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I pugni dell'anima

di Marco Luceri
  Hilary Swank e Clint Eastwood
Data di pubblicazione su web 24/02/2005  

E’ un vero e proprio capolavoro il nuovo film di Clint Eastwood, The Million dollar baby, dal racconto Lo sfidante di F. X. Toole, degna prosecuzione di uno dei film più belli del 2003 e cioè il precedente Mystic river. Diciamo questo non solo per rendere un dovuto omaggio ad uno dei più grandi autori americani contemporanei, ma anche per evideziare come Eastwood, a settantaquattro anni, stia vivendo oggi più che mai una nuova ed importante fase artistica e creativa, in cui possiamo annoverare almeno una cinquina di film memorabili: Potere assoluto (1997), Mezzanotte nel giardino del bene e del male (1997), Fino a prova contraria (1999), Debito di sangue (2002) e, appunto, Mystic River. Un lungo itinerario, questo, che si è snodato sempre alla ricerca del lato oscuro dell’America, che forse oggi solo un "grande vecchio" come lui ha la lucidità di raccontare. Il suo è sempre stato un gusto cinematografico "classico", in cui la giusta misura della composizione narrativa si è spesso coniugata ad una trasparenza visiva fatta di collegamenti, rime interne, punti concettuali in grado di dare spessore e immediatezza alle pure emozioni. In questo cinema genuino, vitale, dalla straordinaria compostezza e semplicità, la tensione morale (quella vera, mai esibita direttamente) si è sempre esplicata attraverso le figure di personaggi messi alla prova da un destino che in realtà sembrano portare dentro, le cui storie non fanno altro che darne uno sbocco drammaturgico mai prevedibile. 

Morgan Freeman
Morgan Freeman

Nel caso del suo ultimo film i tre personaggi protagonisti sembrano muoversi nello spazio di un genere, la boxe story, di cui il cinema americano ha talmente abusato da renderla stereotipatamente vuota. Sbaglia, naturalmente, chi vede in The Million dollar baby un semplice film sul mondo del pugilato; qui siamo a metà strada tra Città amara (1972) di Huston e Toro scatenato (1980) di Scorsese, siamo cioè in un cinema in cui l’azione deriva sempre da una condivisione di debolezza (dichiarata o nascosta) da parte dei protagonisti. Essi non sembrano altro che deboli fantasmi di fronte al male, al dolore, alla sofferenza e il film (come i precedenti) cerca di mostrare il loro tentativo di creare un argine, di stabilire un confine proprio tra il bene ed il male.

Ma se guardiamo l’intera filmografia del regista, possiamo osservare come fino a Debito di sangue questo tentativo avvenisse in maniera disgiuntiva; con Mystic river ed ora con Million dollar baby viene fatto un passo ulteriore: l’esperienza diventa drammaticamente irriducibile, perché troppo grandi sono i risvolti etici delle azioni che i personaggi compiono. Il percorso che ne nasce è sì ancora lineare, chiaro nei suoi meccanismi, nei suoi sviluppi, ma i livelli sui cui si sviluppano i due film si combinano, si sovrappongono, creando un intrico spesso indissolubile. Ecco il perché della scelta di fare un film ambientato nel mondo della boxe. Quale mondo poteva essere più carico di simbolismi se non quello del pugilato, in cui le apparenze celano sempre il loro contrario, in cui le reali intenzioni si nascondono sempre dietro passi falsi, affondi, difese, in cui vince chi non riesce cioè a far capire all’avversario dove colpirà veramente?

Hilary Swank
Hilary Swank

E’ una storia di sconfitte, The Million dollar baby, in cui Maggie (Hilary Swank), una ragazza trentaduenne, reduce da una vita di stenti e di disgrazie, troppo vecchia per diventare una pugile professionista, ma determinata a lasciarsi alle spalle la sua squallida esistenza, inizia a frequentare la palestra di un vecchio allenatore; strano personaggio, Frankie (interpretato dallo stesso Eastwood), forse un vero maestro perché sa insegnare ai pugili non solo a vincere, ma soprattutto a proteggere se stessi, al punto da non voler mai correre il rischio di farli massacrare nell’incontro per il titolo. Il suo grande limite di allenatore, forse, ma non di uomo, e l’onesta profondità della sua figura ci viene spesso evidenziata proprio dal fatto di essere un uomo continuamente pieno di dubbi: legge Yeats, traduce il gaelico, non riesce fino in fondo a comprendere la religione, pur andando ogni giorno in chiesa, non vede la figlia da anni, pur conservando le lettere a lei destinate e rispedite da lei stessa al mittente. Eddie, il custode della palestra, un altro vecchio ex-pugile (Morgan Freeman), che perse un occhio proprio durante il suo incontro per il titolo (l’episodio riecheggia nel film come causa del rimorso più grande che porta dentro Frankie), vive praticamente lì dentro, in questo non-luogo dove il giorno e la notte si alternano come svuotati del loro valore temporale, proprio come le nodose pareti di quest’ambiente intriso di sudore e fatica (davvero magistrale il lavoro di "invecchiamento" dell’ ambiente realizzato dallo scenografo ottantanovenne di Eastwood, Henry Bumstead).

