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Il lutto si addice ad Antigone. Intervista a Federico Tiezzi

di Giulia Tellini
  Federico Tiezzi
Data di pubblicazione su web 16/06/2004  
Il 14 aprile 2004 al Teatro Metastasio di Prato è andata in scena, in Prima nazionale, l'Antigone di Sofocle di Brecht diretta da Federico Tiezzi, storico regista dei "Magazzini Criminali".


Perché hai scelto di mettere in scena un testo come l'Antigone di Sofocle di Brecht?
L'ho scelto in base allo stile più che in base al soggetto. Il soggetto dell'Antigone (questo gesto un po' talibano che Antigone compie) è presente anche in Sofocle. Avrei potuto scegliere Sofocle. È anche in Jean Anouilh. Avrei potuto scegliere l'Antigone di Anouilh. Oppure tutti i testi drammatici che, più o meno, riguardano uno scontro diretto tra libertà (e pensiero) individuale e ragione di Stato. Ho scelto proprio l'Antigone di Sofocle nella redazione di Brecht perché sono interessato allo stile con cui questo dramma è stato da Brecht trascritto per le modalità del suo teatro epico. Brecht riprende la traduzione di Hölderlin. Mi interessava occuparmi di un testo nel quale trasparisse la poesia di Friedrich Hölderlin (poeta che amo moltissimo) che consegna alla storia del primo Ottocento (e, quindi, al Romanticismo) una traduzione dell'Antigone di Sofocle piena di errori e di malintesi. Nella sua traduzione per esempio prende alla lettera tutto quello che in Sofocle è metaforico: perciò – proprio per questa letteralità - crea momenti drammatici e frasi o monologhi posseduti da un alone misterioso, quasi surreale. Nella sua traduzione la Grecia classica diventa una Grecia sognata, folle, allucinata. E posseduta da miti misteriosi. Da riti originari. Questa visione mi interessava. Brecht (che non conosceva il greco e quindi si affida a Hölderlin) riprende questa traduzione. E dà, a sua volta, un impianto didattico ed epico alla struttura drammatica. Struttura non rigida ma percorsa dalle ondate di calore, dai fulmini, dai fendenti folli e allucinati della traduzione di Holderlin. Per sintetizzare: mi interessava perché Brecht arriva a Sofocle via Hölderlin attraverso una traduzione allucinata, non ortodossa. Inoltre Brecht tratta l'Antigone come se fosse un dramma didattico dando un impianto pragmatico, motivazioni concrete e storiche alle scelte dell'imperialista Creonte. Mi interessa molto il dramma dimostrativo e pedagogico che mostra, addita, parla con razionalità, cerca le motivazioni di un avvenimento, di una situazione. Sono affascinato dall'idea stessa di dramma didattico, racconto nel quale si parte da un assunto, da un teorema che deve essere svolto in termini teatrali tanto da risultare esemplare al nostro pensiero, alla nostra ragione. Nel dramma didattico 'si sente' lo stile, non si dimentica mai che siamo a teatro e che stiamo performing. Mi interessava fare dell'Antigone un manifesto – didattico – contro la guerra. Però, nello stesso tempo, mi interessava l'idea dello stile (epico) che avrei utilizzato per 'parlare' scenicamente: un manifesto che avrebbe contenuto anche una riflessione su cosa è lo stile epico oggi, cosa rimane per me, artista, delle indicazioni di Bertold Brecht, oggi. Questa di misurarmi con testi che abbiano alle spalle una riflessione sulla nostra arte è un po' la mia ossessione. Se scelgo Cechov è anche perché Stanislavskij ha creato l'impianto del suo cosiddetto sistema proprio su questo autore; se faccio Genet o Beckett è anche perché dietro di loro ci sono teorie di regia, non solo indicazioni al regista; così per gli italiani Testori e Pasolini. Di sicuro nel mio futuro, per questo motivo, ci saranno anche Goldoni e Pirandello: è un'ottica personale di visione del testo. Anche quando ho scritto la Trilogia Perdita di Memoria (1985) l'assunto era proprio quello di creare testi (però li chiamavo 'libretti' al modo musicale) per la mia teoria scenica (che chiamai Teatro di poesia). E anche per Brecht questo vale: soprattutto per lui. Scelgo sempre testi - e autori - che, nel momento stesso in cui li metto in scena, mi diano il modo di riflettere sullo stile di regia di cui si fanno portatori. Se dico 'Cechov' viene subito in mente Stanislavskij. Un modo di riflettere non solo sui significati o sull'autore ma anche sul linguaggio teatrale.


