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Prese in Giro

di Roberto Fedi
  L'australiano McEwen vince l'11ma tappa dell'86° Giro d'Italia
Data di pubblicazione su web 22/05/2003  
L'abbiamo già detto: ci dev'essere una perversa ragione per cui lo spettacolo del Giro d'Italia, ormai arrivato alla metà del suo percorso a tappe, non riesce ad essere servito a dovere dalla Rai: cioè Raisport, che in questo caso opera su Rai Tre. Logica vorrebbe che, intorno a un evento così importante e unico nel suo genere in tutto l'anno ciclistico (la Vuelta spagnola è una corsa 'minore', il Tour è ormai così sciovinisticamente francese da risultare insopportabile), si organizzasse il meglio che una Rete televisiva può mettere insieme per sfruttarlo a dovere. E invece.

Invece si comincia presto con servizietti affidati a volenterose fanciulle (ma anche i fanciulli non scherzano) che potrebbero andare bene in qualche trasmissionuccia della domenica mattina, in paesotti imbanditi e cucina tipica: di quelli che tanto qualsiasi cosa si dica va bene, perché i villici sono emozionati e sono contenti lo stesso, salutando con la manina. E su questi collegamenti è il caso di sorvolare, così come sulle fanciulle più o meno in fiore, perché c'è solo da sperare che data l'ora non li veda nessuno.

La trasmissione vera, però, inizia ovviamente con la tappa. Non ripetiamo il già detto: solo ribadiamo la differenza abissale tra la bellezza delle immagini e la qualità del commento, quasi mai tale da elevarsi al di sopra dell'ovvio. E che tende pericolosamente a fare il verso ai deleteri commenti 'giornalistici' sul calcio: ipotetici intrighi, questo ha detto quello…, forse è la pretattica…, è probabile che ci siano delle ruggini…, si è aperta una polemica… Speriamo di sbagliarci, ma se anche al ciclismo si attecchisse la mania del pettegolezzo, dell'intervistina giornaliera, della dichiarazione a gogò, delle frasi fatte, della 'polemica', allora siamo fritti e ci resterà solo la salvezza di passare al rugby o alla pallamano.

Non si capisce per esempio perché non si chieda a Davide Cassani, che è l'unico della banda che se ne intende, e che parla abbastanza bene e ha una memoria di ferro anche senza computer, di fare interventi di tipo 'narrativo': lo si abitui, se non sa farlo da solo, a raccontare la tappa, a far riferimenti con il passato, a parlare di ciclisti, di imprese, e a togliere più spesso la parola a Bulbarelli, che commenta il Giro come se fosse una corsetta domenicale di dilettanti, senza pathos né emozione.

Comunque, in un modo o nell'altro, la tappa alla fine si conclude. E allora si arriva veramente al ludibrio. Perché al posto dello storico Processo alla tappa (qualcuno ricorderà Sergio Zavoli con rimpianto), quest'anno abbiamo un programmaccio che già dal titolo è sgradevole: Stappa la tappa, che è nome da aperitivo più che da rubrica sportiva di commento. Lo conduce un barbuto Gian Piero Galeazzi, ormai fisicamente incontenibile, che troneggia dietro una scrivania che di fronte a lui sembra un giocattolo. Intorno, qualche giornalista sportivo, qualche corridore che deve farsi vedere per le esigenze dello sponsor, un paio di commentatori della Rai. E due-fanciulle-due, dette "gemelline", che stanno sedute sulla scrivania ai lati del Galeazzone, non si sa bene perché.

È una delle trasmissioni più irritanti di tutta la giornata televisiva, di ogni rete o canale. Galeazzi, per sua stessa ammissione, di ciclismo non sa quasi nulla (è troppo allora chiedere perché ce l'hanno messo?), e si vede e si sente. Ormai da anni abituato alle gazzarre degli spettacoli di intrattenimento domenicale dove ha fatto di tutto fuorché il giornalista, qui sbofonchia, dice qualche battuta, ridacchia, si fa portare una torta per il suo compleanno (e chi se ne frega?), si fa inondare di getti di spumante come nelle peggiori puntate di Domenica In. Giancarlo Ferretti, lì presente, che sarebbe l'unico di quella eletta schiera che di ciclismo se ne intende davvero (memorabili, inimitabili le sue radiocronache d'antan a cavallo della moto: ah, quantum mutatus ab illo!), è costretto dall'invadenza inopportuna del gigante Galeazzi a stare quasi sempre tristemente zitto, come in castigo. Il tutto si riduce a un'oretta di parole in libertà, battute in romanesco, interviste inutili a qualche corridore portato di peso lì sopra, e sciatteria generale.

Una presa in Giro.




 
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