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Lo tsunami in tv

di Roberto Fedi
  J.M.W. Turner, "Negrieri buttano in mare morti e moribondi" (1840, particolare)
Data di pubblicazione su web 07/01/2005  
Lo sappiamo anche noi: fare gli auguri di buon anno con questo titolo è a dir poco scriteriato. Ce ne assumiamo la responsabilità, come sempre. Ma non è colpa nostra se lo tsunami ha pensato bene di fare un paio di centinaia di migliaia di morti proprio il 26 dicembre. Ignorarlo, ammettetelo, sarebbe colpevole.

Ma noi non siamo i patetici cantori che in questi giorni si sono alternati sugli schermi; e non siamo (pardon) neanche il papa, che rivolgendosi alle nazioni della terra ha esclamato "aiutateli!". Noi, infatti, avremmo detto "aiutiamoli": ma non siamo mica infallibili. Né siamo Bertolaso, responsabile della Protezione civile in questo felice paese senza tragedie, il quale (pardon, di nuovo) visibilmente sollevato che questa volta non sia toccato a lui ha invaso gli schermi di ogni ordine e grado certificando che lui l'aveva detto, che noi siamo stati i primi ad accorrere, e altre paroline in libertà. Come se fosse una gara, e lui l'esperto della situazione indocinese. Né siamo quelli che telefonano a Emilio Fede, dando nome e cognome subito scritti in sovrimpressione, e in diretta annunziano che stanno per versare 100.000 euro al fondo soccorsi. Né siamo i giornalisti in ordine sparso (in testa a tutti il Tg3) che hanno certificato che una gran parte delle vittime è morta perché non sapeva nuotare, dato che erano poveri. Come se saper nuotare fosse roba da ricchi come giocare al polo: i pescatori sanno nuotare, e sono poverissimi. E come se di fronte a quelle onde uno potesse togliersi lo sfizio: "questa me la faccio a delfino, quest'altra in stile libero…".

Insomma, la solita gnagnera da poveri, ma di spirito. Noi invece ci rendiamo conto che trasmettere per ore una tragedia quasi in diretta è difficile. Una volta notato che Emilio Fede, di ritorno da quelle parti, non aveva fatto in tempo a tingersi i capelli (che erano di un inedito grigio topo: a meno che la paura non glieli avesse imbiancati d'un colpo, ma è improbabile), ci siamo guardati con sgomento i programmi che tutte le reti hanno dedicato al disastro, via via rendendosi conto che non si trattava della solita bazzecola e, meglio tardi che mai, affrontando il fatto che eravamo di fronte a una tragedia assoluta. Abbiamo visto anche un redivivo Mentana, che il 30 dicembre su Canale 5 è riapparso in uno Speciale senza mordente: si vede che ha perso il ritmo. E ci siamo ri-convinti di una cosa.

E cioè che la televisione è immagine - bella scoperta. E che questa volta le immagini, ahimè, mancavano: perché laggiù, fra i pescatori di città sconosciute e fra la gente in vacanza, le televisioni non ci sono. Quindi tutte le reti si sono litigate le tre o quattro ripresine amatoriali di gente che, con la camera digitale, stava riprendendo i giochi del figlioletto, o storte immagini dei cosiddetti paradisi. Quelle stesse che poi, al ritorno, hanno il coraggio di infliggervi la sera dopo cena, quando voi maledicete le Maldive e chi ci va.

Scene casuali. Viste per caso. Sempre le solite: tre o quattro. Praticamente, le immagini di una mareggiata con qualche spruzzo. Tutto qui? No: 200 mila morti, alla fine. E allora cosa hanno fatto tutte le reti?

Hanno mandato schiere di giornalisti a intervistare quelli che tornavano a Fiumicino o alla Malpensa. Peggio che mai. Si è vista gente che non sapeva cosa dire, che ridacchiava, che non s'era resa conto ancora di nulla, che si sforzava di piangere a beneficio della telecamera, che raccontava quello che aveva visto: una sedia che galleggiava in camera, una porta sfondata, le finestre rotte. A una hanno anche chiesto se sapeva nuotare (vedi sopra). La risposta è stata no. Non parliamo dei cosiddetti Vip (per noi: Very Idiot Persons), malauguratamente scampati. E noi, francamente, a qualcuno reduce dalla Thailandia avremmo anche chiesto 'scusi, ma lei da solo là che c'era andato a fare?'. Insomma: buoni sì, ma mica scemi.

Ne abbiamo ricavato, ancora una volta, una lezione: i testimoni (lo sanno bene i detective dei romanzi gialli) non servono a nulla. Non vedono nulla. Quel poco che vedono è di solito insignificante, e lo raccontano male. Così come i pur professionali giornalisti inviati sul posto: i più onesti se ne stavano di fronte ad ammassi di macerie, senza parole o quasi. E così ecco anche una seconda lezione: i nostri tiggì, bravissimi nel dirimere il pensiero di Mastella e soprattutto nel trovarlo, sono incapaci, quasi sempre, di raccontare la vita quotidiana, tanto più se tragica. Per darci le notizie di un tamponamento sull'autostrada basta un inviato a caso. Ma per rendere l'orrore ci vorrebbe un grande inviato. Non ce ne sono, o se c'erano erano in vacanza. Così per farci piangere hanno ripiegato sui bambini.

Troppo facile, ragazzi. E con questo, cari amici, molti auguri. Lo sappiamo che questo pezzo andrà in rete in gennaio. Ma, sotto giuramento, l'abbiamo scritto il 31 dicembre, poco prima di andare a cena. Un brindisi a voi tutti, e anche alla tivvù - che pure non se lo merita. E senza botti: promesso.

 





 
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