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Medea ovvero Della solitudine

di Giulia Tellini
  Maddalena Crippa in Medea
Data di pubblicazione su web 14/03/2005  

Maddalena Crippa, ora in tournée con lo spettacolo "A sud dell'alma", nel giugno 2004 ha interpretato al Teatro di Siracusa, per la regia di Peter Stein, il personaggio di Medea nell'omonima tragedia (431 a.C.) di Euripide.  

Firenze. Teatro della Pergola, 24 febbraio 2005.

Di Medea sono state date varie interpretazioni. Di Medea sono stati scritti vari adattamenti. Chi è la sua Medea?

Secondo me di Medea ce n’è una sola. Considero un malcostume il fatto di manipolare questi personaggi straordinari per dimostrare ciò che desideriamo. Lo trovo un delitto nei confronti di un testo classico. Per questo sono tendenzialmente contraria agli adattamenti e appartengo, in un certo senso, alla “scuola” di mio marito [Peter Stein] che ha nei riguardi di un testo antico - in questo caso di Euripide - un atteggiamento da archeologo ovvero da studioso che cerca di capire. “Cercare di capire” significa comprendere il testo in tutte le sue parti, specie in quelle più apparentemente a noi incomprensibili. Se un particolare è complicato da rappresentare non si può semplicisticamente  eliminare. Di un testo non si può scegliere di mettere in luce solo un elemento come, nel caso di Medea, il proto-femminismo. Nella tragedia, il primo monologo della protagonista, «Donne di Corinto», è proto-femminista: Medea pronuncia un discorso per attrarre dalla propria parte il gruppo del Coro femminile, ma far gravitare il testo intorno a questo unico elemento, secondo me, è un grandissimo errore. Peter mi ha insegnato ad avere un enorme rispetto per i testi, ad essere completamente al loro servizio: dato che conosce il greco antico,  può controllare la traduzione e pretendere che sia asciutta come l’originale euripideo. A volte capita di leggere una tragedia e di non capire niente, tanto la lingua è ridondante e lontana da noi. La lingua della tragedia greca è retorica per una determinata ragione. Lo spazio del Teatro Greco, dove è nata la tragedia, prevede sempre la presenza del Coro. Perciò la lingua è retorica. Non può esserci psicologismo: non c’è psicologismo nella tragedia. Stare in un teatro greco è come stare in una agorà, in un tribunale: non ci sono discussioni ma sticomitie ovvero parti dialogiche in cui due attori recitano alternativamente un verso ciascuno. Tra Giasone e Medea non si svolgono veri e propri dialoghi. Giasone e Medea sono due entità che si contrappongono e argomentano con una inflessibile razionalità. Medea non perde mai la coscienza di quello che sta facendo, perché sta di fronte a un pubblico: non si tratta di una questione privata tra lei e suo marito. La tragedia avviene tutta di fronte a un Coro che commenta e, in tal modo, blocca l’azione. 

Come di fronte ad un Areopago.   
Sì. Questo aspetto essenziale della tragedia va rispettato. Usare la lingua retorica è necessario. Ma la lingua retorica va saputa usare. Un regista non può decidere di farne a meno perché è scomoda o sorpassata. Il personaggio della protagonista inoltre è estremamente ricco. Medea è una donna, una madre e una straniera: ma anche una semidea. Il finale euripideo, da un lato, sembra molto strano: se lei è una semidea dovrebbe volare via sul carro del sole. Tuttavia Medea è diventata una donna sposando Giasone e avendo due figli. Come donna Medea  prova quello che gli esseri umani provano: il tradimento, la gelosia, le passioni che travolgono, possiedono, distruggono. Lei dice: «Capisco tutto l’orrore che sto per compiere ma la passione è più forte della mia ragione e io sono la più disperata di tutte le donne». Medea è divelta da questo tormento, da questa sua interna contraddizione ma va avanti fino alla fine. E’ significativo notare come questo testo può interessare il pubblico contemporaneo.

