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Musica di mezza estate

di Elisabetta Torselli
  A midsummer night's dream
Data di pubblicazione su web 26/01/2004  
Più passa il tempo e più risplende il valore delle opere di Benjamin Britten, che oramai, a meno di trent'anni dalla morte avvenuta nel 1976, risulta l'operista più importante della seconda metà del Novecento, il più capace di rinnovare dall'interno, in uno straordinario equilibrio fra continuità e rinnovamento, le formule e il lunguaggio del teatro musicale. Peter Grimes, The Turn of the Screw, Death in Venice, The Rape of Lucretia, The Little Sweep, abbiamo avuto occasione di vederli tutti in anni abbastanza recenti, sempre ammirando la varietà degli orizzonti musicali, teatrali e letterari del grande compositore inglese: dal rinnovamento in chiave psicanalitica del dramma musicale "naturalista" del Grimes (e ancor più del Billy Budd, di cui si ebbe una mitica esecuzione fiorentina negli anni Sessanta), alle inquietanti e scabre atmosfere, alla sofisticata precisione di segno da "opera da camera" di The Turn of the Screw e The Rape of Lucretia, alla deliziosa opera "per bambini", The Little Sweep.

Si aggiunge ora questa notevolissima edizione di A Midsummer Night's Dream, realizzata da CittàLirica, la "triplice alleanza" dei teatri di Livorno, Pisa e Lucca, e frutto dell'ottimo lavoro di Opera Studio, un attento e ben calibrato progetto di formazione teatrale per giovani cantanti (e per le altre figure professionali del teatro musicale) coordinato da Claudio Proietti cui, nelle due precedenti annualità di Opera Studio, si deve la realizzazione di due altri spettacoli, Il cappello di paglia di Firenze di Nino Rota e La belle Hélène di Jacques Offenbach.


 


A midsummernight's dream




Nel bosco del Sogno di una notte di mezz'estate di William Shakespeare, come si sa, si intrecciano magicamente i diversi piani di realtà o di irrealtà, di personaggi e di linguaggi, fate, innamorati, artigiani-clowns e sovrani mitologici, in un gioco di inganni comandato da Oberon, re delle fate, e dal suo servo, il folletto Puck. Sembra proprio che Shakespeare, con la prospettiva di chi ha alle spalle oramai più di una generazione di grande teatro professionistico, attraverso la scombinata recita degli artigiani/clowns - dove il leone ruggisce gentilmente per non spaventare le dame di corte e anche "chiaro di luna" e "muro" sono 'recitati' in mancanza di scenografie e effetti speciali (chiarendo il tutto con volonterosi cartigli di didascalia) - prenda bonariamente in giro coloro che avevano reso possibile, nel Quattrocento, il risveglio del teatro europeo da un lunghissimo sonno: quelle gilde, confraternite e corporazioni artigianali che per prime realizzarono sacre rappresentazioni, misteri e morality-plays. Momento di teatro nel teatro, ma teatro-spazzatura la cui povera sostanza è impietosamente contrapposta all'aureo illusionismo del Sogno.

Il Sogno è il lavoro teatrale forse più dilettoso di Shakespeare, il "Signore del Diletto". Benjamin Britten, nel trarne assieme al suo partner, il tenore Peter Pears, il libretto della sua opera, si guarda bene dal manometterlo e si limita a qualche scorciatura, eliminando il primo atto in Atene (e per conseguenza incastonando qualche passaggio nel terzo per recuperare e chiarire i nessi), qua e là modificando l'ordine delle scene, e piuttosto "riscrivendo" Shakespeare nella musica, da quel grande compositore che è. Ossia, prima di tutto, applicando ad ogni situazione il linguaggio conveniente. In un certo senso, quando Britten si rifà con tanta grazia e sottigliezza agli stili d'opera precedenti - ad esempio alla vocalità magniloquente e sontuosa di Haendel per Oberon, o alle geometrie sintattiche e di caratteri del dramma giocoso e opera buffa italiana sette-ottocentesca , tra Mozart e Rossini, per costruire da maestro i duetti e i concertati dei quattro amanti (ma anche agli spassi dell'operetta e del music-hall per il gruppetto degli artigiani) - si potrebbe pensare che siamo nella linea, nella categoria neoclassico-stravinskijana della parodia, quella appunto del Rake's Progress (La carriera di un libertino, 1951) di Stravinskij.

