Max, fisico nucleare, lavora ad un importante esperimento chiamato Helios nel laboratorio di fisica situato dentro il Gran Sasso: allimprovviso ne viene nominato responsabile dal suo professore. Luomo ha una relazione con la scienziata francese Anais che non esita a metterlo con le spalle al muro: si è accorta che Max ha falsificato i risultati dell'esperimento. In preda al terrore di essere svergognato pubblicamente, Max ha un incidente e si ritrova catapultato sulla montagna al cui interno si sta svolgendo lesperimento: in superficie solo rocce e pecore. E la mandria di Bajram, un giovane pastore macedone, vittima del racket albanese.
Il bel controverso ritratto di ricercatore, che nel film ha il volto spiritualmente affusolato di Valerio Mastandrea, continua a riportare a galla frammenti di visione del film. Sono grappoli di immagini potenti e arcane. Forse dipende dal fatto che la macchina da presa di Daniele Vicari si esibisce spesso in movimenti non giustificati dal contesto narrativo, ponendosi come presenza spettrale, come quando indugia sul corpo seminudo della scienziata Anais. La regia dilata spazio e tempo dellazione anche con false soggettive del protagonista, Max, che invece rivelano la presenza perentoria dello stile vigoroso di Vicari, distogliendo e distaccando lo spettatore dallipnosi della visione. Cè una dichiarata ascendenza antonioniana in questo film.
Valerio Mastandrea e Gwenaelle Simon
Tornano prepotenti le immagini della seconda parte, girata sulle cime del Gran Sasso, terra desolata presidiata dagli albanesi, in cui si avverte uneco dei pensieri inespressi del protagonista. Quando si posa sugli orizzonti disabitati della montagna, lo sguardo di Vicari comincia a volare alto per tentare di tradurre in immagini laffanno della mente. Fuori dal laboratorio e dalle truffe del sapere, il fisico continua a cercare il senso smarrito della propria esistenza nel mistero dei fenomeni naturali (il dolore fisico, la notte e il giorno, la scoperta di una sorgente, il temporale). Ma anche da quella nuova prospettiva presumibilmente non continua a vedere altro che neutrini in movimento nellacqua cristallina. Non riesce a uscire dal suo isolamento.
Quando alla fine del film Vicari abbandona il personaggio dentro una storia che continua a scriversi ma che noi non vediamo, chi è – ci si chiede – questuomo intento a interrogare luniverso e al tempo stesso incapace di dare un disegno coerente alla propria esistenza?
Valerio Mastandrea e Lulzim Zeqja
Altezzoso, scontroso e sopraffatto dal riserbo, Mastandrea carica Max di una forza magnetica profondamente interiorizzata, come se recitasse un sottotesto di cui il testo è andato perduto: ne è rimasta solo uneco, unemozione profonda. Lunico gesto veramente violento, in questo film dalla forza trattenuta, coincide con un momento costruito ad arte, una lampada spaventosamente rovesciata nel mezzo del diverbio cruciale. Mastandrea sceglie con massima oculatezza il momento propizio per liberare la tensione accumulata, e così procede allunisono con le improvvise fughe ottiche di Vicari, come in una complessa partitura più mani. Quando cammina sul Gran Sasso incerto sulle gambe, indossando le scarpe scomode di un morto, sembra ricreare un tempo astratto di guerra, fra la No Mans Land dei balcani e la Grande Guerra di quando il cinema italiano ai suoi personaggi tragicomici sapeva ancora conferire una statura eroica. Mastandrea e Vicari disegnano invece un uomo estenuato, prosciugato eppure tracotante: sul piano umano il pastore extracomunitario, perseguitato dalla ferinità brutale del clan albanese, si rivela più generoso di lui.
Francesca Inaudi
Nellorizzonte di Vicari appaiono eventi cupi, come il rumore di fondo che muove dalle viscere della terra per diffondersi e straripare in correnti di sonorità ossessive, ma anche frammenti di bellezza, come la grandiosa visione dallinterno della sfera Helios inondata di luce. Il laboratorio ricreato negli studi di Papigno è un autentico mostro: linconoscibile non è più levento impossibile da misurare ma semplicemente levento che non si verifica. E un nulla che si vuol rendere significativo e di cui invece sfugge il senso. Anche il vecchio professore possiede un sapere difettoso, non conosceva davvero lallievo prediletto a cui ha affidato lesperimento - avrebbe dovuto lasciarlo condurre dalla scienziata francese, altro volto della globalizzazione speculare a quello del pastore: una donna fiera e autentica. Dietro la porta che si chiude, e da cui la cinepresa si allontana, è implicita la sua rivincita.
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