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Appunti su Truffaut e il CinemaScope

di Federico Vitella
  un'immagine de "I quattrocento colpi"
Data di pubblicazione su web 01/01/2005  
Si è conclusa la quattordicesima edizione di France Cinema, la vetrina fiorentina del miglior cinema francese di ieri e di oggi. Come da tradizione, gran parte delle proiezioni sono state dedicate alla retrospettiva, vero cuore pulsante della manifestazione, quest'anno eccezionalmente dedicata ad uno degli alfieri della Nouvelle Vague francese, ovvero François Truffaut. France Cinema ha riproposto la filmografia completa del regista de I quattrocento colpi nella bella programmazione curata da Françoise Peri, presentata in anteprima a Napoli nel marzo del 2004. Il ventennale della scomparsa di Truffaut è stata anche l'occasione per pubblicare un prezioso volume di interviste inedite al regista, confezionato dal direttore del Festival Aldo Tassone, e riascoltare in concerto le celebri partiture originali dei compositori Benhard Hermann, George Delerue, Antoine Duhamel, suoi straordinari collaboratori abituali.

Figura particolarmente cara al grande pubblico e ampiamente studiata dagli addetti ai lavori, Truffaut non ha certo bisogno di una riscoperta. Nondimeno l'opportunità di rivedere al cinema l'intera sua produzione in condizioni filologicamente sorvegliate stimola qualche osservazione non convenzionale. In particolare, la proiezione su grande schermo permette finalmente di apprezzare i film di Truffaut nel loro formato originale, altrimenti regolarmente deturpati dalle riproduzioni home video. Con il termine formato ci si riferisce qui alle proporzioni dell'immagine, al rapporto cioè tra la base e l'altezza del rettangolo cinematografico. Lungi da essere un mero dettaglio tecnico, il formato condiziona pesantemente la rappresentazione cinematografica: in prima istanza, evidentemente, perché definisce lo spazio dell'inquadratura e dunque partecipa alla composizione del visibile; più profondamente, perché articolando lo spazio del film, il formato influenza l'arte stessa di strutturazione del discorso, ne influenza la retorica.

Nel corso di oltre un secolo, i film sono stati concepiti, fotografati e proiettati nelle sale in una discreta varietà di formati differenti. Nella filmografia di Truffaut, relativamente omogenea quanto a formato di ripresa, spiccano cinque produzioni in formato panoramico CinemaScope. Il CinemaScope è il più conosciuto, nonché il più utilizzato, tra gli svariati dispositivi speciali introdotti dall'industria hollowoodiana nei primi anni Cinquanta per differenziare la propria offerta dalla televisione e contenerne gli effetti dirompenti. Presto diffusosi di cinematografia in cinematografia, il sistema è stato adottato internazionalmente nel corso del decennio come nuovo standard di produzione ed esercizio, particolarmente per film spettacolari a grosso budget. Truffaut gira con sistemi francesi omologhi al CinemaScope (Dyliscope, Franscope, Totalvision) I quattrocento colpi, l'episodio del film collettivo L'amore a vent'anni, Tirate sul pianista, Jules e Jim, La mia droga si chiama Julie.

Seppur ignorata dalla critica, la questione è particolarmente interessante, coincidendo la produzione panoramica di Truffaut con gli esiti complessivamente più originali della sua carriera, dal dirompente esordio alle prove più mature della metà degli anni Sessanta. D'altra parte Truffaut non aveva fatto mistero del proprio interessamento ai nuovi sistemi di ripresa ai tempi della sua attività di critico. Il formato panoramico pareva allora a lui ed ai suoi valenti collaboratori il piede di porco col quale forzare l'impaginatura classica del quadro hollywoodiano, l'ariete in grado di allargare quella breccia già aperta dal miglior neorealismo italiano in direzione della modernità. Dalla assunzione condivisa che il CinemaScope, per via delle proporzioni e dimensioni dei suoi schermi, avrebbe inevitabilmente comportato l'abbandono del montaggio rapido e dei piani ravvicinati, i redattori dei Cahiers du Cinéma auspicavano che la nuova tecnica divenisse motivo stilistico, nella direzione di un cinema realista.

Nell'impossibilità di indagare compiutamente in questa sede il ruolo svolto dal CinemaScope nell'elaborazione della stilistica di Truffaut, mi limito a segnalare le due principali modalità di impiego personale del formato panoramico. La via di Truffaut al cinema panoramico è strettamente legata ai trascorsi critici menzionati, tanto che come giustamente si è osservato per altre questioni, anche per il formato possiamo dire che il lavoro critico sulle pagine dei Cahiers assume spiccatamente il carattere di laboratorio di regia. Ne I quattrocento colpi, caso emblematico del primo tipo di impiego, Truffaut piega il CinemaScope, sinonimo di grandeur scenografica, al racconto realista in bianco e nero, agli interni reali, agli esterni non ricostruiti e libera lo spazio del quadro dalle rigide composizioni classiche. Ne La mia droga si chiama Julie, caso emblematico del secondo tipo di impiego, Truffaut gioca con i codici del film di genere americano, formato compreso, e ne maniera gli stilemi. In sostanza, Truffaut si serve del CinemaScope da un lato per enfatizzare, per contrasto, la portata antispettacolare della sua vocazione realista (I quattrocento colpi, L'amore a vent'anni, Jules e Jim), dall'altro per accedere alla dimensione spiccatamente riflessiva dei film sul cinema (Tirate sul pianista, La mia droga si chiama Julie).

Il rinnovamento del linguaggio cinematografico, dal neorealismo al nuovo cinema degli anni Sessanta, si intreccia inestricabilmente con il propagarsi di cinematografia in cinematografia della tecnologia panoramica. Ricordo questo non certo per asserire una frettolosa e sprovveduta equivalenza tra cinema moderno e cinema panoramico, ma per attirare quantomeno l'attenzione sulla significativa coincidenza tra crisi del formato classico e crisi del racconto classico, fuori come dentro gli Stati Uniti. Parlando di intreccio inestricabile, intendo allora sottolineare, data la natura propriamente caotica della penetrazione panoramica, sia da una cinematografia ad un'altra, sia all'interno di una medesima cinematografia nazionale, la complessità del legame tra l'esplorazione del nuovo formato da una parte, e l'esplorazione di un nuovo regime narrativo dall'altro.



 








 
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