A quali canoni figurativi ti sei ispirato?
A quelli brechtiani. E al Living Theatre. Antigone del Living è stato il primo spettacolo 'vero' che ho visto nella mia vita. Era uno spettacolo formidabile. Arcaico e formalizzato. Meraviglioso. Poi c'è stato anche Strehler: i suoi Brecht respirano l'epicità in modo quasi caldo, fermo, razionale ma insieme caldo. I suoi spettacoli mi hanno insegnato come affrontare l'autore senza cadere nelle trappole ideologiche delle congelate regie del Berliner…


Lo spettacolo ha una scansione quasi liturgica…
Sì. Una scansione che però è già nel testo. L'alone cristologico che circonda la figura di Antigone è già presente nel testo di Sofocle e nel testo di Brecht. C'è tutto un impianto sacrificale e rituale che nella messa in scena che Bertolt Brecht fa del suo testo (e che ho visto e conosco attraverso il Modelbuch che realizzò l'autore) era molto sacrale, molto rituale. C'era una sorta di pesantezza 'arcaicistica' pseudogreca. Invece ho creato, nel mio spettacolo, due polarità. Il testo si basa sulla dialettica dello scontro tra Antigone e Creonte. Sul loro conflitto. Da una parte c'è Antigone che è portatrice di un ordine e di un cosmos talibano, tribale, integralista e che guarda verso il passato.


Come Medea?
Sì, più o meno come Medea. Viene sempre vista come una grande eroina della libertà… ma Antigone combatte la sua personale guerra in nome del ghenos, della stirpe. Dall'altra parte c'è Creonte che parla in nome della polis razionale. Ho creato, allora, per rendere più evidente questa separazione, due tipi di recitazione. Quella di Creonte è strettamente inserita nella ratio brechtiana. Quella di Antigone è iscritta all'interno dei canoni più emotivi e sentimentali che potessi trovare. Una reviviscenza totale. Del resto Antigone è memoria. Stanislavskij, insomma…


Un gioco metateatrale, allora…?
Quando io faccio teatro è sempre così. La regia mi serve per parlare del testo in termini teatrali. Voglio considerare il teatro come qualcosa che possiede un'estetica autonoma rispetto alle altre arti. Può darsi che le radici del teatro affondino nella pittura, nell'arte della fonè (della voce) nella danza (l'arte del movimento), nella musica. Però, l'arboscello che si chiama teatro (e che è composto da tutte queste radici) è cosa autonoma. Credo che tutto il lavoro che ho fatto nel corso di questi trent'anni sia stato per arrivare alla definizione di un'estetica autonoma per il teatro. Se ti dico di aver voluto rendere in maniera concreta e visibile l'opposizione fra Antigone e Creonte, ti parlo di una opposizione che doveva essere recitativa. L'opposizione, il conflitto, non è solo nel testo e nella drammaturgia: il conflitto sta anche nei termini teatrali attraverso i quali i due personaggi si esprimono. Per esempio, vestendo Antigone di bianco e Creonte di nero (come è anche successo) ma soprattutto facendoli recitare in due maniere differenti.


Chi è il tuo Creonte? E il tuo Tiresia?
Il mio Creonte in questo caso è Sandro [Lombardi] con tutto quello che implica un attore della sua grandezza. Tu lo senti: quando recita, applica il movimento della ragione a ogni elemento della frase. A ogni sillaba della parola che pronuncia, al tempo verbale che l'autore adopera… Nello stesso tempo, riesce ad avvolgere la frase, nella asciuttezza della sua recitazione, in una aura di significati (o immagini) che trapelano appena, che giocano con lo spettattore, con ironia, con umorismo, con passione… la preparazione individuale di Sandro è spasmodica. Lui, nelle vesti di Creonte, è la voce della ragione della polis che sta faticosamente ai patti stabiliti nelle Eumenidi di Eschilo. Per questo ritengo che Creonte nella sua impietas parli quasi in nome della democrazia. Almeno in base ai fondamenti che permettono un contratto sociale tra gli uomini. Anche Tiresia è uno che parla in nome della razionalità. È come Pasolini. Tiresia ha delle visioni che disciplina e comunica agli altri attraverso l'uso della ragione. Sembra un attore, Tiresia, sempre sopra le righe, una diva del muto che, però, riesce a razionalizzare - attraverso la sua mente - le visioni che ha. E a trasformarle in profezie. Come Pasolini, appunto…


Secondo te, se Antigone fosse già stata moglie di Emone avrebbe sepolto il fratello come fa da vergine (considerata la propensione delle vergini per il martirio)?
Forse l'ultima frase è vera anche se, in effetti, non è del tutto esatta. In realtà lei continuamente rimpiange il fatto di non poter generare. È la sua ossessione.


