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Una via crucis dai ritmi afro-americani

di Giovanni Fornaro
  The temptation of St. Anthony
Data di pubblicazione su web 12/05/2005  
L'acqua sotto i ponti passa per tutti, e nella nuova opera del grande regista-designer Robert Wilson, The temptation of St. Anthony, in "seconda" italiana (dopo l'Ortigia Festival 2003 di Siracusa) lo scorso 3 maggio al teatro Piccinni per la stagione della Fondazione Petruzzelli e teatri di Bari, emergono – notevoli – le differenze con suoi capisaldi storici come The deafman’s glance (1971) o Einstein on the beach (1976).

Apparentemente l'estetica minimalista, che informava non solo l'aspetto strettamente musicale – per quest'ultima, si ricordi la splendida partitura scritta da Philip Glass per Einstein – è qui accantonata: a Wilson interessa oggi rileggere la vita del santo, (ispirandosi certo al romanzo di Gustave Flaubert) visto quale solitario asceta mistico che le "tentazioni" della vita e gli "attacchi" filosofici delle altre fedi mettono alla prova senza esito, se non quello, irreversibile, di attivare una quest, un viaggio interiore che lo conduca ad un più elevato grado di consapevolezza e di appagamento.

The temptation of St. Anthony
The temptation of St. Anthony

Wilson utilizza del suo "teatro-danza" quei movimenti rallentati ed "estatici" che forse costituiscono il residuo del minimalismo degli anni giovanili, ma che oggi sono accompagnati non da composizioni musicali eteree e "circolari", bensì da una partitura che più concreta non si potrebbe perché profondamente afro-americana. La scelta del regista, in effetti, è stata quella di utilizzare il jazz, il gospel, il blues, persino il rap, in coerenza etnica e stilistica con interpreti ed autori, tutti di colore, a cominciare dalla nota compositrice e librettista Bernice Johnson Reagon, nota attivista politica negli anni sessanta e settanta, cantante e ricercatrice, figura di primaria importanza nella cultura afro-americana del secondo novecento. Ispirata da Wilson, la Johnson Reagon si fa aiutare dalla figlia Toshi Reagon nel realizzare arrangiamenti che sottolineino la forza interiore (quella di Antonio), con i brani più "black" e "funky", ma parallelamente la sofferenza interiore e le incertezze proprie di ogni ricerca che scavi nelle convinzioni profonde del sé, con i brani più melodici, in cui alla densa tessitura "nera" si sostituisce, o meglio si affianca, un suono più aperto ed "etereo", tributario di quel mètissage di cultura bianca e nera che ha prodotto capolavori ibridi della musica popular come Graceland di Paul Simon (1986), cui in qualche occasione la partitura si richiama.


The temptation of St. Anthony
The temptation of St. Anthony

Questi suoni, magnificamente equalizzati dal sound designer Peter Cerone,  non hanno perso la natura minimale – si pensi al lento ingresso processionale del gruppo vocale, sull'iterazione sillabica ad libitum del titolo One more time – che però assume nuova vitalità attraverso l'armonizzazione e la veste ritmica afro-americane.

Il libretto prevede una sorta di via crucis in 7 stazioni, che accompagnano il santo (il bravo cantante, attore, scrittore Carl Hancock Rux) attraverso una serie di esperienze che gli dissiperanno progressivamente dubbi ed incertezze per farlo ritornare, rinnovato e felice, sul luogo del proprio eremitaggio.

Rux canta poco, è più che altro una presenza mimica ascetica che sembra appartenere ad un mondo "altro" rispetto a quello che, di volta in volta, il diavolo (Aleta Hayes) o Ilarione (la ieratica e bellissima vocalist Helga Davis) gli propongono: delle varie tentazioni – donne, tesori, cibi – il protagonista sembra accorgersi quasi casualmente, all'ultimo momento, svelando una scelta registica che "stacca" Antonio dal piano della narrazione drammaturgico-musicale per porlo, appunto, su quello mistico-filosofico. È una decisione che può suscitare riserve perché, a nostro parere, in alcune occasioni mina l'unità stilistica e la tensione emotiva dello spettacolo, ma che appare indubbiamente coerente con gli intenti teoretici di Wilson.

Nel suo complesso, la messa in scena è caratterizzata – come sempre per il regista statunitense – da un'assoluta eleganza formale: due lunghe panche ai lati del palco, per accogliere i componenti del coro, due porte con funzione di "quinte", due altissime lesene ad arco sul fondo, elementi scenografici stilizzati dovuti alla brava artista tedesca Stephanie Engeln (una palma, una capanna formata da aste di legno incrociate, oggetti calati dall'alto o portati in scena dagli stessi cantanti) e, soprattutto, una perfetta e sincronizzata regia delle luci – curata dal light designer A. J. Weissbard, molto noto anche in ambito operistico internazionale – che traccia confini e segna spazi differenziati sul palco, ponendo o togliendo in primo piano i protagonisti della vicenda, fra bei colori pastello utilizzati in sintonia con quanto accade nella vicenda. Le voci costituivano un impasto timbricamente variegato, grazie non solo ad altezze differenziate per genere ma anche per la presenza di voci giovani affiancate a quelle più anziane. Sarebbe troppo lungo elencare tutti (vedi a lato il cast & credits), ma va citato l’ensemble strumentale per la versatilità e la competenza esecutiva, in cui primeggiava la già citata Toshi Reagon, qui in veste anche di leader del gruppo.



The temptation of St. Anthony



cast cast & credits


The temptation of St. Anthony
The temptation
of St. Anthony




The temptation of St. Anthony
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