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Il dibattito Albano-Lecciso

di Roberto Fedi
  Lauretta Masiero e Isa Barzizza in un'interpretazione delle "Sorelle Materassi" (dal celebre romanzo di Aldo Palazzeschi)
Data di pubblicazione su web 13/12/2004  
Beh: lo sappiamo che il titolo è ingannatore. E che in una rivista web dedicata alla drammaturgia, e anzi a questa consacrata, ora vi aspettereste che si parlasse del dramma di Cechov. No. Anche perché quelle erano tre (Le tre sorelle, 1901), e queste di cui parliamo oggi sono due (meno male). E quindi ecco l'errata corrige: "le due sorelle Lecciso" (sec. XXI, inizio). Come si dice in questi casi: se non vi va, saltate pure alla prossima.

Sappiamo anche che avevamo promesso di non parlarne, nell'articolo immediatamente precedente a questo. Non è che abbiamo cambiato idea: non ci sarebbe nulla di male, per carità, ma lì avevamo giurato o quasi che non ci saremmo mai dedicati al dibattito Albano-Lecciso, e non alle sorelle. Che sono, via, un'altra cosa.

Prendiamola alla lontana. Intanto, questi qua hanno in comune un problema nominalistico. Alzi la mano, fra i nostri lettori, chi sa rispondere a bomba a queste domande: qual è il vero nome di Albano? e poi: come si chiamano le sorelle Lecciso? Confessiamo che alla seconda non sappiamo rispondere. A noi ci son voluti un paio di decenni per ricordare il nome di battesimo delle Kessler, figuriamoci; non abbiamo la minima idea di come s'appelli la sorella della Parodi che ha sposato Canale 5; restiamo a bocca aperta se ci chiedono il nome della sventurata sorella della Ventura; abbiamo perso il conto del numero, del colore dei capelli, e soprattutto dell'identità delle sorelle Carlucci. Le Lecciso, quindi, dovranno aspettare il loro turno per la smemoratezza colpevole.

Albano, poi, è un caso a parte. In realtà - ci siamo documentati - costui si chiama Carrisi di cognome, e Albano (come lo scriviamo noi) di primo. Ma siccome all'inizio della carriera Celentano (sembra) lo battezzò Al Bano, il poveretto s'è sempre dovuto far chiamare così: si capisce, con quell'investitura. Per cui, quando in America scomparve disgraziatamente la figlia sua e di Romina, i giornali di là, che si interessavano al caso essendo la ragazza la nipote di Tyrone Power e di Linda Christian, lo chiamavano sempre "Mister Bano", pensando che Al fosse, ovviamente, il nome (come Al Capone: absit iniuria verbis).

E le sorelle? spuntate dal nulla. È questo un caso interessante, per chi studi massmediologia. Non tanto perché le due non sanno fare alcunché: né cantare, né ballare, né parlare, né muoversi. Vogliamo dirla tutta? Non sono neanche simpatiche, e nemmeno belle (insomma: con tutto il pollaio che c'è in tivvù, ce n'è di meglio). Anzi: non fingono neanche di saper fare qualcosa. Ma perché la loro breve fama (non arrivano a Befana, scommettiamo) merita una riflessione sull'uso trasversale della televisione.

Il fatto è che noi parliamo sempre, genericamente, di 'televisione', come se fosse un blob indifferenziato. Errore. Si dovrebbe sempre riferirsi alle 'televisioni'. Così, ci avrete fatto caso, ogni trasmissione e ogni rete ha il suo carnet: che non valica i confini del recinto. Chi acquistava fama al Maurizio Costanzo Show non la portava su Rai Uno, per dire; chi è celebre fra le casalinghe che guardano Domenica In non è conosciuto dalle omologhe che si incollano a Buona domenica. Chi esce dal Grande fratello rimane nella gabbia Mediaset. Chi sopravvive (si fa per dire) all'Isola, in quella Rai. Non parliamo delle reti minori, e de La7, che è viva perché sta ai margini della torta e si accontenta.

Qui il caso è diverso. Queste due sciagurate (si scherza, via) nel giro di qualche giorno sono diventate le star (siamo ancora allo scherzo) di Bruno Vespa (Rai Uno), di Cucuzza (Rai Uno), di Mara Venier (Rai Uno), di Striscia (Canale 5), di Ferrara (La 7), per limitarci alle maggiori. Non solo: mentre da qualche parte le due Kessler de noantri venivano sottoposte a disamina da fior di intellettuali (de noantri anche quelli), magari Mister Bano stava a filosofeggiare con Maurizio Costanzo, dove elargiva al popolo zolle di saggezza contadina da ammazzare Frate Indovino, in pretto accento pugliese (del tipo 'donne e buoi dei paesi tuoi', o simili). L'abbiamo visto anche da Maria De Filippi, cantare a squarciagola (ma possibile che in quarant'anni di carriera nessuno gli abbia insegnato l'arte del canto? almeno qualche lezione…) in onore di una povera donna a cui la figlia, crudele, aveva appena letto una letterina fra le lacrime, in cui la ringraziava perché nella sua vita costei aveva conosciuto niente più che lavoro e fatica, allietata solo dalle canzoni di Albano - non si sa quale fosse la disgrazia maggiore, ammetterete.

Per farla breve: se è stato un disegno (e lo è stato), chi l'ha organizzato sapeva quel che faceva. Ci hanno accerchiato, con la furba complicità contadina di Bano, che fingeva di avercela con la Lecciso senior eccetera eccetera. È stato il primo esempio di uso trasversal-sinergico della tivvù a fini di fama, se ci passate il bisticcio, e sia pure temporanea e labilissima. Sembra una scommessa fra pubblicitari: scommettiamo che ti prendo due incapaci…? A Hollywood ci farebbero un film.

In questo caso, per fortuna, siamo da un'altra parte. Così se ne andranno come son venute: ma hanno dimostrato che se po' fffa', come direbbe la Venier. E quindi hanno vinto la scommessa. Basta che non ci credano: perché, sorelle per sorelle, potrebbe andargli come alle sorelle Materassi (1935). Che erano tre, ma finirono maluccio lo stesso.




Le sorelle Lecciso
Le sorelle Lecciso




 
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