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L'insostenibile leggerezza dell'essere

di Marco Luceri
  Michela Cescon e Vitaliano Trevisan
Data di pubblicazione su web 15/02/2004  
Dopo il grande successo di pubblico e critica ottenuto nel 2002 con L'imbalsamatore, una delle giovani promesse del cinema italiano, Matteo Garrone, ritorna alle atmosfere crude e claustrofobiche dell'opera precedente regalandoci con Primo amore una dolorosa ed enigmatica storia di amore e disfacimento fisico e psichico, un film di cui ci ricorderemo per molto tempo. Unica opera italiana in concorso all'ultimo Festival di Berlino (la Banda Osiris ha vinto il premio per le migliori musiche), l'ultimo film di Garrone rappresenta un'operazione originale ed intelligente, che forse rende finalmente giustizia a quel desiderio troppe volte mortificato di vedere i che i giovani cineasti italiani sappiano fare vero cinema d'autore.

Ingiustamente accusato da Salvatores (giurato italiano a Berlino insieme a Valeria Bruni Tedeschi) di eccessivo snobismo, Primo amore si riallaccia alla migliore tradizione del nostro cinema nel mettere in scena una storia di sentimenti contrastanti e la difficoltà di realizzarli nella vita di ogni giorno; inoltre pone un profondo interrogativo di fondo: come può un personale principio estetico, teso solo alla soddifazione del proprio piacere, influire sul rapporto complesso e difficile di una giovane coppia di amanti della provincia veneta di oggi. Se la grande attenzione per le atmosfere e gli ambienti rimanda alla lezione di Antonioni, la complessità del tema toccato avvicina Garrone alla poetica di un cineasta italiano troppo frettolosamente dimenticato come Zurlini.

Vitaliano Trevisan e Michela Cescon
 
"Quando c'è il corpo non c'è la mente, quando c'è la mente non c'è il corpo", dice sconsolato all'inizio del film il protagonista, l'orafo Vittorio (Vitaliano Trevisan), suggellando così un inconciliabile dualismo che lungo tutta la storia egli cercherà di superare grazie all'aiuto di Sonia (Michela Cescon), una ragazza conosciuta tramite un annuncio che prelude al loro appuntamento al buio. L'ideale estetico di Vittorio lo spinge alla ricerca di un'immagine della donna che lo soddisfi prima di tutto dal punto di vista fisico: il suo peso non deve superare i quaranta chilogrammi. E' un ideale di totale astrazione dalla realtà, reso possibile forse solo nelle sue mani di abile orafo e cesellatore di esili figure dorate, simili alle sculture dalla magrezza evanescente di Giacometti. Infatti la Sonia che si presenta al primo appuntamento lo delude: è una ragazza dalla fisicità anche troppo standard, né grassa, né magra, appunto. Tutto sembra dunque finire al primo incontro: le loro sagome incomunicanti si stagliano ai bordi dell'inquadratura, a sottolineare il vuoto estetico (e dunque etico) tra queste due anime solitarie. La reciproca curiosità però, spinge i due a frequentarsi e Vittorio decide di buttarsi a capofitto nella sua battaglia estetica partendo dalla mente per poi conquistare il corpo di Sonia; la pesante zavorra dei cinquantasette chili della donna appesantisce questa sorta di leggerezza del rapporto. Ad essa si aggiunge il peso però del sentimento amoroso che cresce e unisce inevitabilmente i due destini. E' qui che gli innocenti dualismi mente-corpo e leggerezza-pesantezza (suggestioni kunderiane?) si trasformano presto in un reciproco gioco al massacro. Pur di assecondare l'ideale estetico di Vittorio, Sonia si autoimpone una dieta ferrea eliminando tutto quel cibo che non è indispensabile alla sopravvivenza, e diventa prigioniera non solo del costante dimagrimento fisico, ma di Vittorio stesso che la controlla in maniera inflessibile, dal cibo che mangia ai vestiti che indossa.

Michela Cescon e Vitaliano Trevisan
 
Il rapporto allora diventa tra carceriere e prigioniera: spesso la mdp di Garrone si sofferma sugli ambienti spogli, chiusi da sbrarre di acciaio e da inferriate, nel laboratorio come nella casa immersa nei boschi dove i due vivono. La perversione estetica di Vittorio non lo rende però immune da un dipendenza pressoché totale dalla presenza di Sonia che, con il cambiare del suo corpo, matura però anche un cambiamento spirituale. Il suo corpo diventa sempre più scheletrico, esile, le ossa sembrano fuoriuscire dalla pelle, sul viso gli zigomi diventano sporgenti le orbite si infossano: a questo declino fisico (gli allievi dell'accademia d'arte dipingono il corpo malato di Sonia nello stile di Schiele) se ne accompagna uno psicologico verso la solitudine e l'autodistruzione. Film dai toni aspri e inconcilianti, Primo amore è vero e proprio cinema della crudeltà, resa poetica da una costruzione tecnica sapientissima, fatta di pause, vuoti, e da una ricchezza e una cura delle immagini e delle sue possibilità visive che fanno di Garrone un nuovo poeta della mdp. Il suo sapiente uso del linguaggio cinematografico, che non ha mai storture né autocompiacimenti, tende sempre più in questo film ad esaltare la crudele tragicità della storia. Il finale tragico, che chiude in maniera molto poetica il film, riflette proprio sulla potente portata distruttiva dell'amore, con la voce fuori campo di Vittorio che esorta Sonia alla ricerca di una bellezza che non può non passare attraverso l'autoflagellazione del corpo e della mente. La metafora della materia che brucia è la metafora delle ceneri della vita: esse "sono quello che resta dopo che ogni cosa è stata bruciata, e sono tutto quello che alla fine conta veramente".

 


Primo amore
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