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Il paradiso perduto

di Fabio Tasso
  Cose di questo mondo
Data di pubblicazione su web 22/04/2003  
Chi avrebbe scommesso che l'Orso d'oro del Festival di Berlino 2003 sarebbe stato vinto da un film girato in digitale, privo di sceneggiatura, con attori non professionisti e con uno stile documentario che niente ha a che vedere con certe leziosità che invadono i cinema odierni?

Probabilmente nessuno. Ma Michael Winterbottom ha vinto la sua sfida (personale e cinematografica), confermando, se mai ce ne fosse bisogno, l'estrema attualità e il momento di grazia che sta vivendo il "genere" docu-fiction, dopo i successi di film come, tra gli altri, Bowling a Columbine di Michael Moore ed Essere e avere di Nicolas Philibert.


Cose di questo mondo
Cose di questo mondo

Che Winterbottom fosse un autore attento alle problematiche sociali non è una novità; lo dimostrano lavori come Go Now (uno dei film più "loachiani" degli ultimi anni) e Benvenuti a Sarajevo (discutibile quanto si vuole, ma sincero). Ma che decidesse di raccontare l'odissea di due giovani afgani e il loro disperato viaggio della speranza da un campo profughi di Peshawar (Pakistan) a Londra ha probabilmente stupito tutti.
Cose di questo mondo (efficacissima, per una volta, la traduzione italiana di This World) è il racconto in presa diretta di un viaggio attraverso mondi diversi e inconciliabili, verso la libertà e la vita. Un'odissea, abbiamo detto; il termine è quantomai calzante, se vediamo i giovani viaggiatori come due "nessuno" (non in senso morale, ovviamente, ma come rappresentanti di un'umanità della quale spesso non siamo in grado di distinguere le individualità) che si lanciano in un'impresa che appare disperata. Perché la meta è tangibile, conosciuta, ma il modo per raggiungerla prevede ogni sorta di difficoltà.

Winterbottom dimostra il piglio del documentarista vero, che affronta ogni scena con partecipazione emotiva e riesce a raggelarla in una sequenza di immagini che spesso si interrompono bruscamente, con tagli netti e decisi che spostano l'attenzione sulla scena successiva. La storia prosegue, non c'è tempo per fermarsi a riflettere. Così, quando dopo l'attraversamento in mare dell'Adriatico i due compagni raggiungono Trieste, e in un incidente uno dei due perde la vita, il punto di vista si sposta immediatamente sull'altro, senza che si senta nemmeno il bisogno di guardarsi indietro per compiangere il defunto.

Velocità e immediatezza (e anche spietato realismo) sono le parole chiave di questo film, che instilla però in chi lo guarda un'inquietudine diffusa, una cupa e mesta ansia di riflettere, di mettere ordine in un vorticare di immagini che spesso si fa troppo frenetico. Forse così si spiega il silenzio che avvolge la sala alla fine della proiezione; gli spettatori sentono il bisogno di raccogliersi per rielaborare intimamente la rutilante esplosione visiva alla quale hanno assistito.

E velocità e immediatezza sono spesso anche i difetti principali del film, risultato di un lavoro di montaggio di oltre duecento ore di materiale girato. Winterbottom e il suo assistente hanno dichiarato che la loro telecamera digitale rimaneva accesa tutta la giornata, dal mattino alla sera, cogliendo così l'esperienza nella sua completezza. Ma non è facile riassumere molti giorni in un film di un'ora e mezza, e da ciò forse deriva il senso, diremmo, di "provvisorio" del quale il film è intriso, come pure la sensazione indefinibile, ma palpabile, che a ogni scena (a volte a ogni immagine) manchi qualcosa.

Eppure, pur nei suoi innegabili difetti, Cose di questo mondo è un film importante e affascinante. E' il racconto di un viaggio disperato verso certezze tutte da costruire, terribilmente vicino alle tensioni di questi anni, anche se il film è stato progettato oltre due anni fa prima dei fatti dell'11 settembre 2001 e del conflitto iracheno.

Senza sciogliere pienamente il dubbio sul presunto realismo della storia (dove finisce il documentario e inizia la fiction?), Winterbottom sembra riuscire a cancellare tutte le sicurezze sulle quali si appoggia la nostra fragile esistenza, sospesa tra un presunto "benessere" e l'ignoranza (voluta?) di quanto accade realmente al di là di una 'linea di confine' che l'Occidente, di fatto, ha creato. Due ragazzi alla ricerca del loro paradiso perduto rappresentano qualcosa che noi, senza volerlo o senza saperlo, abbiamo forse già perso.


Cose di questo mondo
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