In un anonimo sobborgo di Los Angeles le loro tre vite fatte di solitudini ed occasioni mancate, si ricompongono in un quadro certo mai consolatorio, nel quale però, tra mille difficoltà ed incomprensioni, la giovane Maggie cresce. Cresce come pugile, cresce come donna, compone pian piano la vita che avrebbe sempre desiderato, mentre Frankie diventa a poco a poco la sua guida morale. Scorrono le vittorie, conquistate con la facilità di chi dimostra, avendo una così grande sofferenza nel cuore, di essere più forte della propria sventura, fino allo scontro finale, il combattimento per il titolo, che segnerà, come da copione, la sua vita per sempre.

Hilary Swank, Clint Eastwood e Morgan Freeman
Hilary Swank, Clint Eastwood e Morgan Freeman

Se la prima parte del film, narrata dalla voce fuori campo di Eddie, rappresenta il nucleo dell’intreccio, in cui si snodano gli eventi che portano Maggie a diventare una grande professionista aspirante al titolo, la seconda parte costituisce il nucleo affettivo e morale del film. La disgrazia che arriva ad investire Frankie e Maggie rappresenta un vero e proprio punto di non ritorno. Maggie sconterà sul proprio corpo il segno della sua rivincita nei confronti della vita, rivalsa che nonostante tutto ha sentito di avere ottenuto, perché la sua "occasione di vita" l’ha avuta, ma la parabola esistenziale del film si concretizzerà proprio nel gesto estremo, finale, del "padre" Frankie. La storia di una speranza, di un sogno che avuto il ring come palcoscenico della vita, vince la morte con la morte stessa, sciogliendo le due figure nella fuga eterna dalla propria esistenza, dalla propria miseria interiore, dai propri rimorsi. La scelta di Frankie segna l’uscita definitiva dalle piaghe di una società il cui male assoluto non può che abbandonare al destino più crudele gli uomini che lottano per vincere lealmente.

Clint Eastwood e Hilary Swank
Clint Eastwood e Hilary Swank

The Million dollar baby riesce perciò a conservare uno strano fascino rarefatto, aprendosi allo spettatore come un grande quadro intimistico, quasi sospeso, ottenuto grazie alla sapiente costruzione fotografica del film: la luce degli esterni-giorno è spesso assimilabile a quella notturna, com’è di tradizione nel cinema di Eastwood, nel quale è stata sempre evidente la predilezione per la penombra e l’oscurità. Nel film tale impostazione funge da risonanza visiva ad una storia tutta incentrata, come s’è detto, sul dubbio, sull’ambivalenza, concedendo al film la giusta dose di coerenza tra intenti drammaturgici e composizione formale. A tal proposito, in un film in cui Eastwood non rinuncia a delle scene di violenza dal tono iperrealistico, la grande interpretazione di Hilary Swank dona al film un tocco indimenticabile di forza ed intensità. Dopo aver magistralmente vestito i "panni maschili" in Boys don’t cry (di Kimberly Peirce, grazie a cui vinse il suo primo oscar nel 1999), la Swank, in assoluto una delle più grandi attrici della nuova generazione americana, ci offre un’altra memorabile prova, calandosi perfettamente nei panni di Maggie, riuscendo ad alternare perfettamente l’esplosiva carica fisica della prima parte alla toccante immobilità della seconda, in cui dimostra di essere capace di un’espressività fuori dal comune.

Resta, alla fine, proprio il senso di una rivincita impossibile, di una sconfitta e di un abbandono che rimangono però sospesi proprio nella scomparsa di Frankie. La palestra, ormai rimasta vuota, sotto lo sguardo fisso e basso di Eddie, resiste però, nel chiuso delle sue pareti; è l’ immagine di un’estremo atto di ribellione, di una rivalsa, forse ancora un’ultima occasione per non lasciarsi andare al fluire indistinto del male sociale. L’ultimo ring su cui tirare i pugni della propria anima.








The Million Dollar Baby
cast cast & credits
 

la locandina del film
la locandina del film


 

 



 
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