Qualche anno fa, quando uscì Il gladiatore (2000), ci si sforzò di riconoscere al regista britannico Ridley Scott di essere riuscito in unimpresa che i più reputavano (oggi come allora) persa in partenza, cioè regalare una nuova vita al genere epico-storico in salsa hollywoodiana. Quel film, pur con le sue inesattezze storiche e il suo semplicismo, riesce però a conservare un sostanziale equilibrio tra letica e la spettacolarità, difficilmente raggiungibile in un film di genere quale esso è. Questa nuova opera di Scott, Le crociate, costata la cifra esorbitante di 150 milioni di dollari, sembrerebbe volersi inserire nel solco inaugurato con il film precedente, sebbene i risultati delloperazione siano piuttosto scadenti, soprattutto a livello drammaturgico.
Nessuno ha mai chiesto a un film storico di fare storia, è ben noto che i codici del genere spingono questo tipo di prodotti cinematografici a sostituire la history con la story; ne è un chiaro esempio proprio Il gladiatore, in cui si verificano distorsioni della realtà abbastanza evidenti, basti pensare alluccisione di Marco Aurelio da parte di Commodo o al personaggio di Massimo, completamente inventato. Le crociate tuttavia sembra eludere abilmente questa tendenza perché i personaggi e la vicenda messa in scena sono sostanzialmente fedeli al dato storico: ci sono il prode Baliano dIbelin (Orlando Bloom), difensore della Gerusalemme assediata dalle truppe dello spietato, intelligente, ma generoso Saladino (interpretato dallattore siriano Ghassan Massoud), con il quale alla fine riesce a concordare una resa incruenta, il lebbroso re Baldovino (Edward Norton, il cui volto si nasconde dietro una maschera per quasi tutto il film), sua sorella Sybilla (Eva Green), il di lei marito Guy de Lusignan (Marton Csokas), affiliato dei Templari, avido e convinto guerrafondaio. Le concessioni agli stilemi del genere sono limmancabile storia damore tra leroina Sybilla e il valoroso Baliano, le scene spettacolari di grandi e sanguinose battaglie, la sontuosità di scenografie e costumi, mai come in questo caso dallinevitabile sapore esotico.
Orlando Bloom nel ruolo di Baliano d'Ibelin
Eppure se Scott e il suo sceneggiatore William Monahan avessero voluto fare solo un film dalla verosimiglianza storica inattaccabile probabilmente non staremmo qui a contestare il film, ma purtroppo non è così. Infatti, se ne Il gladiatore le forzature storiche sono necessarie a veicolare un certo tipo di messaggio etico-politico, legato agli ideali repubblicani e riassumibile nel motto "Civis romanus sum", ne Le crociate ad una realtà storica sostanzialmente rispettata non corrisponde unaltrettanto credibile prospettiva etica. Naturalmente ciò è aggravato dal fatto che si tenti di far passare per aspirazione religiosa fatti storici che con essa avevano davvero poco a che fare. Non basta insomma dipingere i Crociati per quello che in gran parte sono stati nella Storia, e cioè unorda di barbari e di pezzenti (e in questo il Brancaleone alle crociate di Monicelli docet), laddove la civiltà islamica era invece molto più progredita e raffinata, per cercare di fugare i dubbi sullintera operazione di un film uscito in tempi veramente "sospetti".
Eva Green nei panni di Sybilla, regina di Gerusalemme
Lidea centrale del film sembra essere quella di una vittoria dellesperienza individuale della fede sui dogmi della religiosità ufficiale universalmente condivisa, laddove il vero significato del Credo risiede nel rispetto delle altre religioni. Questo messaggio volutamente pacifista viene però ribadito nel film non solo dalla stucchevole ridondanza dei dialoghi tra i protagonisti, ma anche dalla gratuità di certe azioni individuali, come si può vedere chiaramente, ad esempio, nella scena in cui Saladino, dopo essere trionfalmente entrato nella Città Santa, si ferma per raddrizzare un crocifisso finito sul pavimento della reggia, nell'infuriare dei combattimenti. Queste inserzioni didascaliche non fanno altro che aggravare il senso di banalità e semplicismo di cui soffre il messaggio etico del film. Spot ideologici in formule prevedibili, verrebbe da dire, soprattutto se messi in bocca a personaggi che funzionano a intermittenza, sia per carenze dovute alla sceneggiatura, sia per la non brillante prova offerta dei blasonati attori (salverei solo Norton e Massoud).
Edward Norton nel ruolo del lebbroso Re Baldovino
E naturale dunque che i riferimenti alla tragica situazione del Medio Oriente contemporaneo, gli ammiccamenti a un nuovo scontro di civiltà che sarebbe in atto tra lOccidente cristiano e lOriente musulmano (ribaditi nella didascalia finale) non trovano credibile riscontro in una messa in scena drammaticamente priva di un vero e forte nucleo ideologico. Non era necessario impantanarsi nella rappresentazione delle Crociate per dirci che la tolleranza religiosa è alla base della pace e della concordia tra i popoli. E in questo, il riferimento al passato sanguinoso delle guerre scatenate dai cristiani nel Medioevo appare stucchevole ed inutile, proprio perché è la forma del film a renderlo tale. Se il Massimo de Il gladiatore percorre un cammino eroico che lo porta dalla condizione di schiavo alla sfida diretta con limperatore grazie ad un valore etico chiaramente riconoscibile, il coacervo di ideali e valori contenuto ne Le crociate, dal pacifismo al relativismo, dallindividualismo alla fede, perde ogni tipo di prospettiva storica perché i vari personaggi realmente esistiti si comportano, nella finzione filmica, come inermi marionette perse nella vacuità dello stesso messaggio etico. Viene da chiedersi: ma dovè finito il gladiatore? Anche quello finto…
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