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Il ritorno degli Osanna.

di Michele Manzotti
  Ian Anderson
Data di pubblicazione su web 09/01/2005  
Lino Vairetti, ovvero l'anima degli Osanna, uno dei gruppi che con Pfm e Banco portava alta la bandiera del rock italiano nei primi anni '70. Un rock etichettato come progressivo o prog, per definire brani elaborati e di ricerca. In molti ricordano la lunga suite Palepoli che ricordava i cosiddetti "album-concept" che arrivavano da oltre Manica (come Thick as a Brick dei Jethro Tull, The Lamb lies down on Broadway dei Genesis, tanto per citare due esempi famosi). La nostra conversazione però non riguarda solo il passato del gruppo e altre grandi produzioni tanto da ritornare insieme per dischi e concerti. E' infatti uscito recentemente Taka Boom, un album che ha in formazione lo stesso Vairetti, Enzo Petrone, Danilo Rustici insieme a Gennaro Barba, Gigi Borgogno, Vito Ranucci e Luca Urciuolo con ospite Enzo Avitabile. A oltre 30 anni da L'uomo, il gruppo napoletano scopre che c'è ancora qualcosa da proporre proprio grazie all'opera di Vairetti, che con la sua etichetta indipendente Afrakà sta dando la possibilità a giovani artisti di trovare una sponda discografica. Strettamente collegato al disco, e vivamente consigliato, è il libro Osanna-Naples in the World, a cura del giornalista napoletano Carmine Aymone e pubblicato dalla stessa Afrakà con testimonianze inedite di molti personaggi del rock inglese, da Ian Anderson e Peter Hammill. Oggi dunque Lino Vairetti è costantemente impegnato nell'ambito della promozione culturale e ha un sogno nel cassetto: un tour con Osanna, Orme e Banco per far conoscere un periodo importante della nostra musica.

Tra le novità che la riguardano è quella di aver ripreso l'esperienza Osanna. Ci puoi spiegare come è nata?
"Devo dire che è stata un'esperienza che non si è mai interrotta del tutto. C'era sempre qualcosa nell'aria che avrebbe riportato gli Osanna insieme, solo che la pausa è durata molto tempo. Poi si sono ricostituite inconsciamente e fortunatamente un sacco di occasioni. Danilo Rustici tornava finalmente in Italia dopo 18 anni vissuti a Bosto e per uno strano humus generale da più parti ci veniva chiesto perché non ci eravamo mai rimessi insieme. Lo stesso Enzo Petrone mi aveva più volte chiamato in un anno dicendo: "Ma perché tu non lo vuoi fare? Sei stato la voce del gruppo". Quindi si sono assimilate una serie di esperienze collaterali che hanno consentito questa nuova formazione. Io avevo qualche anno prima contattato Elio D'Anna, però fu difficile avere un rapporto con lui perché era preso da mille altre cose e altre iniziative. Tramite il fratello, che era il mio interlocutore, capii che la situazione era un po' difficiile e per Elio forse gli Osanna non rappresentavano un interesse. Poiché rifare gli Osanna era una questione d'amore e non di business, capii che non era quella la strada. Chiamai anche Massimo Guarino e Lello Brandi ma loro non suonavano più da oltre 20 anni e trovai un po' di difficoltà nell'approccio. Chiesi anche un impegno diverso (Lello ad esempio, è commercialista e sapevo che aveva lavorato per i 99 Posse e i Bisca) ma ormai avevo capito che per loro il discorso Osanna era chiuso da tempo e ci siamo ritrovati io Danilo ed Enzo Petrone della seconda formazione. Con altri musicisti - Gennaro Barba alla batteria, Vito Ranucci al sax, Luca Urciuolo alla tastiere e l'altro chitarrista Gigi Borgogno - abbiamo iniziato questa nuova avventura con l'album Taka Boom. Danilo, Enzo e io pensavamo di riproporre qualche vecchio brano, perché dopo tutto questo periodo di attesa certa gente non ci ricordava più, invece di fare un prodotto tutto nuovo che poteva sembrare un contrasto con la nostra storia. Dovevamo farci accettare nel mercato, allora l'approccio migliore era farlo con alcuni brani storici e altri nuovi".

