da Agenore della presenza di Tamiri, progetta le nozze fra questa e Aminta per pacificare la regione e rafforzare il trono. Agenore ne è profondamente turbato, ma è disposto a tirarsi in disparte e a rassegnarsi al più alto destino della sua amata. Non così Elisa, pronta a morire perché si ritiene abbandonata da Aminta per Tamiri; dal canto suo, Tamiri rimprovera Agenore di indifferenza e crudeltà. Ma la sincerità e la costanza amorosa stanno per ottenere il loro premio. Tamiri, gettandosi ai piedi di Alessandro, afferma che la sua felicità sarà possibile solo al fianco di Agenore; Elisa accusa il sovrano di opprimere, per realizzare i propri disegni, un amore nato quando lei e Aminta erano bambini; lo stesso Aminta, sopraggiunto, riconsegna ad Alessandro le vesti regali: non può rinunciare all'amore di Elisa. Alessandro decide: nessun sovrano può separare due sinceri e fedeli amanti: Aminta, o meglio Abdolonimo, regnerà su Sidone con Elisa, egli stesso si impegna a conquistare un regno per Tamiri e Agenore.