Questa è la prima tragedia greca che lei interpreta. In precedenza ha avuto l’occasione di interpretare Pentesilea. Un'altra eroina tragica. Può fare un confronto fra Medea e Pentesilea? 
La Pentesilea ci è più vicina. E’ una tragedia, se vogliamo usare una terminologia non del tutto esatta, con implicazioni psicologiche. Inoltre Pentesilea non ha coscienza di quello che fa: uccide Achille sbranandogli il cuore e non se ne rende conto  perché la sua mente è obnubilata dalla smania di vendetta e dalla passione. Medea, invece, ha sempre la coscienza di ciò che fa. La tragedia euripidea è così catartica e così potente perchè richiede da parte del pubblico una riflessione continua. I Cori della Medea sono bellissimi. A un certo punto le donne del Coro dicono: «Non colpirmi mai, Afrodite, con questa freccia avvelenata degli amori impossibili». Le passioni distruggono ed è necessario che l’essere umano le riconosca per difendersene. Le passioni esistono: l’amore, la gelosia e la smania di vendetta ci attraversano oggi come ieri. Abbandonarsi alle passioni porta all’efferatezza, ai delitti, alla distruzione. Quest’estate, la scenografia della Medea era chiarissima e toccante: una semplice collina con una piccola casa che comunicava l’immagine della famiglia. Alla fine della tragedia la casetta viene distrutta, compare il carro del sole e Medea se ne va via. Quanto ai bambini erano sempre in scena. Nel momento in cui  Medea li consegna al padre, sembra di vedere una scena di Kramer contro Kramer: «prenditi i figli», «no tienili tu», «ma no: prendili». E’ una sofferenza atroce il fatto di essere completamente alle dipendenze di un uomo. Medea ha abbandonato tutto per Giasone: ha tradito suo padre, ha ammazzato suo fratello, ha lasciato la sua terra. Creonte la vuole mandare in esilio. Medea è assolutamente sola. Tuttavia lei non dà ascolto solamente alle proprie passioni: è come un Capo di Stato, una politica lucidissima che ha un raziocinio infallibile. Tiene testa a Creonte fino in fondo. E poi è una madre tenerissima. Medea è un personaggio straordinario proprio per questa ricchezza caratteriale. Perciò la gente, quest’estate, si schierava con Medea. Vedere quindicimila persone così coinvolte da uno spettacolo come la tragedia dà l’idea di quanto il teatro potrebbe essere popolare e di quanto parla alla nostra società, a una comunità che deve confrontarsi con le regole del vivere insieme. Un vivere “insieme”  che presuppone passioni, sentimenti, emozioni, angosce. La tragedia parla di questo e perciò è universale ed è sempre attuale: parla dell’essere umano e l’essere umano non è cambiato. Oggi ha i computer, i cellulari, le macchine ma dentro di sé ama, odia, soffre, gioisce allo stesso modo.

 


 

una scena di Medea
una scena di Medea




Mi ha sempre colpito la sua potenza vocale. Lei riesce a comunicare la potenza del personaggio di Medea anche attraverso la voce.
Tieni anche conto che siamo all’aperto. Nel Teatro di Siracusa, anche se gli attori usano il microfono, si sente qualsiasi rumore. Comunque in un teatro all’aperto è chiaro che è necessario affidarsi alla potenza vocale.

Mi ha colpito anche la chiarezza della sua pronuncia.
Io conduco un lavoro sulla voce ormai da anni insieme ad alcune maestre di canto. La voce è il mio strumento primario. Dato che difendo il teatro di parola, la voce è la prima cosa che devo allenare e saper usare. E’ una ricerca che porterò sempre avanti. E’ meraviglioso quando si arriva al punto di saper usare l’intera gamma vocale a seconda di ciò di cui si ha bisogno. La voce va curata e bisogna saperla mantenere. Deve sfruttare il massimo della risonanza e va mantenuta nell’ambito della risonanza  altrimenti si perde. E’ una questione di equilibrio. E’ molto interessante l’inizio di Medea: il pubblico, senza vederla, sente urlare la protagonista dall’interno della casa. Lo spettatore ascolta le sue grida e - anche in base alle descrizioni che ne sono state date - la immagina come una donna disperata e fuori di sé. Invece Medea esce dalla casa e tiene un lucidissimo discorso politico. E’ un grandissimo errore focalizzarsi solo su un aspetto del testo tragico. Un regista deve misurarsi con la complessità del testo e non con l’immagine nebulosa che la sua mente elabora a proposito di Medea. Il regista deve misurarsi con ciò che è presente nel testo e col significato di ogni parola. Peter ha la grande capacità di rendere trasparenti, chiari e non oscuri gli avvenimenti, i discorsi, i personaggi, i rapporti e gli equilibri fra i personaggi.

 


 

la scena finale dello spettacolo
la scena finale dello spettacolo




Cosa ne pensa del film Medea di Lars von Trier?
Trovo che non esamini completamente ciò che il testo contiene. Tuttavia sono presenti delle intuizioni molto efficaci. La tragedia pone molti interrogativi interessanti che si riflettono sulla nostra vita. A un certo punto Medea rivolgendosi al Coro  dice: «adesso io faccio questo, quest’altro e poi ammazzerò i miei figli. E’ l’atto più empio di tutti ma non si tollera di essere derise dai nemici». La sua vendetta scaturisce dal fatto di essere stata ferita e poi derisa, da questo essere messa da parte. Umanamente è una reazione comprensibilissima.