Però alcuni di questi brani storici gli avete voluti rileggere con una nuova sensibilità, quella dei giorni nostri...
"Qualche purista ci aveva addirittura criticato: "Quel rap nella versione de L'uomo non ci piace". Ma la versione originale esisteva, anche ristampata su Cd; rifacendola ci sembrava di scimmiottarla in modo esagerato, quindi abbiamo rischiato con una versione completamente diversa. E' chiaro, a qualcuno non è piaciuta, però rispondo a chi ha detto che se vede un quadro e lo va a rivedere deve essere tale e quale: io che adoro Picasso, posso dire che ha fatto due o tre volte gli stessi quadri cambiandoli totalmente. E' normale lavorare su una propria idea, ma l'umore cambia con il tempo. Tra l'altro noi Osanna eravamo innovatori anche per quanto riguarda la tecnologia, quindi non potevamo fare i vecchi brani esattamente come una volta".

Parliamo di ciò che è più gratificante per l'artista ovvero il tornare sul palco. Come siete stati accolti? C'erano solo nostalgici?
"Certo che ci sono i nostalgici, anche perché qui nel meridione siamo un po' assaliti da una sottocultura musicale esagerata. Quando proponiamo cose nostre ci sono tante persone che vengono di corsa, però a me fa piacere vedere giovani, e parlo di ventenni, che conoscono il repertorio non solo degli Osanna ma di tutto quel prog che io nemmeno conoscevo. Una nuova generazione di ragazzi che hanno recuperato storicamente la nostra musica e l'hanno assorbita vivendola in un modo particolare, tanto che sono i nostri primi critici e vengono a chiederci cose precise, senza preconcetti. I concerti che abbiamo fatto non sono stati moltissimi, perché abbiamo scelto situazioni di un certo tipo (niente feste di piazza, ma varie occasioni di festival prog, come quello recente dell'estate 2004 a La Spezia); sono stati una ventina, tutti di qualità".

A un certo punto lei non solo hai deciso di ricominciare l'avventura Osanna, ma anche di fondare un'etichetta per i giovani musicisti.
"Questa esperienza è nata anni fa, perché io sono insegnante al liceo artistico e quindi sono in contatto continuo con i giovani che hanno dai 17 ai 19 anni. Mi confronto in un territorio formato dai comuni a nord di Napoli e ho visto che c'era poco per loro, poco spazio, a differenza della stessa Napoli che in fondo dà parecchi stimoli artistici e musicali. Allora mi sono proposto, già all'inizio degli anni '90, di organizzare eventi culturali per favorire l'inserimento dei giovani all'interno di questi processi; una cosa difficile, perché lì c'è da lottare contro chi pensa che la musica sia solo quella di Gigi D'Alessio, una lotta impari tanto che D'Alessio in queste zone era come i Beatles per noi 35 anni fa. Ma sono riuscito a fare qualcosa attraverso il marchio Afrakà...".

Ci spiega cosa vuol dire?
"E' l'acronimo delle iniziali dei comuni Afragola, Frattamaggiore con la 'kà' che rappresenta Casoria, Casalnuovo, Cardito, Caivano. Ho iniziato un percorso musicale grazie a un festival che faccio dal '95 dove sono venuti artisti internazionali come gli Animals, Noel Redding (il bassista di Hendrix), Susanne Vega, Steve Hackett, Richie Blackmore, poi altri italiani e napoletani che facevano musica d'autore e quindi giovani nella sezione "Talenti emergenti", dove sono nati artisti che hanno poi trovato spazio in una compilation. Perché parallelamente ho fatto un'etichetta (che ha stampato anche il disco Osanna) nata originariamente per un mio disco un po' new age, una casa editrice con un libro di poesie fatto dai giovani del territorio e la biografia degli Osanna (Naples in The World) di Carmine Aymone. Poi mi occupo anche di formazione per i giovani e in questo ultimo anno mi sono dedicato a quelli disabili: se ne fa un gran parlare ma per la loro integrazione nella scuola si fa veramente poco".

