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La riscoperta della parola teatrale

di Giovanni Fornaro
  Ariadne auf Naxos
Data di pubblicazione su web 15/03/2004  
"Se vogliamo comprendere il rapporto fra linguaggio, mito e musica, possiamo farlo solo prendendo come punto di partenza il linguaggio. In seguito è possibile mostrare […] come la musica metta in rilievo l'aspetto sonoro già presente nel linguaggio, mentre il mito sottolinea l'aspetto del senso, del significato, anch'esso contenuto nel linguaggio".
A questa riflessione del grande antropologo Claude Lévy-Strauss (da Mito e Significato, Il Saggiatore 1980), apparentemente riduttiva nei confronti dell'espressione musicale, pensavo assistendo, lo scorso 3 marzo al teatro Piccinni, alla prima della rara Arianna a Nasso di Richard Strauss ed Hugo von Hofmansthal, mai rappresentata a Bari, pochissimo in Italia, ed inserita nel cartellone della stagione lirica del teatro Petruzzelli, con la direzione generale di Guido Pagliaro.


Ariadne auf Naxos




In effetti quella frase sembra essere un perfetto paradigma per modellare le relazioni fra musica, mito e parola, qui estrinsecata nella satira politica, così come definite in questa particolare edizione dell'opera di Strauss.
Già le divergenze fra i due grandi artisti, ben testimoniate dall'epistolario, fra la ritrovata attenzione per la parola "teatrale" di Hoffmansthall e la preminenza del linguaggio musicale perseguita da Strauss, furono risolti, nel 1912 – al tempo di questa prima stesura dell'opera – con una bipartizione salvifica del tempo teatrale: una prima parte, con la rappresentazione del molieriano Borghese Gentiluomo quale antefatto alla seconda, in cui il tema della fedeltà è filtrato attraverso la drammatizzazione del mito di Arianna afflitta per l'abbandono di Teseo e, successivamente, consolata dal nuovo amore per Bacco.

Il ragionare sull'eterna dicotomia tra la fedeltà ad un ideale ed il carpe diem che trasforma e rinnova l'individuo, costituirebbe la chiave di lettura per l'intera, composita opera, che troverebbe poi la sua espressione auditiva nella musica scritta dal musicista di Monaco. Naturalmente non è accettabile che la considerazione iniziale sia interpretata in senso letterale ma piuttosto in quello, estensivo, di equilibrio/disequilibrio di ogni relazione umana, sia essa relativa alla parola, alla musica od alla narrazione mitologica. A Bari questa interpretazione era ancora più evidente per la scelta del regista Giuseppe Sollazzo, un tempo alla corte del re Mida Roberto De Simone, da un lato di recuperare i modi della Commedia dell'Arte che già caratterizzavano la prima versione – e non la successiva, del 1916, più conosciuta – dall'altro di guidare la prima parte dell'opera verso una rilettura quasi integrale in chiave di satira antiberlusconiana, sul solco del recente Anomalo Bicefalo di Fo ma, mi sembra, con maggior garbo ed attenzione alla scrittura del testo.


Il senso di questo libero adattamento non trascende quello dell'originale perché, pur con i radicali cambiamenti necessari, ne mantiene lo spirito critico verso le distorsioni e le schizzofrenie della società; fra le quali credo di poter ravvisare la presenza in sala proprio del ministro per i Beni e le Attività Culturali del governo Berlusconi, Giuliano Urbani.
Il borghese arricchito, che fa jogging circondato da uno stuolo di guardie del corpo in tenuta da Blues Brothers, che emette comunicati stampa ad ogni piè sospinto e, nell'ansia mediatica di diventare presidente del Consiglio, non comprende l'inopportunità dell'invitare il "suo amico" presidente russo ad una manifestazione di beneficenza per i bambini ceceni, è interpretato dal sempre notevole Peppe Barra, a suo agio con una recitazione brillante, oltre che con le musiche di Strauss e con un'aria del barese Piccinni, a ricordare il suo storico coté musicale.
 

Ariadne auf Naxos

 


La moglie (una credibile Liliana Randi) è l'unica a contrastare Monsieur Jourdain, altrimenti circondato da una pletora di accondiscendenti portaborse, in realtà i bravi ballerini del Piccinni Ballet coreografati da Elisabetta Rosso, fra i quali il Generale, per la vigorosa e surreale interpretazione di Paolo Panaro. Arnold Bosman, a capo della residente Orchestra della Provincia di Bari (una I.C.O.), dalle autorevoli capacità direttoriali, ha saputo trarre un suono concreto ma esteticamente pregevole, che citasse con competenza quello della musica pre-romantica, nonostante sia questa una compagine non avvezza alle complesse partiture straussiane.


La mirabile bellezza del testo musicale della seconda parte, cioè della Ariadne auf Naxos vera e propria, ha certamente aiutato l'ottima riuscita della tessitura orchestrale integrata dal canto dei protagonisti, in primis la calda ed all'occorrenza dolente vocalità di Denia Mazzola (Arianna), dalla perfetta presenza scenica, e quella, espressiva ed eclettica, di Patrizia Cigna nel ruolo di Zerbinetta. Un plauso va anche al bravo Cesare Ruta (Bacco), all'armonicamente efficace impasto vocale del trio delle Najadi (Teresa Di Bari, Angelica Girardi e Angela Masi) ed all'interessante quartetto delle maschere (Mark Milhofer, Andrea Giovannini, Pietro Naviglio e Filippo Bettoschi). Le scene di Michele Della Cioppa, nella prima sezione dello spettacolo, sono scarne, grigie, essenziali nei pochi elementi di servizio (due sedie, un quadro, una cornice vuota che evidenzi lo sguardo "televisivo" del protagonista). È una chiara contrapposizione alla seconda parte che presenta la colorata e tersa vividezza di paesaggi metafisici alla De Chirico, i cui segni umani sono ridotti a ricordo, a mera nostalgia.


La soluzione adottata per connotare la scena "povera" del Borghese è quella, di volta in volta, di definirla mediante un adeguato "paesaggio sonoro": le urla della gente, gli applausi durante la serata di gala, i rumori del traffico, delimitano una sorta di "scenografia virtuale", estremamente efficace perché coinvolge la fonosfera che si è venuta a creare tra palcoscenico e spettatori. Anche per i costumi, Giusi Giustino ha operato la scelta di contrapporre le due sezioni: contemporanei – non poteva essere altrimenti, visti i risvolti d'attualità – quelli del Borghese, classici gli altri, con la geniale soluzione di proporre il quartetto delle maschere carnascialesche, altrimenti caleidoscopico, in un biancore assoluto e dolente, simbolo della sua natura fantasmatica che viene confermata proprio nel finale, quando un sipario velato cristallizza il moto e opacizza, definitivamente, la sua immagine.


Una citazione a parte merita il curatissimo fascicolo di sala della stagione lirica 2003-2004, ricco di contributi delle più prestigiose firme della critica musicale italiana e perfetto dal punto di vista iconografico, curato da Dinko Fabris con il Comitato Scientifico del Centro Musicologico "Casa Piccinni" di Bari.

Ariadne auf Naxos
opera in un prologo e in un atto


cast cast & credits
 
trama trama



 
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