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Scemissimo

di Roberto Fedi
  Tina Apicella e Anna Magnani in "Bellissima" di Luchino Visconti (1951)
Data di pubblicazione su web 31/03/2005  
Ci viene dal cuore: uno dei programmi più scemi che la Tv ci imbandisce è Verissimo (Canale 5, diretto e presentato da Cristina Parodi, su cui è più bello tacere). Già qualche tempo fa ci eravamo sbilanciati sul suo pendant mattutino e ci sembrava di aver già dato. Ma qui si esagera.

La trasmissione, che dura un’ora e mezza (!), va in onda il pomeriggio: e si sa che, in quella fascia, c’è poco da stare allegri. Bene che vada c’è un filmaccio stantìo; se va un po’ meglio c’è Atlantide su La7, che pur avendo storie di risulta (sono di circuiti internazionali, ma adattate), si fa vedere. Anzi, qualche volta, quando non si mettono a strologare sui Templari come martedì 29 marzo, dando credito a quella sesquipedale stupidaggine che è Il codice Da Vinci di quel non-scrittore di Dan Brown (ma come avete fatto a leggerlo? è una domanda seria, davvero), si può adocchiare con qualche interesse. Ma su Canale 5 siamo al capolavoro.

La Parodi una volta leggeva il Tg5, e non lo leggeva neanche male. Poi ha sposato per sua ventura (pardon) non un uomo, ma la Rete, con quello che ne è seguito. Ora si rifà spopolando a tutta birra: e chi può dirle qualcosa? Quindi, o di riffe o di raffe, ci ammorba con le sue storie da rotocalco degli anni Cinquanta: quando, a un’Italia povera e contadina appena inurbata, fatta di ragazze che andavano ‘a servizio’ e di donne cariche di figlioli che si compravano un vestito ogni dieci anni, quei giornalacci grigi, in bianco e nero, tristi e plumbei proponevano famiglie reali, nozze reali, amori reali, carrozze reali come quelle di Cenerentola, balocchi & profumi.

Era un’Italia triste, checché se ne dica: il mito degli anni Cinquanta è una delle più sconfortanti fregnacce (pardon, bis) che i fabbricanti di miti popolari ci abbiano mai ammannito. La Seicento, in salita, si fermava dopo un paio di kilometri con il motore semiscoppiato; la Cinquecento, design a parte, era una scatola d’acciughe. Il Musichiere di Mario Riva faceva schifo. Nelle trattorie fuori porta si mangiava da vomitare. Lascia o raddoppia? era una pappa copiata dagli Usa, da poveracci semianalfabeti. Le case erano fredde e buie. Era da tempo iniziato il sacco di Roma e di tutte le città italiane, che abbiamo sotto gli occhi tuttora. Era un’Italia da disperati. Vista con gli occhi di un bambino molto piccolo già faceva senso. Figuriamoci a ripensarci.

Ora, che nei sogni in bianco e nero e in pulp dell’epoca potesse far emozionare un matrimonio principesco, o una morte reale, beh si poteva capire (del resto, a parlarsi chiaro: solo pochi anni prima la Repubblica ce l’aveva fatta per un soffio, pensate un po’). Ma che nel 2005, per un’ora e passa, la Parodi ci ammannisca storie di principi, interviste di nobildonne, pensieri di conti marchesi duchi e fricassea sciolta su, poniamo, il principe Ranieri, via: siamo un pochino più grandi. Siamo anche meno scemi.

Non è per essere malevoli, davvero. Siamo anzi talmente arguti da guardare, sghignazzando a crepapelle, Rita Dalla Chiesa che in un lungo servizio questa volta ‘democratico’ e rivolto alla ‘ggggente’ intitolato Addio parla del padre di Al Bano testé defunto come di un Grande Pensatore, del figlio come di un Grandissimo Pensatore, e della madre fortunatamente ancora viva come di “donna Jolanda”.

Spiritosissimo.


Verissimo

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