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Itaca che vai, Venezia che trovi

di Giovanni Fornaro
  Il ritorno di Ulisse in patria
Data di pubblicazione su web 12/02/2005  
Uno spettacolo di altissimo livello estetico si è ammirato, dopo Cremona ad ottobre, al teatro Piccinni di Bari, con "prima" il 4 febbraio 2005, per la stagione operistica della Fondazione Petruzzelli: "Il ritorno di Ulisse in patria" (1640), libretto di Giacomo Badoaro e, soprattutto, musica del "veneziano" Claudio Monteverdi. Nella località lagunare il cremonese, diventato maestro di cappella di San Marco, compose e rappresentò questa "tragedia di lieto fine" che ad essa è intimamente connessa, tanto che si può parlare di uno scambio/sovrapposizione fra Itaca e Venezia, soprattutto per lo spirito di adesione alle "nuove tendenze della spettacolarità veneziana", come ben rileva il musicologo Dinko Fabris nel circostanziato saggio del libretto di sala. Tendenze del teatro in musica orientate decisamente verso necessità di intrattenimento puro, piuttosto che finalizzate ad esigenze esclusivamente politiche o religiose.

Il ritorno di Ulisse in patria
Il ritorno di Ulisse in patria


Tutto qui è acqueo e marino, quindi familiare ai veneziani, a cominciare dalle circostanze del lungo viaggio di ritorno di Ulisse e continuando con la presenza del dio Nettuno, sin dal primo atto deus ex machina, è il caso di dirlo, dell’ingrata fortuna del protagonista. Questa rappresentazione, di estrema raffinatezza e allestita dal Festival di Aix-en-Provence in coproduzione con varie istituzioni musicali francesi ed italiane, presenta personaggi con una complessità psicologica che riesce a trascendere l'archetipo omerico per esprimere invece sentimenti e caratteri che, se non proprio a noi vicini – sarebbe poco credibile oggi una regina che pratica la castità per dieci anni in attesa di un improbabile ritorno del proprio re – risultano comunque largamente coinvolgenti. Il plot, insomma, riesce ad "prendere", grazie ad un attenta calibratura simmetrica delle parti (vedi il doloroso canto iniziale di Penelope confrontato con il suo gioioso omologo in finale di tragedia) dovuta al libretto, ampiamente modificato da Monteverdi, e ad una musica di fascinosa bellezza, che esalta la poesia del testo, ma anche, forse soprattutto, alla magnifica regia di Adrian Noble, ripresa da Elsa Rooke, in cui il senso tragico dello scorrere del tempo non inturgidisce l'azione ma la rende lieve, in senso quasi mozartiano (almeno per l'Amadeus del "Così fan tutte" streheleriano). Il palcoscenico è totalmente ricoperto di sabbia, delimitato dal due mura longitudinali che non funzionano semplicemente da "quinte" ma costituiscono spesso un appoggio, un rifugio protettivo, per molti dei personaggi. Unici oggetti in scena, giare e vasi in un angolo servono da "luogo del mistero", da nascondiglio come da oscuro pozzo ove si suiciderà il parassita Iro (Gianluca Zoccatelli, trash quanto basta).


Il ritorno di Ulisse in patria
Il ritorno di Ulisse in patria


Questo luogo metafisico è di volta in volta spiaggia o reggia, grazie ad espedienti minimali come un lenzuolo tirato a mo' di vela o di flutti in movimento: ogni invenzione scenica è introdotta senza lungaggini e rende sempre godibile la fruizione della nuova situazione on stage. Ma più di tutto emerge con evidenza la sensualità nelle relazioni tra corpi nello spazio scenico, grazie forse anche a quei piedi sempre nudi nella sabbia (tranne che per i Proci) che segna un indissolubile legame con la terra, al prologo in cui l’Humana Fragilità (il bravo Roberto Balconi) è completamente nudo sulla scena, al duetto fra l'ancella Melanto (Paola Quagliata) ed Eurimaco (Sakurada Makoto), all'avvolgente abbraccio finale tra i due sposi ritrovati.


Furio Zanasi
Furio Zanasi


La scelta di non utilizzare un sipario ma una serie di fili con fibra ottica luminosa in punta, che salgono o scendono dall'alto, in qualche modo libera lo spazio superiore perché lo delimita senza appesantirlo: ecco perché fra quei puntini accesi come volta celeste scende Giove (Riccardo Novaro), assiso come un genio da "Mille e una notte" sopra un tappeto volante. I riferimenti all'Oriente mitico sono presenti anche nei bellissimi costumi (di Anthony Ward, che infatti firma anche la scenografia), soprattutto in quelli dei proci, finemente lavorati, e dei servitori di Penelope.

È però la musica a rendere definitivamente fascinoso e coeso tutto lo spettacolo. Monteverdi raggiunge qui i vertici di quella "nuova musica" che i suoi contemporanei attendevano ormai con urgenza, coagulando sentimenti e forza drammatica, stile "concitato" dal suo ottavo libro di madrigali e arcadica vena melodica, come solo in "Orfeo" e in "Incoronazione di Poppea" seppe fare, almeno considerando le sue opere giunte fino a noi.


Furio Zanasi
Furio Zanasi


La magnifica orchestra "Accademia Bizantina" ha stupito il pubblico per il sapiente impasto timbrico prodotto dagli strumenti d'epoca, purtroppo ancor inusuale per le orecchie del fruitore musicale medio, fra cui due clavicembali, uno dei quali suonato dall'inappuntabile direttore Ottavio Dantone, tiorbe, chitarre barocche, violoni, violini e viole, tromboni, cornetti, lirone ed un organo, magnificamente coadiuvati dal Coro Costanzo Porta diretto da Antonio Greco. Considerando che nel manoscritto è presente solo la linea melodica ed il basso continuo, il lavoro di ricostruzione e rilettura della partitura da parte dello stesso Dantone è stato esemplare, arrivando a scrivere alcune parti di raccordo in credibilissimo stile monteverdiano.

Un "bravo" all'intero cast vocale, impegnato con successo in una prova caratterizzata da impervie difficoltà di interpretazione (si ascolti la prima aria di Penelope), dall'equilibrio sonoro affatto diverso da quello moderno, in qualche modo aiutato dalla dimensione "raccolta" e quasi cameristica del teatro Piccinni. Fra gli altri, abbiamo notato l'eccezionale interpretazione di Sonia Prina (Penelope) e di Roberta Invernizzi (Minerva), la tenuta notevole di Furio Zanasi, per l’estensione vocale richiesta dal ruolo di Ulisse), il bel timbro del citato Riccardo Novaro.

Prima dell'inizio della rappresentazione il sovrintendente Angela Filipponio ha comunicato al pubblico la notizia della scomparsa, nello stesso giorno della "prima", del direttore musicale della Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari, il direttore d’orchestra e pianista sudafricano Arnold Bosman, uno dei protagonisti della rinascita della grande lirica a Bari negli ultimi quattro anni e che personalmente vogliamo ricordare come magnifico direttore de "Il fortunato inganno" di Donizetti, al Festival della Valle d'Itria di qualche anno fa, e come raffinato esecutore degli "Spanisches lieder" di Hugo Wolf, lo scorso anno a Bari.

Il ritorno di Ulisse in patria



cast cast & credits
 


 

Sonia Prina
Sonia Prina




 

 
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