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Grazie, mamma

di Roberto Fedi
  Al Jolson in "The Jazz Singer" (Il cantante di Jazz) - USA, 1927
Data di pubblicazione su web 14/04/2003  
Secondo una nota teoria, il telespettatore medio sarebbe all'incirca un bambino di 12 anni: a questo target, come suol dirsi, si sarebbero uniformati i primi autori della Rai, in tempi in cui chi guardava la televisione doveva essere preso per mano, condotto verso la salvezza dell'anima e del corpo senza cadere in tentazione, divertito ma senza esagerare, e soprattutto non indotto in pensieri poco edificanti. Da qui l'obbligo di non usare termini anche lontanamente evocativi di cose non ammesse: vietate definizioni esplosive tipo "membro del Parlamento", oppure "amante della musica", o anche "le gambe del tavolo". Altri tempi.

Ora, che tutti siamo più liberi e maturi, le cose sono ovviamente cambiate. Infatti - per esempio - farsi intervistare senza neanche dire una parolaccia è quasi considerato "cheap"; andare in video senza una scollatura tipo canyon è veramente out; non mostrare le mutande in diretta è sicuramente poco "chic"; intasare il video a forza di rutti o altre emissioni corporali (si veda, anzi si senta, il Grande fratello) è invece segno di spontaneità, e quasi quasi "in" (abbiamo usato apposta qualche 'segno' linguistico da anglofili di provincia per dare un'idea, pallida, di come di solito parlano i raffinati in Tv). I tempi, l'abbiamo detto, cambiano.

E allora il perbenismo dov'è finito? si chiederanno i nostri piccoli lettori. Possibile che, come Saddam, si sia volatilizzato, senza lasciare altre tracce che qualche rutto? Siamo tutti diventati così adulti da non aver bisogno neanche un po' della mamma?

No, ragazzi. È nascosto, e neanche tanto, nelle fiction; ma ha subìto una mutazione genetica. Da buon OGM (Organismo Geneticamente Modificato) è rinato sotto le spoglie del Politicamente Corretto. Una bellezza, diranno i soliti piccoli lettori eccetera eccetera. Che diamine: era ora che anche gli autori di fiction Tv si rendessero conto che le storie debbono essere inserite nel sociale, e che insomma la Tv ha un ruolo educativo, come reciterebbe senza incertezze anche qualsiasi casalinga intervistata al mercato dal Tg3.

Per esempio: il razzismo. Volete mettere come eravamo bestiali quando in Tv, ma anche alla radio e al cinema e in casa e dovunque, si diceva impunemente "negro"? (confessiamo che scrivendo questa parola ci è venuto un brivido, e che anche il nostro Word Processor si è quasi rifiutato di passarcela). Infatti ora si dice "nero" - che, se proprio vogliamo essere onesti, non è che sia poi molto meglio.

Ma naturalmente non basta. E allora sai che facciamo? deve aver pensato un APC (Autore Politicamente Corretto). Ne infiliamo uno in una fiction. Anzi due: uno piccolino, che fa tanta tenerezza; e uno, un po' arabo, grande e anche bello, così le signore saranno contente. Anzi-bis: quello piccolino magari è anche malato, così si piange di sicuro. Anzi-ter: quello piccolino non solo è nero, ma è anche figlio di una signora bianca, così non solo non è del tutto nero-nero, ma è anche il simbolo delle unioni miste che fanno tanto chic alle sfilate di moda. Bella pensata.

Un momento: deve essersi detto, preoccupato, l'APC (vedi sopra). Lo spettatore è un bambino di 12 anni, e forse anche un po' scemo. E se non capisse? Allora inventiamoci che il bambino, con una cuginetta bianca e una nonna o pseudo tale elegante e bianchissima, vada a una festa in una casa aristocratica di Roma. E che la padrona di casa, razzista inconsapevole, lo scambi per il figlio della badante (pardon) e lo voglia mandare a giocare in cucina. E che allora la nonna se ne vada sbattendo la porta da quella casa aristocratica in cui regna, evidentemente, ancora l'apartheid.

Bel colpo. E se il bambino di 12 anni, scemo e rintronato, non avesse ancora capito? Allora si organizza una bella scena: in una cena elegantissima ed esclusiva, ecco che appare non un complesso d'archi a fare da sottofondo, bensì un gruppo di finti cantanti neri con cera da scarpe sul volto, parrucche tipo cespuglio, vestiti proprio da negri (pardon: parliamo di stereotipi), che stonano When the Saints go marchin' in (che originalità), e poi fanno un pistolotto antirazzista da brivido (di pena), applauditi da tutti i nobili romani in loco, buonissimi e ultracorretti, compresa la convertita signora di cui sopra.

Bello. Ora, avrà pensato l'APC, anche il dodicenne scemo, rintronato, e magari un po' sordo (pardon: non udente) ha capito di sicuro. Che siamo politicamente corretti, democratici, antirazzisti. Che sollievo.

A noi, invece, quella scena che è apparsa in Un medico in famiglia domenica 6 aprile, Rai Uno, è sembrata offensiva. Non solo della nostra intelligenza, perché non abbiamo 12 anni, e non siamo né scemi né rintronati. Ma anche di chi ha un colore un po' diverso dal nostro. Vedere quei guitti, Lino Banfi in testa, vestiti come i negri (qui il termine è storico) delle pantomime del varietà d'anteguerra ci ha disgustato. Se questa è la Mamma Rai di oggi, non abbiamo dubbi: beati gli orfani.


Un medico in famiglia

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