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Vespicamente corretti

di Roberto Fedi
  "The Nightmare", Johann Heinrich Fussli (Henry Fuseli), 1781, Detroit Institute of the Arts
Data di pubblicazione su web 21/01/2005  

Così, tanto per cominciare male l’anno nuovo, l’altra sera ci siamo visti Porta a porta (giovedì 13 gennaio). E ci siamo fatti un’idea, che adesso trasmettiamo subito ai nostri piccoli lettori (buon anno, naturalmente), del politicamente corretto in quel salotto buono diretto dal prelatizio Vespa.

L’argomento questa volta era un po’ meno futile delle sorelle Lecciso (per le quali abbiamo vinto la scommessa: non sono arrivate a Befana). Si trattava del caso di Erika e Omar, e del fatto che il secondo sembra che stia per ottenere, dopo appena tre anni, qualcosa che non si è capito bene cosa sia ma che assomiglia a una libertà provvisoria. A questo si è aggiunto, nella discussione, il paradossale fattaccio di un giovane di un paese dell’agrigentino (ci pare), che dopo aver ammazzato a coltellate, senza alcun motivo ma solo per fare una bravata, un inerme coetaneo sette mesi fa, è stato affidato non alla prigione, sia pure minorile, ma a una comunità, praticamente libero. La domanda era: è giusto?

Fatti seri, come si vede. In salotto l’onnipresente e autocelebrante psichiatra Crepet, il ministro della Giustizia Castelli, un giudice del tribunale dei minori, il deputato Ds ed ex magistrato Ayala, la giornalista Palombelli, e il solito prete-à-porter che stavolta era l’altrettanto ubicuo don Mazzi, ultimamente impegnato in Tv nell’Isola dei famosi. Come dire: piatto ricco, mi ci ficco.

La trasmissione, più che a tema, era (come sempre da Vespa) a tesi. Che era questa: se un minore commette un omicidio, anche efferato (oltre cento coltellate al fratello piccolo e alla madre di Erika, ricorderete, più altre cosette tanto per gradire: affogamento nella vasca da bagno, avvelenamento col topicida, botte…), non deve essere punito. Bensì recuperato: magari anche fuori dal collegio-carcere, e preferibilmente da don Mazzi che ci pensa lui. La cosa, con varie sfumature e banalità sfuse, è ribadita più volte, con qualche eccezione sollevata dal giudice e dal ministro, che non si può definire un disinvolto. La Palombelli, che si qualifica soprattutto ‘mamma’, dice che però anche  i genitori hanno le loro colpe perché lei, al posto loro, non chiederebbe riduzioni di pena per il figlio ma lo terrebbe dentro, altro che don Mazzi (che infatti la definisce “cattiva”). Lo psichiatra Crepet, passandosi la mano nel ciuffone e facendosi sempre inquadrare dal suo lato migliore (il sinistro), afferma che ci vorrebbero più psichiatri per valutare questi casi: che sarebbe come se don Mazzi dicesse che ci vogliono più preti, la Palombelli più mamme, e Castelli più ministri della Lega.

Generalizzando e sociologizzando un po’ tutti così alla carlona (pardon), si va avanti. Il Crepet afferma anche che se i genitori avessero il coraggio di dire di no e togliere per esempio per sei mesi il motorino all’infante ribelle, la società riscoprirebbe il valore del rigore. L’argomento ci pare un po’ riduttivo dopo decenni di indagini sul sociale e sul vissuto dei quartieri degradati, ma si vede che anche noi siamo cattivi. Il ministro Castelli strappa un applausicchio gridando, un po’ alla Bossi, che la società vuole la certezza della pena o qualcosa del genere, e Vespa ci rimane male. Il giudice parla poco, e confessa di non sapere per quale inghippo legale Omar stia per uscire, e non ci fa una gran figura.

Visto che sul tema del contendere si dicono, fra tutti quegli espertoni, cose da dibattito in treno, ci si chiede a chi sia delegata la sofferenza. Insomma: e le vittime? e i sopravvissuti? e i genitori a cui un quasi diciottenne (poverino) da recuperare, e magari già recuperato a tutta birra in sei mesi e ora libero, ha tolto il figlio?

Ecco allora il ‘tocco di vespa’. Ci si collega con un paese presso Agrigento. Ci sono una donna, immobile e muta, una giornalista, e un uomo in divisa da cuoco e con la barba lunga. Sono i genitori del ragazzo ucciso sette mesi fa. Il padre cerca di parlare, sopraffatto dall’emozione e dal dialetto. Dice frasi fatte e smozzicate, imbarazzanti e quasi senza senso. Ayala & C. lo guardano con compassione. ‘La sua reazione è comprensibile, lei è un padre… ma vede, le cose non stanno così…’ dicono tutti più o meno. Spietato, Vespa gli fa domande che quello quasi non capisce, rispondendo a sproposito con le frasi che si era preparato. La faccia del padre rimane a mezz’ore sul maxischermo in fondo allo studio, icona dell’incapacità di espressione e dell’impotenza.

Mancava solo che lo chiamassero “buon uomo”. Ah, com’è bello stare in salotto, più o meno eleganti o in maglione nero-tenebroso accollato (Crepet e il suo ciuffo), e avere figli all’università o in qualche master, e non in una pizzeria di un paese dalle parti di Agrigento di cui non ci si ricorda neanche il nome.




















Porta a Porta - Vespicamente corretti

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