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Hotel Rwanda e Sometimes in April: Africa a confronto

di Sara Mamone
  Sometimes in April
Data di pubblicazione su web 06/03/2005  
Due film gemelli, una sorta di dittico storico dedicato ad uno dei più grandi e per certi versi incomprensibili orrori della nostra storia, hanno offerto al festival l’occasione di confermare la sua vocazione civile: Hotel Rwanda di Terry George (irlandese, coautore di Nel nome del padre di Jim Sheridan 1993, Some Mothers’son tradotto in Italia con l’equivoco Scelta d’amore 1996) e Sometimes in April di Raoul Peck (Lumumba, 1992). Entrambi credono al valore del cinema come documento e, forse, come veicolo di riscatto, e cercano di fare luce sulla tragedia bruciante, e ancora per certi versi incomprensibile, che nel 1994, in soli 100 giorni vide in Ruanda la decimazione, da parte dei Hutu, dell’etnia Tutsi e degli stessi Hutu moderati. In venti giorni i morti erano già 280.000, uccisi non con armi di sterminio di massa, ma con fucili o, di preferenza, col machete, per risparmiare pallottole.

L’odio razziale è evidentemente alla base di quest’orrore che è anche il risultato di una colonizzzazione infame e di una decolonizzazione ancor più irrresponsabile. Le tensioni preesisitenti furono infatti mantenute dall’establishment coloniale, i tedeschi prima e poi i belgi che nonostante il cattolicissimo re Baldovino nulla fecero per avvicinare le etnie, mantenendo anzi ben netta la divisione tra la minoranza tutsi (di razza bantu) associata al potere come classe funzionariale e la maggioranza Hutu, umiliata e asservita. Impossibile raccontare in breve la vicende succcessive alla de-colonizzazione, che culminò nel 1962 con l’invio dei caschi blu dell’Onu a garanzia di una qualche parvenza di vita civile.


Hotel Rwanda
Hotel Rwanda

Gli Hutu salgono al potere e i Tutsi si riorganizzano in un fronte all’estero. Negli anni ‘90 la sigla di un accordo di pace pare offrire una soluzione duratura. Nel 1994 il presidente ruandese Habayarimana viene ucciso in un attentato organizzato dagli estremisti Hutu per bloccare l’applicazione degli accordi di pace. E si scatena la carneficina. L’Onu, impotente o non sufficientemente sostenuta, ritira i caschi blu, in prevalenza americani, lasciando la popolazione completamente indifesa. Raggiunto (con una stima che ormai tutti gli organismi internazionali paiono condividere) il milione di morti, finalmente la carneficina cessa, con la conquista della capitale Kigali da parte delle forze Tutsi del Fronte patriottico Rwandese. Sono passati, lo ripetiamo perché pare incredibile, solo cento giorni.

L’incredulità postuma del mondo occidentale non ne attenua le responsabilità morali e nel lungo cammino verso la presa di coscienza (era proprio impossibile prevedere? Era proprio impossibile intervenire e, soprattutto, perché far finta di non vedere, starsene a guardare davanti alla tv continuando a mangiare tranquilli?) i due film possono contribuire al risveglio di una coscienza. Postuma, è evidente, ma non per questo eludibile. Sono entrambi due bei film, non propagandistici e non troppo a tesi, frutto maturo di una riflessione, questa sì articolata e morale, dei loro autori. Forse più immediatamente distribuibile (da noi uscirà l’11 marzo) perchè portatore di una vicenda carica di risonanze Hotel Rwanda, con Don Cheadle, per questo film candidato all’Oscar, incentrato sulla vicenda schindleriana dell’ Hotel Mille Collines diventato rifugio, grazie al coraggio del suo proprietario, di molti ricercati (insieme ai Tutsi fecero le spese dell’odio moltissimi hutu moderati).


Simetimes in April
Sometimes in April


Ma altrettanto impegnativo e ben fatto (siamo in presenza di veri film professionali, appassionati e partecipi, strutturati con grande capacità filmica, a nostro avviso i due più belli della mostra, salvo il Sokurov fuori quota) Sometimes in April. La vicenda storica è vista dall’occhio di Augustin Maganza hutu moderato, militare sposato ad una Tutsi, vissuto fino a quel momento in una cerchia di valori solidi e tolleranti, proprietario di una bella casa, padre attento e vigile di tre adolescenti (la più grande, Maria, sta in collegio in una missione), marito rispettoso che vive con la moglie amata una vita di lavoro, di amicizie, di relazioni sociali. Tutto questo si polverizza nel giro di pochi giorni, i giorni in cui (più fiducioso della moglie non aveva percepito le avvisaglie della catastrofe) si accorge che la divisa non proteggerà lei né la sua famiglia. La fuga precipitosa dei suoi cari sulla macchina del fratello Honoré, popolare intrattenitore radiofonico, si concluderà tragicamente, così come tragicamente si concluderà la vicenda di Maria, per pochi giorni sopravvisuta al massacro perpetrato nella missione. Ma di questo nulla Augustin sa, l’unica voce familiare che lo accompagna nei cento giorni è quella del fratello, impegnato sulla sponda dell’odio, tra i principali protagonisti di quella campagna razzista che trovò nella radio, nei suoi continui martellanti inviti all’uccisione degli "scarafaggi", uno degli atroci veicoli del massacro.

Dieci anni dopo, quando finalmente l’occidente ritenne di poter istituire un tribunale internazione Augustin, riceve dal fratello, alla sbarra come complice dell’orrore, l’invito a raggiungere la capitale, ad incontrasi con lui e a sapere finalmente del destino della sua famiglia. Tra i testimoni a carico la sua nuova compagna, che era stata insegnante di Maria e l’aveva vista morire. L’oggi sembra essere più sereno, ma i due film, che condividono come culmine della vergogna forse l’episodio in cui gli occidentali vengono posti in salvo dai caschi blu mentre gli africani vengono abbandonanti sotto la pioggia battente, lasciano un senso di sbigottimento, un profondo senso di colpa perché il tempo non ci fornisce alibi. Non è come per il grande olocausto, dove potevamo dire "non c’ero", qui c’eravamo, ci siamo tutti, e abbiamo fatto finta di niente. Forse almeno fermare la radio era possibile.


Hotel Rwanda
cast cast & credits
 
Sometimes in April
cast cast & credits
 


Hotel Rwanda - la locandina






 

Sometimes in April - la locandina


 




 
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