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Donne ed erinni cechoviane

di Gabriella Gori
  Donne
Data di pubblicazione su web 27/02/2002  
Nell'epoca della contaminazione fra generi e stili differenti, in cui è arduo scorgere i prodromi di una renovatio tersicorea, il teatro di danza, per fortuna, ama ancora prendere spunto dai grandi autori della letteratura e rinverdire la tradizione del balletto narrativo. Codificato nel Settecento da Noverre, perfezionato ai primi dell'Ottocento dal coreodramma di Viganò, nel secondo Novecento il ballet d'action ha avuto in Mac Millan, Tudor, Cranko, Neumeier, i suoi più autorevoli maestri.

Gheorghe Iancu con Donne si inserisce a pieno titolo in questa illustre schiera di "coreoautori" e il successo non è mancato per una creazione commissionata appositamente per il corpo di ballo fiorentino Maggiodanza. Fonte di ispirazione di questo "balletto d'azione", che prevede una perfetta fusione tra libretto, musica, coreografia e scenografia, è l'omonima e poco conosciuta novella di Anton Cechov, scritta nel 1891. Il celebre danzatore rumeno aveva realizzato nel 1987 una versione coreografica delle Tre sorelle e, all'epoca, la protagonista era Carla Fracci. Con Donne l'artista torna a Cechov per mettere in scena, con un sensibile scavo psicologico e drammatico degno del dancedrama, la vicenda di Masha, una figura in grado di reggere il confronto con la Tat'jana di Puskin, che non "sommette" la ragione al "talento", e l'Anna di Toltstoj, che accetta il suo destino.

Masha, al contrario delle consorelle, ucciderà il marito in nome di un sogno d'amore negato, rifiutando il falso perbenismo sociale e la brutalità maschile. Fedele alla struttura narrativa della novella, il coreografo ha scelto anche per il suo balletto la tecnica del flash-back iniziando la 'narrazione' con il triste commiato di Masha che, in prigione, consegna la figlia all'amante, che se ne prenderà cura come fosse sua. Con questa analessi prende avvio la storia che si snoda in sette scene, a cui fanno da sfondo le classiche betulle autunnali, che ci riportano nell'atmosfera della grande Russia, mentre l'epoca è spostata agli anni '40 con i delicati costumi e la suggestiva scenografia di Luisa Spinatelli.

L'amante, giunto in una locanda in compagnia della bambina, racconta alle proprietarie Varvara e Sofija, moglie infelici di consorti ubriaconi e violenti, la vita di Masha, giovane ragazza andata in sposa a un uomo che non ama ma al quale basta la prima notte di nozze per farle conoscere la violenza di un amplesso senza sentimento. L'indomani l'uomo parte per il servizio militare, lasciando la sposa sola e avvilita ad attendere il frutto di quell'unione. Il tempo passa e Masha conosce il vicino, un giovane dai modi e dall'aspetto aristocratici che la conquista con il suo savoir faire. La donna viene travolta dalla passione, scopre l'amore e lo difende dalle chiacchiere malevole del paese. Il marito inaspettatamente riappare e lei si trova, in un susseguirsi di colpi di scena, brutalizzata e abbandonata dal consorte e dall'amante, entrambi incapaci di sopportare le maldicenze. Masha decide così di avvelenare il coniuge finendo i suoi tristi giorni in prigione. Il suo gesto, nella trasposizione di Iancu, spinge Varvara e Sofija a macchiarsi dell'identico delitto, mentre nella novella originale, Cechov lascia spazio anche per una soluzione meno tragica.

Il coreografo ha trasformato il gentil sesso in forza vendicatrice e sottolinea questa licenza interpretativa dando al figlio della protagonista le sembianze di una bambina che, alla fine, con il veleno in mano fa presagire il suo futuro di giovane Erinni. Questa novella danzata è apparsa raffinata, curatissima nella scelta delle musiche (Rachmainov, Sostakovic, Stravinskij), limpida nella partitura coreografica che, insieme alla sobria scenografica (pochi gli oggetti sul palcoscenico), ha esaltato la profondità dei sentimenti espressi in un linguaggio neoclassico intriso di dinamica moderna. Lifts, lanci, prese in arabesque, esasperati allongés, piqués in attitude, hanno dato corpo alla poetica cechoviana del "non detto", marcando al contempo, nella frenetica legazione di passi e movimenti, la tempra sanguigna dell'intera vicenda.

E se i sofferti e subìti rapporti di Varvara e Sonfija (le bravissime Antonella Cerreto e Sabrina Vitangeli) con i rispettivi coniugi (i più che convincenti Denis Bragatto e Leone Barilli), sono stati quanto mai eloquenti, emozionante è stato il passo a due della notte di nozze, stigmatizzato dalle splendide nudità di Masha, interpretata dalla luminosa perla di Maggiodanza, Letizia Giuliani. Travolta dal vigore di un appassionato Bruno Milo, nei panni dell'odiato marito, la Giuliani (premio Danza&Danza 2001) ha rivelato grandi doti attoriali e una tecnica portentosa che, senza tema, le consentono l'ipotetico raffronto con Carla Fracci a cui, Iancu, anni fa, aveva pensato per il ruolo della protagonista.

Delicatissimo è apparso il legame di Masha con l'Amante, un signorile ed evanescente Umberto De Luca che, fin dal corteggiamento fra gli steccati semoventi dei giardini, lasciava presagire le delizie del "fin'amore". Di grande effetto la scena del matrimonio ortodosso con le danze eseguite da un Maggiodanza in gran forma sul Tango di Stravinskij; suggestivo il funerale del marito con le prefiche avvolte in enormi scialli neri stile Martha Graham, aperti e richiusi come enormi ali di uccello ad additare la colpa e il coraggio dell'omicida.


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