Ci descrive le sue produzioni discografiche?
"Ho promosso Cd di musicisti con cui collaboro abitualmente; uno dei primi è stata una compilation fatta con la provincia di Napoli, il cui ricavato è stato destinato a una cooperativa per un progetto nel territorio palestinese. Il titolo è Sogni Liberi con musicisti come Enzo Avitabile, Enzo Gragnaniello, Peppe Barra, Daniele Sepe. Poi ho prodotto il disco di Lea Costa, brasiliana, architetto, diplomata in flauto, con un'atmosfera in bilico fra il Brasile e Napoli, e un brano napoletano cantato in portoghese, Nuttata 'e sentimento, con Antonio Onorato. Quindi Koiné, disco di due jazzisti napoletani, Benny Caiazzo, che ha suonato con gli Osanna al sassofono, e Brunello Florio alle tastiere, oltre a una produzione strumentale di Fabrizio Fedele che si chiama The invisible part of me. Poi un'altra compilation, non in vendita, che è un disco composto di un unico brano elaborato in 19 versioni internazionali, che si chiama Statte vicino a me, che Teddy Reno cantava nel film di Totò. Anche questo cd non è in vendita ed è stato prodotto con Giorgio Baratta che insegna filosofia all'università di Roma, perché il brano era di suo padre. Infine ricordo il disco di Lucio Amelio, un gallerista napoletano purtroppo scomparso 10 anni fa, per l'etichetta precedente ad Afrakà che si chiamava Crash, e legato al mio disco di sonorizzazioni dedicato alle opere d'arte dal titolo Il sogno del lupo".

Tornando al passato, c’è un episodio curioso con qualche musicista straniero con cui gli Osanna sono entrati in contatto nel loro periodo più importante?
"Mi ricordo che facemmo con Ian Anderson dei Jethro Tull una trasmissione Rai che aveva come tema il confronto tra i flautisti nella musica rock, ma non solo. Fummo invitati a Per voi giovani, trasmesso nella fascia pomeridiana; con Anderson ed Elio D'Anna, il nostro flautista, c'era pure Severino Gazzelloni e nacque un bellissimo rapporto in quel momento, perché per noi i Jethro Tull erano un mito. A volte ci criticavano perché dicevano che D'Anna copiava lo stile di Anderson ma non era vero, perché se c'era uno che non era stato educato nel prog era proprio Elio. Fummo felici di vivere quell'esperienza e di dialogare con Anderson, che a dire la verità non era socievolissimo. Poi andammo al concerto dei Jethro Tull a Roma (con i Gentle Giant a precederli sul palco) che, come era abitudine in quel periodo, fu caratterizzato da scontri con la polizia e lancio di lacrimogeni. Nel 1999 lo ritrovai quando avevo ricomposto gli Osanna e suonammo nella stessa serata con i Jethro Tull e la Pfm al Neapolis Festival. Era sempre un po' sulle sue ma al tempo stesso fu piacevole incontrarci, anche perché rimaneva comunque il mito che ci aveva fatto crescere musicalmente".

Come vede il periodo attuale della scena musicale napoletana?
"Purtroppo noto un contrasto esagerato. Una parte creativa sta andando molto avanti ed è rappresentata dalle arti figurative, anche grazie alla promozione delle istituzioni, Antonio Bassolino in testa con la collaborazione di Achille Bonito Oliva. Ma musicalmente non è così, le stesse istituzioni promuovono la parte più commerciale e tutti i giovani che fanno musica buona si trovano a combattere contro un provincialismo esasperato. Non hai quella stessa qualità di prodotto e quindi non hai la possibilità di emergere: ci sono solo localini dove i ragazzi vengono pagati pochi euro. E' vero che il Neapolis Festival ha portato i Rem e Patti Smith, ma sono eventi destinati a rimanere tali e staccati dalla nostra realtà. La produzione vera che faccio e che viene fatta da altri come me è portata avanti con grandi sacrifici".

 

 


Lino Vairetti





 

 


 


La copertina di ''Taka Boom''

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 





 
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