Perciò è una tragedia. Alcune attrici con cui ho parlato mi hanno detto che è una sorta di schizofrenia a indurre Medea, alla fine, a compiere un atto che è pur sempre irrazionale e ingiustificabile. 
No. Ogni azione di Medea è consequenziale. Lei stessa lo dice: «E’ l’atto più empio di tutti. Capisco tutto l’orrore che sto per compiere ma più forte della mia ragione è la passione. E questa è la causa dei delitti più gravi fra gli uomini». E’ necessario non farsi fagocitare completamente dal meccanismo tragico: l’attrice tragica deve esprimere, nello stesso tempo, la potenza del proprio sentimento e anche la razionalità dei propri atti. La razionalità è presente nel testo per far riflettere il pubblico, per porre degli interrogativi al pubblico. Quando se ne va via, Medea dice: «Io sono la più disperata fra tutte le donne». E’ chiaro che compiendo l’atto di uccidere i figli Medea uccide se stessa. Secondo me è troppo comodo giudicare Medea una schizofrenica: significa dare una visione parziale e ingiusta della tragedia, non penetrarla fino in fondo, non affrontarla nella sua complessità. Medea si vendica. Per lei sarebbe molto più semplice ammazzare Giasone. Medea però vuole che Giasone soffra per tutta la vita. Per colpirlo in questo modo atroce non può far altro che uccidergli i figli. Giasone sarà costretto a trascorrere tutta la vita sotto il peso di questo dolore terribile. 

Ho studiato le attrici che hanno interpretato Medea fin dall’Ottocento. Il secolo antifilologico per eccellenza. Uno dei primi registi a mettere di nuovo in scena la Medea euripidea, nella traduzione in versi di Ettore Romagnoli, è stato Gualtiero Tumiati nel 1927. Del 1953 è l’adattamento di Luchino Visconti: la traduzione, in prosa, questa volta era quella curata da Manara Valgimigli. Entrambe le traduzioni non erano molto aderenti al dettato euripideo. 
Dovresti leggere la traduzione curata da Dario Del Corno. E’ chiarissima. Ammiro moltissimo la parola dei Greci: trovo che avessero capito tutto a proposito dell’essere umano, di come convivere nel mondo col male e col bene. Nei testi dei Greci, l’essere umano si misura con la vita vera ed è confortante perché è così piena di lotta ma anche così piena di amore. All’inizio della tragedia la Nutrice dice: «Peccato che hanno inventato i canti per rallegrare il cuore degli uomini e non hanno inventato dei canti per dare sollievo alla sofferenza degli uomini». Sono parole bellissime. Un momento particolarmente intenso dello spettacolo è quando Medea sfoga in un pianto straziante tutta la propria disperazione assoluta: lei è sola, è una extracomunitaria.   

Medea è senza dubbio la tragedia della solitudine.
Sì. Il fatto, tuttavia, che la tragedia sia attuale, non giustifica la scelta di molti registi che rendono Medea una “extracomunitaria” nell’accezione moderna del termine. C’è questo aspetto della “extracomunitarietà” ma non è il solo. Naturalmente questo è uno degli elementi più evidenti: lei è sola, senza patria, senza amici. 

Secondo me ad aver inquinato il personaggio di Medea è stato Seneca. E’ stato lui a far di lei la maga, la furia vendicatrice. Molti hanno filtrato Euripide attraverso Seneca.
Certo. C’è e c’è sempre stata la tendenza ad andare contro la donna. La donna deve essere per forza un essere maligno. Ho portato in scena uno spettacolo intitolato “Femmine fatali” incentrato su alcune figure femminili della letteratura europea: da Armida a Lilith, fino alla Sfinge. Queste donne sono tutte bellissime: per questo motivo, vengono idealizzate dall’uomo in senso negativo. Siccome sono belle, devono essere per  forza maghe o indemoniate.   

Anche l’allestimento di Medea curato da Luchino Visconti non era filologicamente scrupoloso. E’ la prima volta, mi sembra, che dal punto di vista filologico il testo sia stato adattato per le scene in modo rigoroso.
Sì, e in tutti i suoi aspetti. D’un tratto la tragedia sembra chiara e vicina a noi. Uno spettatore, che era per caso venuto a vedere lo spettacolo, mi ha detto che era sconvolto da quanto questa tragedia potesse riguardare la sua vita privata. La forza del teatro è questa. Ed è meravigliosa. Il teatro naturalmente deve essere fatto bene. Ma accade di rado. 

Ciò che nuoce veramente alla vitalità del teatro classico è il fatto che gli storici dell’antichità se ne stanno nelle loro biblioteche, mentre le persone di teatro se ne stanno nei loro teatri: in tal modo non si crea mai una la necessaria  unione fra i due mondi.
Peter questa unione riesce a crearla.



 



 


Maddalena Crippa
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Maddalena Crippa
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Peter Stein
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