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Povero Cristo

Italo Moscati
  Una scena dal film
Data di pubblicazione su web 10/04/2004  
Per Passione, tanto per cominciare, vale il solito discorsetto che si fa quando certi film arrivano sull'onda di una grancassa a lungo suonata, la grancassa di una campagna pubblicitaria intensa e fantasiosa. Un po' com'è successo di recente con la trilogia del Signore degli anelli di cui si sapeva tutto, ma proprio tutto, dal costo dei costumi ai malesseri degli attori durante le riprese. Si tratta di affermazioni annunciate, almeno sul piano del lancio sul mercato, che subito riguardano le vette delle classifiche degli incassi. Niente di male. Siamo abituati ad essere sottoposti alla fascinazione della promessa spettacolare, anche se non sempre siamo disposti ad accettare questa promessa come chiave di lettura unica dei film che vogliono ad ogni costo avere successo, ripagare i finanziatori dopo avere ammaliato gli spettatori.

Questa Passione di Mel Gibson, attore famoso e anche regista (meno famoso), si colloca sulla strada delle promesse spettacolari con una risorsa in più: quella di rifarsi alla lunga serie di pellicole, o meglio di kolossal, dedicata alla figura di Gesù e alla sua storia. Decine sono i film che hanno cercato di raccontare appunto La più grande storia mai raccontata, come suona il titolo del film di George Stevens, nel lontano 1964. 
 
Gibson, di fronte al tema e ai tanti modelli che esistono, ha proceduto molto attentamente. Ha scelto la strada della grande rappresentazione, cioè dei grandi mezzi, e si è affidata alla sua esperienza di attore, un'esperienza molto spesso contrassegnata dall'uso e dall'abuso degli effetti speciali. I suoi film come interprete si sono sempre sviluppati all'insegna dell'avventura e raramente della commedia. Fragorosi e prepotenti, questi film ci ricordano che a Hollywood e dintorni la legge vigente è quella di stupire, naturalmente per poi incassare. Ma non lo diciamo per moralismo. Non abbiamo nulla contro le fortune di un film. Ci piacerebbe soltanto scoprire che qualcosa di nuovo, di particolare, di sincero i film destinati ai trionfi del botteghino offrissero a noi spettatori comuni. In questa Passione non si possono mettere in discussione né la buona fede , né tanto meno la fede di Mel Gibson, il quale è un credente, un cattolico, e ha il coraggio di dirlo apertamente, senza timidezze o nascondimenti. Ciò che colpisce in due ore circa di spettacolo, è l'accanimento violento, sadico, paradossale, sulla figura di Gesù che subito, fin dalle prime scene, diventa una maschera di sangue e diventa irriconoscibile. 

Gesù, il Cristo, in questo film si trasforma in un corpo-sacco, come quei sacchi che in palestra i pugili continuano a colpire per fare, come si dice, i guantoni. Qui , altro che guantoni! Mazze, fruste, chiodi, eccetera, tutto viene adoperato per caricare il calvario di una crudeltà che si può sopportare solo perché sappiamo che il sangue è vernice o pomodoro, che le ferite e le piaghe sono frutto di ore e ore di trucco, che la spietatezza dei soldati romani o della gente che incita al massacro sono il frutto di una precisa messa in scena. Voglio dire che Mel Gibson è un uomo di buona volontà, evangelicamente parlando, ma è anche un uomo di volontà, ossia sa molto bene - da smaliziata persona di spettacolo - che se i fini giustificano i mezzi, i mezzi sono parte di una finzione che deve essere credibile, convincente. Non basta versare vernice o far schioccare fruste, o far scattare tuoni e terremoti al momento della morte del Cristo in croce, per dare un senso compiuto alla "più grande storia mai raccontata" che in questo caso, nonostante botte, sevizie e tuoni, si rivela piccola piccola, mediocre negli obiettivi quanto inutilmente enfatizzata nella sua forma. E' facile fare dei confronti, come sono stati fatti, con un'altra "passione": quella proposta da Pier Paolo Pasolini nel Vangelo secondo Matteo, film del 1964, film appena restaurato. Pasolini era Pasolini, e Mel Gibson è Mel Gibson, l'attore di Arma letale e il regista di Braveheart - Cuore impavido. Nessuno, credo, vuole cambiare Gibson e indicargli la via di Damasco della conversione alla semplicità o alla purezza del cinema d'arte; né vuole fargli rinunciare alla sua simpatia per le avventure epiche e per gli eroi senza macchia e senza paura. Ma il risultato di questa Passione è limitato, soffocato dalle ondate di effetti, dalla cura estrema di mettere in primo piano più il regista che il suo personaggio affidato all'invisibile perché troppo insanguinato James Caviezel. Gibson, insomma, mette - regolarmente, a suo modo - sulla croce Gesù, ma costringe lo spettatore a considerare lui, Mel, il vero, unico protagonista che segue le vie della terra piuttosto che quelle del signore. Per il resto, che dire? L'aramaico e il latino, lingue del film, sono penalizzati dai sottotitoli. Fanno intravedere il mistero e, alla resa dei conti, si trasformano in battutine che fanno teneramente sorridere. Tanto sangue, da una parte; e tanto spreco, dall'altra. Spreco,e cioè cattivo impiego, della parola, quella dei vangeli segreta e inarrivabile (almeno per Gibson), nonostante i ben intenzionati consulenti e collaboratori. Risuona la voce del Cristo: "Signore,perdona loro, perché non sanno quello che fanno".



La passione di Cristo
cast cast & credits
 


James Caviezel e Mel Gibson sul set
James Caviezel e Mel Gibson sul set

 




 
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