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Un Helzapoppin alla Kantor

di Florence Scaramiglia
  Dolce vita
Data di pubblicazione su web 11/02/2001  
Fondale nero. Dal buio emergono spigoli di muri, i tipici muri di mattoni della Roma antica. A sinistra la traccia sfumata di un affresco cinquecentesco; a destra, quasi sul fondo, la passerella metallica di un aereo invisibile. Un grappolo di spots bianchi e color carne, due lampade da illuminazione pubblica. Il tutto distribuito in un equilibrio perfetto per evocare tre luoghi felliniani: Roma, Fiumicino, Cinecittà. Sulla musica di Giulietta degli Spiriti ballano donne in bikini e occhiali neri che gridano come topolini impazziti. Appare un Gesú in piena forma, saltellante e birichino, con la corona di spine. Forse è lí per liberare i topolini dal loro inferno derisorio, a meno che sia fuggito da qualche produzione cinematografica. Una donna sull'altalena, in gonna larga, corta e rosa, è circondata da giovani con mazzi di fiori. Uno di loro si precipita su di lei, ma viene tramortito dall'altalena e cade stecchito. Lei non si è accorta di niente e calpesta, distratta, il corpo esanime.

Il muro di sinistra sputa una scaletta metallica. In alto l'attrice che raffigura la diva, con lunghi guanti di raso rosso, fazzoletto rosso, scarpe rosse, si esibisce in lenti movimenti acrobatici. Uno sciame di paparazzi la fotografa con macchine molto piccole. Si ferma una lambretta che fa il pieno di benzina contro un muro di mattoni. Appare una danzatrice in giallo, veli leggeri e corti, attorniata da paparazzi in nero, come una farfalla; o forse sono loro le farfalle notturne attorno alla luce. Figure snelle in tailleurs lunghi, neri, con voluminosi cappelli neri a fiori bianchi e al guinzaglio cani di razza, eseguono sul posto una danza elegantissima. Cani e padrone si moltiplicano, ritmicamente. Sfilano i primi, lenti, a testa alta, impeccabili, poi si allineano per leccare, grattare, accarezzare, e ripetono la sequenza sincronizzata oscillando le teste lateralmente a suon di musica.

Scorci di ozio romano. Alla terrazza di un caffè un signore legge il giornale. Si viene a sedere una coppia (lei molto professionale), presto disturbata dai lampi di flash di un fotografo. I due uomini fanno a pugni, nella piú pura tradizione dei westerns dell'epoca la donna squittisce, compiaciuta. Innervosito, un pointer si precipita su di lei e la morde. Lei tace solo quando viene abbattuta insieme al cane. Buio da presepe, sottofondo musicale da canzone napoletana. Una graziosissimaVergine dei falsi miracoli in veli turchesi si fa la doccia, languida, alla luce fioca dei ceri finti, mentre i fedeli si trascinano sulle ginocchia, in estasi. Sono bianchi i bikini, le giarrettiere, i tacchi (altissimi), i megafoni delle due donne che attraversano il palco e sfilano nuovamente con veli da sposa - quelli tipici degli anni '60 simili a gabbie per canarini. Al successivo passaggio il velo si è arricchito di un nido con le uova. Marcia funebre (di ignoto autore siciliano) per l'ultima apparizione.

Un uccello cova le uova sul velo, diventato uno strascico smisuratamente lungo, mentre un omino dal berretto di lana rossa infiocchettato ci passa lentamente sopra mangiando una banana: Hellzapoppin ritoccato da Tadeuzs Kantor! Si moltiplicano gli accenti parossistici: uomini sedotti, schiavizzati, reificati, fanno da aspirapolvere, barche, biciclette, lavatrici. I preti corrono dietro alle gambe delle suore, Gesú passa con la Vergine sulla lambretta, una folla di gay si tuffa in un'orgia di broccato e taffetas. Sulle note della celebre Arrivederci Roma sorgono vapori bianchi, paffuti come le nuvole del Paradiso. I vestiti neri scollatissimi e le lunghe parrucche bionde di gay, danzatori, danzatrici, dell'intero corpo di ballo del Grand-Théâtre coronano il trionfo della Ekberg nella Fontana di Trevi.

Decadenza dell'aristocrazia romana, matriarcato trionfante, religiosità invadente, sesso ossessivo, voyeurismo onnipresente sono i temi che s'incrociano ne La dolce vita di Laura Scozzi, tratto dal celebre film di Federico Fellini. Coreografa, in disparte rispetto alle correnti della danza contemporanea - tutt'al piú sente qualche affinità per il francese Philippe Decouflé -, la Scozzi non si limita al larghissimo ventaglio della danza classica, moderna e attuale. Ha studiato arte drammatica a Roma, e mimo da Marcel Marceau a Parigi, dove abita dal 1988, completando questa formazione eclettica con corsi di fotografia e di sociologia.Dal 1991 dirige la compagnia " Opinioni in Movimento ". Le sue attività, molto diversificate, vanno da coreografie per opere di Boris Vian o spettacoli per danzatori hip hop ordinati dal Théâtre Jean Vilar di Suresnes, a La Bella Elena al Théâtre du Châtelet, Die Fledermaus all'Opéra Bastille messo in scena da Coline Serreau fino a film francesi come Les Enfants s'ennuient le dimanche di Matthieu Poirot-Delpech.

Nel 1995 ha presentato con successo il suo film Tu mi fai girar al Grand Prix Vidéo Danse. Fellini guardava la realtà con "occhio limpido e distaccato", senza giudizi né pregiudizi, afferrandone l'assurdo, il grottesco, le paure patetiche, la vigliaccheria, la crudeltà incosciente, la miseria morale, il sogno e la quotidianità. E le stranezze e stramberie folgoranti sono le componenti dell'umorismo felliniano che la Scozzi restituisce con un'adesione soggettiva, emozionale, mai mimetica, un incanto sorpreso, una freschezza allegra.

Dolce vita
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