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Atene, Olimpiadi amene (diario olimpico: 6 e ultimo)

di Roberto Fedi
  Discobolo
Data di pubblicazione su web 30/08/2004  
Ora che sono finite, con una cerimonia di chiusura 'in minore' rispetto allo sfarzo di quella d'apertura (che era suggestiva, anche se troppo lunga, con scene molto belle e per fortuna quasi sempre ben riprese), ci mancheranno. Come dicevamo nel primo di questi fogli di diario, le Olimpiadi sono uno spettacolo che va goduto rilassati, e non la notte o la mattina alle 5 per ragioni di fuso. Da Pechino sarà dura.

Proprio per questo ci sono balzate all'occhio e all'orecchio certe cosucce, che abbiamo cercato di registrare via via. E quindi, ora che sono un ricordo, mettiamo giù una specie di pro-memoria, proprio per ricordarsene meglio. Procediamo per punti, in ordine sparso.

1. La televisione è ormai 'lo' spettacolo. Siamo di quelli che ritengono che certi eventi (le Olimpiadi sono il caso più lampante) ormai si vedono meglio sullo schermo in salotto che sul posto: certo si perde il quadro d'insieme (una riunione di atletica leggera è bellissima a vedersi allo stadio, con le gare tutte insieme e i colori), ma si acquista in dettagli e in sequenze di regia. Quindi: la regia televisiva è ormai più importante di quella scenografica 'sul posto'.

2. Noi vediamo non lo spettacolo, ma ciò che il regista sceglie di farci vedere: siamo quindi spettatori di secondo grado, per così dire. Se a questo si aggiunge che in certi casi (come nelle Olimpiadi) le gare di discipline diverse sono spesso contemporanee, si potrebbe anzi dire che siamo spettatori di terzo grado: qualcuno sceglie la gara, e il regista poi sceglie le inquadrature.

3. Le gare sono commentate, com'è ovvio. Si può quindi affermare che siamo condizionati per la terza volta, quindi in quarto grado: il cronista ci dice quello che, per lui, è in quel momento la gara. Se fa il tifo anche per noi, ci sentiamo in imbarazzo; se snocciola dati come un ossesso per farci vedere com'è bravo, ci fa addirittura incavolare. Non sopportiamo mediazioni più di quelle necessarie.

4. Né d'altra parte si può azzerare il commento, come qualche volta confessiamo che abbiamo fatto per disperazione: ciò che si vede allora è come in un acquario, silente. È la morte dello spettacolo.

5. Da quanto detto sopra si evince – per carità, senza alcuna pretesa di scientificità – che spettacoli come questo non rendono inerte chi sta davanti al teleschermo, come invece accade per programmi 'artefatti' come tutti quelli che ormai si vedono in Tv: tra poco ricomincia la nefanda Isola dei famosi, che è la parodia della spontaneità (come ogni reality show). Date un'occhiata (breve mi raccomando) e capirete al volo la differenza.

6. La Rai ha fatto una scelta saggia, in partenza: ha dedicato una intera rete, la 2, alle Olimpiadi. In questo modo ha però anche mostrato i limiti di una Tv tradizionale, sia pure benintenzionata: e abbiamo più volte commentato certe scelte a capocchia. Probabilmente il futuro è ormai quello dei canali diversi: lo spettatore sceglie da sé che cosa vedere, se l'atletica o il canottaggio, se il nuoto o la lotta, se il pugilato o la scherma.

7. Il giorno in cui questo accadrà (già accade per il calcio, per esempio: ma lì gioca il deleterio fattore del tifo che tutto obnubila), ci sentiremo più soli, senza l' 'àncora' che ci dà il senso del radicamento, ma anche più consapevoli: la Tv avrà così abdicato al suo ruolo di 'mamma', che sceglie per noi. Diventeremo spettatori adulti: quindi, soli.

8. La Tv sta ormai perdendo il suo ruolo (che ha avuto dalla sua nascita) di 'mondo': del resto, "non tutto ma di tutto" era giustamente il motto della Rai, probabilmente più profondo di quanto chi l'ha inventato non pensasse. Ora sta per assumere una più perigliosa funzione di collettore di 'mondi', ognuno separato e diverso.

9. Questa è secondo noi la vera interattività: non la scemenza dei giochini a cui rispondere da casa, o la richiesta maldestra di questo o quel film. È la scelta di scegliere, per usare un gioco di parole.

10. Quindi, come dicevamo, saremo più soli: un uomo (o donna, naturalmente) e uno schermo. Accadrà per la Tv come accadde per la stampa, fra il secolo XV e XVI. Si passò all'alba del Cinquecento dalla fase 'in culla', quella degli incunaboli che altro non era se non la prosecuzione dell'èra dei manoscritti, a quella dell'industria tipografica, grazie alla quale ogni uomo poteva acquistarsi un libro, leggerselo, e riporlo su uno scaffale per il futuro. Senza bisogno di condividerlo con altri, come invece succedeva per i manoscritti o i preziosi volumi dello scorcio del Quattrocento.

Che vi piaccia o no, cari amici, questo ci aspetta. E quindi finirà presto anche la funzione del critico televisivo come lo conosciamo oggi, che guida e orienta secondo il suo gusto e le sue idiosincrasie. Non è detto che sia un male.



La cerimonia di chiusura
La cerimonia di chiusura






 
 
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