Don Chisciotte: la possibilità di un mondo diverso

di Laura Bevione

Data di pubblicazione su web 01/12/2002

Don Chisciotte
Uno spazio non ortodosso - l'Astra di Torino, un ex-cinema in fase di ristrutturazione - per uno spettacolo non convenzionale e per una lettura del poema di Cervantes che rifugge la tradizione e il luogo comune. Henning Brockhaus, che è stato assistente di Strehler al Piccolo di Milano e poi drammaturgo e regista residente presso il Théātre de l'Odéon di Parigi, recupera cinque intermezzi composti da Cervantes e li interpola al testo del poema che, invece, riduce secondo un'interpretazione non ordinaria che disdegna gli episodi più noti - a partire dalla battaglia con i mulini a vento - per disegnare un Don Chisciotte non più candido e in fondo innocuo sognatore, né un esaltato, bensì un uomo fermamente e per natura convinto della possibilità di un modo di vita diverso e più autentico.

Una figura quasi cristologica - in scena c'è anche un grande crocifisso, non a caso capovolto - i cui atteggiamenti spesso assurdi e grotteschi tuttavia rivelano un sincero desiderio di fare e diffondere il bene. Un Don Chisciotte che ha in Michele de' Marchi un interprete ideale: la faccia scavata e i malinconici occhi azzurro pallido dell'attore ben riflettono l'ingenua saggezza che Brockhaus riconosce quale caratteristica prima dell'indole del personaggio.

Il regista, però, enuncia fin dall'esordio del primo episodio - il poema è stato distribuito in cinque spettacoli differenti - un'altra verità riguardante il sognante cavaliere errante, vale a dire il suo essere controfigura del proprio autore e, allo stesso tempo, egli stesso poeta e artista. Alcuni attori provano la prima scena dell'Amleto - la tragedia fu scritta nel medesimo periodo del poema spagnolo - e un uomo entra improvvisamente in scena leggendo i versi iniziali del Don Chisciotte per poi assumerne egli stesso i panni. Una dichiarazione di poetica di Brockhaus che, da una parte, accomuna Cervantes e la sua creatura perché entrambi guidati dalla volontà di portare alla luce quella parte nascosta dell'esistenza che solo la sensibilità e la fantasia dell'artista sa intravedere; e dall'altra segnala la distanza fra il principe danese e il cavaliere spagnolo che, benché contemporanei, incarnano due modi opposti di reagire ai dilemmi dell'esistenza: i dubbi e la castrazione dell'azione contrapposti alla ricerca costante e frenetica di "avventure" in cui lasciarsi coinvolgere.

Lo stesso intermezzo - qui inserito un po' forzatamente in conclusione dello spettacolo - è presentato come uno dei tanti episodi di cui il cavaliere è testimone più o meno attivo nel corso delle sue peregrinazioni, accompagnato dal fido Sancio Panza. In precedenza Don Chisciotte aveva cercato di salvare un giovane dalle botte del suo padrone; aveva assistito impotente al rogo dei propri libri voluto dalla nipote e da alcuni "amici" per tentare di salvarlo da quella che giudicavano indubbia follia; e poi aveva sfidato un tale Biscaglino per difendere una dama e partecipato ai funerali del giovane Crisostomo morto per amore. Il tutto nella cornice di una locanda in cui il cavaliere è accolto e curato da rassegnate ma allegre prostitute, mentre un soprano canta le sue arie, una ballerina brasiliana alimenta la speranza di Sancio cui il padrone ha promesso in dono un'"insula" in mari lontani, e una pianista e un percussionista assicurano una colonna sonora che segna anche il ritmo della rappresentazione.

E non è tutto: ai tavoli della locanda è fatto accomodare il pubblico, cui premurosi seppur dispettosi inservienti - allievi della scuola di teatro dello Stabile di Torino - dopo averlo intrattenuto nel foyer del teatro, assicurano un lauto rifocillamento. La flessibilità dello spazio scenico, poi, consente di dislocare in zone diverse non soltanto le successive avventure di cui Chisciotte è protagonista ma anche i differenti contributi artistici, mentre gli inservienti sono in pressoché costante azione e gli spettatori possono mangiare o servirsi da bere.

Lo spazio è sempre completamente occupato così da creare una frammentazione dei punti di attenzione che quasi confonde lo spettatore e in alcuni casi rischia di attutire l'efficacia dell'azione principale. Uno spettacolo che, nel finale, diviene quasi un happening, certo coinvolgente e per certi versi divertente, ma alla fine disorientante. L'allestimento, pur inventivo e sostenuto da interpretazioni di qualità, soffre di una certa farriginosità che ne mina l'intelligente e originale disegno registico, al contrario assai solido. Ci auguriamo che nei prossimi episodi - di cui vi daremo conto nelle prossime settimane - questo difetto rientri così che lo spettatore, vinta la confusione, possa imparare a conoscere più a fondo il "folle" cavaliere errante, sempre in cerca della poesia e della bellezza.

Cast & Credits



Primo episodio
In un piccolo borgo della Mancia di cui non voglio ricordare il nome
(dal romanzo Don Chisciotte" e dall'intermezzo Il magnaccia vedovo di Miguel de Cervantes)


vd. le altre recensioni:

Episodio II

Episodio III

Episodio IV

Episodio V

Cast & credits

Titolo 
Don Chisciotte (I episodio)
Sotto titolo 
Primo episodio
Data rappresentazione 
29/10/2002
Città rappresentazione 
Torino
Luogo rappresentazione 
Teatro Astra
Autori 
Miguel de Cervantes
Adattamento 
Henning Brockhaus
Regia 
Henning Brockhaus
Interpreti 
Michele de' Marchi
Luca Fagioli
Paolo Bocelli
Cristina Cattellani
Paola De Crescenzo
Laura Mazzi
Francesca Rinaldi (soprano)
Luis Agudo (percussioni)
Allievi della Scuola di Teatro del TST
Janaina Dos Santos De Azevedo (danzatrice)
Produzione 
Teatro Stabile di Torino, in collaborazione con Fondazione Teatro Due (Parma) e I Teatri di Reggio Emilia.
Scenografia 
Ezio Toffolutti, Benito Leonori
Costumi 
Patricia Toffolutti
Luci 
Claudio Coloretti