Ma non è così. Stravinskij recupera e riassembla relitti e detriti dell'opera settecentesca secondo un suo personale canone neoclassico "oggettivo" e "antisentimentale", che è anche una presa di distanza, una dichiarazione di morte di cose che solo la sua bravura stregonesca riesce provvisoriamente a riportare in vita. Per Britten la magia di Shakespeare non ha bisogno di essere riportata in vita perché non è mai morta, è piena attualità del teatro come, inevitabilmente, per un colto e avveduto uomo di teatro inglese nato, cresciuto e giunto alla maturità fra Gordon Craig e Peter Brook, fra Lawrence Olivier e Richard Burton.

Dall'attualità, nell'attualità/eternità di Shakespeare, si può, anzi si deve, scantonare anche per vie proprie di "rilettura" ed è ciò che Britten fa: ad esempio, nella definizione algida, un po' inquietante, a suo modo malinconica della figura di Oberon (parte scritta da Britten nel 1959 per il grande controtenore Alfred Deller), o nel delicato e misterioso reticolo intessuto dagli archi nel preludio del terzo atto, una di quelle situazioni musicali che ci illustrano il Britten antesignano e maestro di tanto linguaggio minimalista degli ultimi decenni. Più spesso amplificando in atmosfere enigmatiche e velate ciò che in Shakespeare è solo un accenno, un normale frammento di dialogo che sta dove deve stare (pensiamo in particolare a duetto del giuramento d'amore fra Ermia e Lisandro nel primo atto, all'"aria del sonno" di Ermia a se stessa, Never so weary, nel secondo, al "quartetto del gioiello" dei giovani amanti nel terzo, And I have found Demetrius e quanto segue).

La messinscena firmata dal grande Lindsay Kemp ci immergeva nella magia del teatro, sostituendo al cerebrale e costosissimo "minimalismo" di tante messinscene operistiche viste di recente (anche importanti e di valore, per carità: vedi Dodin, Nekrosius, Vick...) un'autentica e poetica semplicità shakespeariana: solo un grande tronco d'albero che ruota su se stesso e poi velature, sbuffi di vapore, le sottanine e le alucce di velo per i bambini-fate (il Coro Voci Bianche del Progetto Didattico del C.e.L. di Livorno, preparato puntualmente da Marisol Carballo), i lustrini del manto di Oberon, tutto con un ritmo e sotto una luce giusta e delicata, tutto nobilitato da tocchi di commovente e divertente vivezza (come in quell'ultimo corteggio di fatine-Pierrot), tutto affidato, in una grande apparenza di spontaneità, alla recitazione, al ritmo, alla costruzione del testo dall'interno, nell'eccellente e paziente lavoro fatto da Kemp con i giovani cantanti del Progetto Opera Studio.

Ma oggi è forse più difficile trovare un bravo direttore che un grande regista; non si può pertanto fare a meno di sottolineare che i meriti vanno attribuiti in eguale misura all'ottimo Jonathan Webb, che ha diretto in modo semplicemente magnifico (e all'orchestra di Città Lirica che l'ha suonata egregiamente) rispettando, nel reticolo lieve, puntuto e cameristico dell'elegante partitura britteniana, la delicatezza di voci giovani e spesso giovanissime: Oberon e Titania, men che ventenni, di Antonio Giovannini e Alessandra Marianelli, ai quali si mescolava qualche voce più adulta e prestante come il Bottom di Randal Turner. Fra gli altri citiamo almeno le simpaticissime e brave Elena e Ermia di Antonella Rondinone e Silvia Beltrami, l'esilarante Quince di Mirko Quarello e naturalmente l'ottimo Adrian Sarple nel ruolo parlato di Puck (ruolo parlato, ma circondato da Britten da una trama leggera di percussioni, un po' come nei recitativi dell'opera cinese); un Puck volante dall'imbracatura simile a quella di Giulia Lazzarini-Ariel nella leggendaria Tempesta di Giorgio Strehler ma, ovviamente, molto più demonietto silvano, come illustrava la coda impertinente del suo costume. A proposito di costumi, inevitabile ricordare almeno quelli bellissimi, alla Van Dyck, ideati da Kemp per Oberon e Titania.

Successo eccellente per uno spettacolo di una qualità invidiabile anche da un grande ente e poi, dopo Pisa, questo Sogno è destinato anche alle altre due sedi di CittàLirica, il Giglio di Lucca e il finalmente riaperto Goldoni di Livorno.

A midsummer night's dream
opera in tre atti


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