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L'Arte della Guerra (4)

di Roberto Fedi
  Giovanni Berlinguer e Michele Cucuzza
Data di pubblicazione su web 01/04/2003  
Che il conflitto in Iraq sia vissuto in Italia con notevole interesse è indubbio; ed è anche un bene, naturalmente. Noi preferiremmo, come già ci è accaduto di scrivere nel primo di questi paragrafi sulla guerra, che in questo e in altri casi la Rai ormai si decidesse ad abbandonare la deleteria gara fra le tre Reti, e a dedicare una rete all'informazione continua e stop, con un evidente miglioramento del servizio e un risparmio secco dei costi. Ma sarà difficile, temiamo: tanto per dire, come si potrebbe fare, con una sola rete 'dedicata', a stabilire chi è l'inviata più elegante, più spericolata, quella con le notizie più up to date? E quindi chi voglia informarsi in modi esaurienti e continui deve o saltabeccare fra le tre Reti Rai, o abbonarsi alla Cnn, o guardare La7, che svolge un servizio assai meno esibizionistico e frammentato, e quindi molto più preciso, della Rai. Spendendo magari un decimo.

Ma se per caso quel tale, che vuole informarsi senza rimanere alle parole d'ordine dei cortei o di Emilio Fede, per una legittima curiosità si fosse soffermato domenica 30 marzo su Raiuno, nel pomeriggio, ne avrebbe viste delle belle. Perché Maria Venier è ormai diventata la sosia almeno in senso semiotico di Bruno Vespa (non per citarci, che è sempre male, ma solo per un doveroso promemoria l'avevamo già intuito molto tempo fa), e Domenica In si è metamorfizzata in una versione più sgangherata di Porta a porta. Così anche domenica scorsa. Con risultati deleteri, a dire il vero.

Vediamo la scena. Il parco-ospiti è naturalmente sontuoso; e il palcoscenico sembra una corale. In semicerchio una decina di 'esperti' (altri si collegano via Tv), capeggiati dalla Venier e dal Cucuzza, inviato sul fronte di guerra di Domenica In. Dietro, folla di fanciulle e fanciulli compresi nel ruolo di coro da tragedia greca, però silente. Mezze luci, perché alla guerra si addice lo sfarzo delle trasmissioni domenicali ma non le luci piene. Lasciamo perdere se prima ci sono state un po' di canzonette, un po' di mutande all'aria, ricchi premi & cotillons: ma la guerra, ragazzi, è guerra. Quindi si indossi la faccina B (quella seria) e avanti con lo show.

La prima cosa che si nota, come in altre trasmissioni di commento, è la visibile contraddizione fra l'assenza di qualsiasi informazione (qui si dibatte, che diamine! - risponderebbe qualsiasi chiacchierone bellico), e la presenza dei direttori dei giornali. Per due ragioni: perché costoro dovrebbero essere la quintessenza della notizia e non della chiacchiera, e perché per noi - ci è già capitato di dirlo - quella presenza è pur sempre un mistero: ma possibile che questi stiano sempre in televisione? e il giornale chi lo fa? Mah. Si ha il sospetto, e più ancora dalla prosecuzione del dibattito, che il modello, diciamo l'archetipo, sia sempre Il processo di Biscardi: dove i direttori dei giornali sportivi e gli altri giornalisti vanno solo per farsi pubblicità, o per farla alla loro testata: ma con juicio, perché in fondo la "Gazzetta" si legge dappertutto, e non è conveniente inimicarsi i potenziali lettori. Quindi, in queste chiassose discussioni 'sportive', i direttori dei giornali hanno la parte dei moderatori: fanno un po' il tifo, ma con garbo; e una parola di pace ce la mettono sempre, perché non si sa mai.

La stessa identica funzione ce l'hanno i direttori dei quotidiani e dei settimanali di informazione (salvo proprio quelli ideologizzati) nei dibattiti sulla guerra. Che usano di solito frasi di moderazione, sempre con una lunga premessa del tipo "siamo tutti d'accordo sul fatto che ecc. ecc., però io credo …". Capolavori di equilibrismo. Ogni tanto qualcuno rompe i toni soft o genericamente tristanzuoli, e allora - come domenica 30 - per cinque minuti sono scariche di adrenalina e strilli: nel nostro caso, fra Giovanni Berlinguer via Telecom e Vittorio Feltri in collegamento (a nostro parere di osservatori esterni: 2 a zero per Feltri).

Ci scusiamo per le metafore calcistiche e le similitudini con Biscardi. Ma il fatto è che il Rosso (stinto) ha fatto scuola. E, anche qui, per due ragioni. La prima: ha trasformato per coazione a ripetere ogni discussione televisiva in una versione lusso del Bar Sport. La seconda: ha insegnato agli Italiani, già molto propensi per conto loro alla chiacchiera, che non contano i fatti. Contano le discussioni sui fatti. E che la presenza televisiva non solo fa aggio sulla cosa di cui si discute, ma è essenzialmente una versione aggiornata della Commedia dell'Arte, di cui in questo paese siamo i riconosciuti maestri. Dove, come ognun sa, il canovaccio alla fine spariva, e ciò che emergeva erano i caratteri, e si recitava a soggetto. L'Arabo, l'Americano, il Neutrale, il Non Belligerante, l'Inglese, il Disobbediente… E tutto sotto la direzione del Capocomico o Capocomica - rigorosamente, si capisce, con Faccina B.




 
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