Due film gemelli, una sorta di dittico storico dedicato ad uno dei più grandi e per certi versi incomprensibili orrori della nostra storia, hanno offerto al festival loccasione di confermare la sua vocazione civile: Hotel Rwanda di Terry George (irlandese, coautore di Nel nome del padre di Jim Sheridan 1993, Some Mothersson tradotto in Italia con lequivoco Scelta damore 1996) e Sometimes in April di Raoul Peck (Lumumba, 1992). Entrambi credono al valore del cinema come documento e, forse, come veicolo di riscatto, e cercano di fare luce sulla tragedia bruciante, e ancora per certi versi incomprensibile, che nel 1994, in soli 100 giorni vide in Ruanda la decimazione, da parte dei Hutu, delletnia Tutsi e degli stessi Hutu moderati. In venti giorni i morti erano già 280.000, uccisi non con armi di sterminio di massa, ma con fucili o, di preferenza, col machete, per risparmiare pallottole.
Lodio razziale è evidentemente alla base di questorrore che è anche il risultato di una colonizzzazione infame e di una decolonizzazione ancor più irrresponsabile. Le tensioni preesisitenti furono infatti mantenute dallestablishment coloniale, i tedeschi prima e poi i belgi che nonostante il cattolicissimo re Baldovino nulla fecero per avvicinare le etnie, mantenendo anzi ben netta la divisione tra la minoranza tutsi (di razza bantu) associata al potere come classe funzionariale e la maggioranza Hutu, umiliata e asservita. Impossibile raccontare in breve la vicende succcessive alla de-colonizzazione, che culminò nel 1962 con linvio dei caschi blu dellOnu a garanzia di una qualche parvenza di vita civile.
Hotel Rwanda
Gli Hutu salgono al potere e i Tutsi si riorganizzano in un fronte allestero. Negli anni ‘90 la sigla di un accordo di pace pare offrire una soluzione duratura. Nel 1994 il presidente ruandese Habayarimana viene ucciso in un attentato organizzato dagli estremisti Hutu per bloccare lapplicazione degli accordi di pace. E si scatena la carneficina. LOnu, impotente o non sufficientemente sostenuta, ritira i caschi blu, in prevalenza americani, lasciando la popolazione completamente indifesa. Raggiunto (con una stima che ormai tutti gli organismi internazionali paiono condividere) il milione di morti, finalmente la carneficina cessa, con la conquista della capitale Kigali da parte delle forze Tutsi del Fronte patriottico Rwandese. Sono passati, lo ripetiamo perché pare incredibile, solo cento giorni.
Lincredulità postuma del mondo occidentale non ne attenua le responsabilità morali e nel lungo cammino verso la presa di coscienza (era proprio impossibile prevedere? Era proprio impossibile intervenire e, soprattutto, perché far finta di non vedere, starsene a guardare davanti alla tv continuando a mangiare tranquilli?) i due film possono contribuire al risveglio di una coscienza. Postuma, è evidente, ma non per questo eludibile. Sono entrambi due bei film, non propagandistici e non troppo a tesi, frutto maturo di una riflessione, questa sì articolata e morale, dei loro autori. Forse più immediatamente distribuibile (da noi uscirà l11 marzo) perchè portatore di una vicenda carica di risonanze Hotel Rwanda, con Don Cheadle, per questo film candidato allOscar, incentrato sulla vicenda schindleriana dell Hotel Mille Collines diventato rifugio, grazie al coraggio del suo proprietario, di molti ricercati (insieme ai Tutsi fecero le spese dellodio moltissimi hutu moderati).
Sometimes in April
Ma altrettanto impegnativo e ben fatto (siamo in presenza di veri film professionali, appassionati e partecipi, strutturati con grande capacità filmica, a nostro avviso i due più belli della mostra, salvo il Sokurov fuori quota) Sometimes in April. La vicenda storica è vista dallocchio di Augustin Maganza hutu moderato, militare sposato ad una Tutsi, vissuto fino a quel momento in una cerchia di valori solidi e tolleranti, proprietario di una bella casa, padre attento e vigile di tre adolescenti (la più grande, Maria, sta in collegio in una missione), marito rispettoso che vive con la moglie amata una vita di lavoro, di amicizie, di relazioni sociali. Tutto questo si polverizza nel giro di pochi giorni, i giorni in cui (più fiducioso della moglie non aveva percepito le avvisaglie della catastrofe) si accorge che la divisa non proteggerà lei né la sua famiglia. La fuga precipitosa dei suoi cari sulla macchina del fratello Honoré, popolare intrattenitore radiofonico, si concluderà tragicamente, così come tragicamente si concluderà la vicenda di Maria, per pochi giorni sopravvisuta al massacro perpetrato nella missione. Ma di questo nulla Augustin sa, lunica voce familiare che lo accompagna nei cento giorni è quella del fratello, impegnato sulla sponda dellodio, tra i principali protagonisti di quella campagna razzista che trovò nella radio, nei suoi continui martellanti inviti alluccisione degli "scarafaggi", uno degli atroci veicoli del massacro.
Dieci anni dopo, quando finalmente loccidente ritenne di poter istituire un tribunale internazione Augustin, riceve dal fratello, alla sbarra come complice dellorrore, linvito a raggiungere la capitale, ad incontrasi con lui e a sapere finalmente del destino della sua famiglia. Tra i testimoni a carico la sua nuova compagna, che era stata insegnante di Maria e laveva vista morire. Loggi sembra essere più sereno, ma i due film, che condividono come culmine della vergogna forse lepisodio in cui gli occidentali vengono posti in salvo dai caschi blu mentre gli africani vengono abbandonanti sotto la pioggia battente, lasciano un senso di sbigottimento, un profondo senso di colpa perché il tempo non ci fornisce alibi. Non è come per il grande olocausto, dove potevamo dire "non cero", qui ceravamo, ci siamo tutti, e abbiamo fatto finta di niente. Forse almeno fermare la radio era possibile.
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Hotel Rwanda
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Sometimes in April
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