Perché?
Lei sceglie di non generare perché la procreazione, in qualche maniera, la scaraventerebbe verso il futuro. Lei è ancora troppo infangata nel passato.


Come Elettra.
No, Elettra non aveva una famiglia come quella di Antigone dietro le spalle.


Ma anche lei è legata al passato, ossessionata dal ritorno del padre.
Sì. Ma è diverso. Anche Pasolini dice che è una forza del passato. Ma quando dico che Antigone vive una tragedia familiare, il suo dramma mi sembra evidente. Aveva il babbo che gli era fratello. Creonte è suo zio. Emone è suo cugino. Eteocle e Polinice sono suoi fratelli ma sono anche fratelli di Edipo. C'è un gran buio in quella famiglia. C'è una bolgia di nero, di oscurità, di notte. Oggettivazione ne sia il fatto che Edipo, in principio, si sia accecato. Lei è portatrice di un passato molto più pesante di quello di Elettra. Cosa aveva Elettra? Una mamma assassina e un padre anche lui nei misfatti del sangue. Elettra non vuole stare con i morti anche se profetizza che questi tornino a torturare i vivi (o a spiegarsi?). Per Antigone è diverso. Antigone sceglie di stare con i morti, sceglie di stare con il passato. Lei, lo afferma Creonte, da viva è già una mezza-morta. Dei vampiri si dice la stessa cosa… Il passato è la mammella dalla quale nutrirsi. L'amore per Emone la distoglierebbe dal culto del passato: cioè dalla ricerca di una spiegazione al mistero degli avvenimenti che hanno coinvolto la sua stirpe.


Come si colloca questo spettacolo all'interno della tua teatrografia e, in particolare, dopo il lungo lavoro su Amleto?
Passo varie fasi, come la luna. Sono lunacy come il principe danese… In Amleto avevo utilizzato il sogno come elemento di interpretazione di un testo: il sogno di un regista e il sogno degli attori. Avevo lavorato molto su questo aspetto nella realizzazione di Amleto. Con Antigone ritorno all'altro caposaldo della mia anima di visionario teatrale: l'iper-razionalismo didattico. Il mio lavoro si svolge tra questi due poli: in una zona il sogno e l'irrazionalità occupano una gran parte, nell'altra invece c'è una geometrica, definitiva razionalità (come nel caso di Antigone). Mi interessa capire che farò del testo che viene dopo.


Un lavoro di nuovo onirico tipo quello di Amleto?
Sì. Dovrei ritornare ad Amleto invece… so che non sarà così… cambio sempre… ma cosa cerca questa mia inquietudine… la definizione definitiva di un'estetica autonoma per il teatro? Forse… Il prossimo testo che farò è di Thomas Bernard, Il Presidente. Non è mai stato tradotto in Italia. È un formidabile testo sul terrorismo. Vorrei che fosse una riflessione sul 'realismo'…


Recente?
Sì. Il testo è del '75. Scritto in quelli che la von Trotta avrebbe chiamato 'gli anni di piombo'. La trama riguarda un attentato ai danni di un presidente. Si scopre che a volerlo assassinare è suo figlio: un anarchico. Come vedi, in realtà poi non mi sposto molto. Ogni volta che si parla di una famiglia (della caduta delle famiglie) mi vengono delle idee. Mi diverto, mi eccito creativamente (ho avuto una infanzia felice e genitori stupendi…). Una delle mie opere preferite è Die Götterdämmerung [Il Crepuscolo degli dei] che riguarda la caduta di una delle più grandi famiglie dell'arte: quella che abita il Walhalla. Poi c'è l'Orestea…

 


Antigone di Sofocle
cast cast & credits
 

 


Sandro Lombardi
e Chiara Muti


 

Federico Tiezzi
Federico Tiezzi


 
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