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Una tragedia senza catarsi

di Carmelo Alberti
 
Data di pubblicazione su web 26/09/2004  
Prove per una trilogia tragica, nostra contemporanea

La trilogia dell'Orestea di Eschilo, tradotta nel 1959 da Pier Paolo Pasolini per Vittorio Gassman, racchiude in sé le radici costitutive della cultura occidentale, e nello stesso tempo indaga le interrelazioni tra le sponde del Mediterraneo attraverso la mediazione pasoliniana, che indica nell’Africa il luogo di contatto tra il mito e noi, come dimostra il prezioso saggio filmico degli Appunti per un'Orestiade africana.
Nel presentare l’evento Massimo Castri, responsabile del festival del teatro della Biennale, lo ha definito un evento complesso che nasce dalla collaborazione con le Orestiadi di Gibellina, dirette da Gianfranco Capitta, e dall'apporto di molti teatri italiani, tra i quali il Mercadante di Napoli, il Teatro delle Marche, lo Stabile di Brescia. Vi sono poi ulteriori complicità, a cominciare da quella con il Teatro di Roma, dove la trilogia sarà ospitata dopo Venezia. È un miracolo produttivo, che ha riunito sotto l'insegna della Biennale, una miriade di contatti, un reticolo di intese che sarebbe opportuno non dissipare.

Una tragedia senza catarsi

Per immaginare come possa essere concretamente un teatro fuori dagli schemi, occorre assistere alla messinscena dell'Agamennone di Rodrigo García e della compagnia La Carniceria Teatro di Madrid. L'elaborazione di García prende la tragedia di Eschilo a pretesto per insistere sulle tematiche a lui gradite, espresse meglio dal sottotitolo dello spettacolo, "Sono tornato dal supermercato e ho preso a legnate mio figlio". Nella parte centrale dell'happening, infatti, il dissidio familiare dell'Agamennone s'insinua nel resoconto di un padre – che, se proprio si vuole, può ricordare la narrazione di un nunzio da tragedia – con cui descrive l'allucinante disavventura del rito della spesa in un supermercato: dal fondo di tre carrelli, stracolmi di prodotti inutili e di merci sgradite, affiora il disgusto per un sistema consumistico che stravolge la libertà di vivere e la capacità di scegliere. Allora non resta che trasferire il proprio sconforto sulla moglie e sul figlio, mediante un'ingiusta distribuzione di "un gran sacco di botte".

Dalla desolazione di un centro commerciale si passa, con disinvoltura, ad un'incredibile, quanto attuale, lezione sul concetto di tragico, in margine ad un fallito banchetto presso un Mc Donald's, con tanto di locale messo a soqquadro e di contrasto catartico con camerieri, cuochi e addetti alle pulizie. Il padre, "corifeo" della nostra epoca, spezza le alette del pollo fritto in sette parti, per significare le sette potenze industrializzate, tracciando uno schema perfetto e chiaro della tragedia; già, perché la tragedia inizia sempre da una faccenda di soldi e di cibarie. Ogni atto comprende un'ala di pollo, che equivale ad una nazione ricca dinanzi alle infelici popolazioni senza risorse. In opposizione, l'idea della "speranza" si può trovare solo sugli altri tavoli del ristorante, sui quali il figlio ha disseminato una varietà incredibile di rifiuti. Intanto sul grande schermo che sta sulla parete di fondo scorrono le cartoline dal mondo con i volti dei politici internazionali, da Bush-Agamennone ad Asznar-messaggero, da Hillary Clinton-Clitennestra a Monica Lewinsky-Cassandra e Bin Laden-Egisto, e giù fino a Canale 5, chiamato il palazzo degli Atridi. Mentre il volto di Berlusconi mima un discorso senza voce, una scritta proclama che "accumulare esperienze, non ci protegge".

Al di là della tagliente ironia degli slogan anti globalizzazione che segnano l'intero evento, l'evento di Rodrigo García utilizza una commistione di linguaggi a dir poco provocatori. Una band di musicisti-attori suona un assordante sound che scuote le casse acustiche; un nucleo di attori-intrattenitori, composto da Rubén Ametlle, Nico Baixas, Gonzalo Cunill, Anne Maud Meyer, Jan Navarro, sbatte in faccia agli spettatori, in senso letterale, penne al pomodoro, insalate, corn flakes, ma soprattutto le proprie parti intime. Poi, si rovescia addosso schizzi d’acqua, manciate di farina, succo di frutta, vernice; mima magiche defecazioni d'inutili prodotti, con conseguente visione di un girotondo lecca-sederi. È una sarabanda distruttiva che mescola corpi nudi e cibarie, in un banchetto che frantuma e avvilisce il simbolo primo della civiltà globalizzata. Non mancano i riferimenti alle uccisioni e ai terrorismi, – sulle schiene di due attori un pennello dipinge l'attentato alle torri gemelle di New York – né un seppellimento finale di polli allo spiedo, ricoperti da una bandiera statunitense. L'efficacia del discorso di García si misura con una radicale contaminazione di codici espressivi, codici che trasferiscono il rito scenico in mezzo ai cortei di protesta e in seno alla lotta contro la fame e le morti del terzo e quarto mondo. Nonostante una palese disattenzione per i canoni rappresentativi, lo spettacolo diverte e sconvolge, ad un tempo, traducendo l'inerzia consolatoria del mito antico in una catastrofe contemporanea, che comunque apre alla speranza di una giustizia globale.



Agamennone, sono tornato dal supermercato e ho preso a legnate mio figlio
cast cast & credits
 



 
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